Il basket in casa Blackmon è una questione di famiglia: giocano tutti. Ma quando è stato il momento di scegliere il college, James Jr ha voluto seguire il cuore e, soprattutto, tracciare una strada che fosse solo la sua. Per questo alla blasonata Kentucky, alma mater del padre, ha preferito Indiana, la squadra della sua città natale. Quando parla delle sue scelte, James Blackmon Jr non ha rimpianti e non ha dubbi su quale sia il suo obiettivo finale: la NBA. Ecco cosa ci ha raccontato la nuova guardia della VL Pesaro sul suo passato da Hoosiers e sugli obiettivi per questa stagione.
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Iniziamo dall’inizio della tua carriera, quando al tuo ultimo anno alla Marion High School hai battuto il record di tuo padre con 54 punti. Ricordi qualcosa di quella partita? E soprattutto, come l’ha presa tuo padre?
Quella contro Irvington Prep (Indianapolis) era la prima partita della stagione. Mio padre era appena tornato nella sua città dove aveva giocato e dove vantava diversi record. Ricordo che è stato contento del mio risultato ma, in generale, quella sera nella palestra c’era un’atmosfera bellissima come del resto l’entusiasmo intorno alla squadra era tantissimo. Sono orgoglioso di quella sera e di quel risultato.
Parlando di tuo padre, prima giocatore e ora allenatore proprio alla Marion High School, devi a lui la passione per questo sport?
Ha giocato per la University of Kentucky (1983–1987) e poi professionalmente nella NBA (per i New Jersey Nets). Crescendo mi sono sempre ispirato a lui: per me è ed è sempre stato un modello. D’altronde ho sempre sentito storie su di lui e sui suoi record: ne vado davvero orgoglioso. Il basket fa parte della mia famiglia, anche i miei due fratelli più giovani giocano.
Invece che andare a Kentucky e seguire le orme paterne, hai preferito Indiana. Come mai?
In realtà avevo scelto di andare a Kentucky dove anche mio padre aveva giocato. Ma poi, proprio al momento della firma, non so… il mio cuore mi ha detto Indiana. Volevo fare le cose in maniera differente, a modo mio e quindi ho preferito rimanere a casa. Guardