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Imbucate e bistrattate, gli sbagli del Committee

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 12 Mar, 2018

Organizzare una festa non è facile, specie se si tratta del famigerato Gran Ballo, quello che tiene milioni di persone incollate alla tv, le fa impazzire fra buzzer beater e sistemi astrusi per azzeccare il bracket e che fa fruttare quantità esagerate di denaro. Insomma, roba grossa. Purtroppo, per quanto uno si possa impegnare, non c’è modo di far andare proprio tutto per il verso giusto. Le decisioni prese in sede di Selection Sunday ne sono la prova.

Scusa, ma questi chi li ha invitati?

Non c’è festa che si rispetti senza qualche imbucato. Syracuse, Arizona State e Oklahoma: il comitato ha deciso di includere queste tre squadre nel Torneo Ncaa e, da internet ai media mainstream, dai semplici appassionati agli opinionisti in giacca e cravatta, le reazioni di sdegno e ilarità si sono sprecate. Giustamente.

Partiamo dagli Orange, analizzando scrupolosamente la loro lista di quality win:
Miami.
Sì, poi?
Miami, basta.
Ok, va bene, ma il record nella ACC?
8-10, 11° posto.
Sì però saranno andati bene al torneo di conference, no?
No. Buttati fuori al secondo turno (e a calci) da North Carolina dopo aver sconfitto Wake Forest, temibilissima penultima in classifica.

Insomma, il buon vecchio Jim Boeheim l’ha sfangata ancora e, visti certi precedenti, l’inserimento fra le ultime quattro at-large bid potrebbe tranquillamente non essere l’ultimo colpaccio del suo marzo.

Sempre fra le ultime quattro selezionate, troviamo Arizona State, grande sorpresa della non-conference season poi caduta in disgrazia nella Pac-12: record 8-10, due vittorie interne con USC e UCLA come migliori risultati, 9° posto in classifica ed eliminazione al primo turno del torneo per mano di Colorado.

I Sun Devils incontreranno proprio Syracuse nelle First Four in uno spettacolare derby fra gente-che-al-massimo-avrebbe-dovuto-fare-il-NIT.

Ultimo caso, non meno controverso: Oklahoma. Altra formazione che era partita fortissimo, con Trae Young intento a trasformare, da solo, il volto dell’intera squadra. L’incanto, però, ha retto solo fino a gennaio, dopodiché i Sooners sono crollati irrimediabilmente, perdendo 8 delle ultime 10 partite disputate – e senza riscatto alcuno nel torneo della Big 12. Un trend abbastanza preoccupante per una squadra ammessa, oltretutto, senza dover passare dalle First Four (seed #10).

Diamine, siete riusciti persino a far infuriare Dick Vitale.

E tizio, non l’hai chiamato tu? Come sarebbe a dire che lo dovevo chiamare io?

Oklahoma invitata e Oklahoma State al NIT: qualcuno deve aver sbagliato destinatario nella rubrica, per forza, non c’è altra spiegazione. I secondi han battuto i primi per due volte su tre, piazzato una doppietta clamorosa contro Kansas (quelli che da 14 anni vincono sempre la Big 12), battuto West Virginia in trasferta e Texas Tech in casa propria. Record 8-10, proprio come i Sooners, vero: ma questo è anche lo stesso bilancio di Texas (lei, al ballo, ci va) e di Baylor (che ha mancato l’invito di poco). La Big 12 è stata senza ombra di dubbio una delle conference più agguerrite e competitive dell’anno: la qualità delle singole vittorie ottenute dai Cowboys era davvero troppo lampante per essere ignorata.

Fra le varie papabili infine snobbate, spuntano fuori anche i nomi di USC e Louisville, due squadre che, come la stessa Oklahoma State, sono oggetto delle indagini FBI. In giro ci sono persone davvero in cattiva fede che suggeriscono un nesso fra gli scandali e la decisione di escludere questi college. No dai, non può essere, l’ha detto pure Bruce che le cose non stanno così.

La lista delle deluse è lunga: abbiamo Penn State, semifinalista della Big Ten che ha battuto Ohio State per ben tre volte quest’anno. Nebraska: tosta, promettente, l’anno prossimo saranno ancora più forti ma, in questo, non sono stati fortunati nel cogliere abbastanza vittorie da circoletto rosso. Notre Dame: avrebbe potuto vivere tutt’altra stagione senza l’infortunio di Bonzie Colson. Anche qui, le quality win non sono tantissime – più di quelle di Syracuse, ovviamente – e, nonostante questo, sarebbe sorprendentemente rientrata fra le 68, se Davidson non avesse beffato Rhode Island nella finale dell’Atlantic 10.

C’è anche chi se l’è cercata, va detto. Saint Mary’s si è data la zappa sui piedi perdendo la semifinale con BYU, dato che coach Randy Bennett persevera nel voler organizzare delle non-conference schedule all’acqua di rose, pur dovendo poi giocare in una West Coast che offre poche occasioni di fare curriculum.

E poi c’è Middle Tennessee. Loro ci hanno provato sul serio a battere delle grandi (Auburn, USC, Miami: tutte partite perse per uno o due possessi di svantaggio) e, poi, hanno dominato una C-USA senza dubbio competitiva nella sua parte più alta (titolo di regular season con record 16-2). Sono stati incredibilmente eliminati ai quarti del torneo di conference: in questi casi, il comitato non mostra alcuna clemenza verso le mid-major.

Non fate troppo casino, mi raccomando

Un Torneo senza corazzate, ma con tante ottime squadre e potenziali Cenerentole nascoste in ogni angolo: la March Madness è il regno dell’incerto, ma quest’anno le gerarchie possono davvero essere riscritte con una facilità disarmante.

SOUTH Virginia, se dovesse arrivare fino in fondo, potrebbe dover affrontare un filotto incredibilmente tosto di avversarie: ad aspettarle subito dopo UMBC, ci sono Creighton e Kansas State, mentre poco più in basso potrebbe esserci addirittura un Kentucky-Arizona già al secondo turno. Nella seconda parte del tabellone sono Cincinnati e Tennessee le squadre più quotate. Nonostante i nomi imponenti, ci sono allarmi-upset celati anche fra i seed bassi: Davidson e Loyola potrebbero benissimo fare lo scherzetto a UK e Miami.

WEST – Tabellone pieno di qualità, a più livelli: Xavier, North Carolina, Michigan e Gonzaga sono ampiamente da Final Four. Sembra quasi di avere quattro numero 1 raggruppate nella stessa Region, ma il discorso non finisce qui, perché la bontà delle squadre coi seed più bassi non è da bistrattare. Providence ha finalmente mostrato il suo volto migliore nel torneo della Big East e può mettere tanti granelli in qualsiasi meccanismo offensivo. San Diego State ha già dimostrato di poter battere una grande (proprio gli Zags, poco prima di natale). South Dakota State può strappare una vittoria contando su un attacco più bilanciato e variegato nelle sue risorse di quanto non possa suggerire la presenza della star Mike Daum.

EAST – C’è già chi si fa venire l’acquolina in bocca (e ne ha ben donde) pregustando un Villanova-Alabama al secondo turno, ma che dire del resto del tabellone? Che qui il livello di insidie celate dalle seed in doppia cifra tocca picchi molto alti. Purdue e Texas Tech possono andare fino in fondo ma i secondi, già all’esordio, potrebbero avere bei grattacapi contro il pressing asfissiante di Stephen F. Austin. Non pensate, però, che Wichita State, West Virginia, Florida e Arkansas abbiano la strada spianata sin da subito – gli ultimi, a dirla tutta, avrebbero anche potuto ritrovarsi a numeri di seed invertiti con Butler.

MIDWEST – Non c’è mai stato un upset 16-1, e forse nemmeno questo sarà l’anno giusto per veder sfatato il tabù, però è interessante notare come, per Ken Pomeroy, Penn abbia l’11% di possibilità di battere Kansas: tutt’altro che una brutta percentuale per un match-up del genere. Le cose più intriganti potrebbero però arrivare nella seconda metà del tabellone: un’eventuale Sweet 16 fra Michigan State e Duke è davvero suggestiva ma non sembra così improbabile che almeno una fra Rhode Island e TCU possa far saltare i piani delle favorite.

Le nostre riflessioni vi convincono? O immaginate scenari diversi? Iscrivetevi al nostro bracket per dire attivamente la vostra (divertendovi)

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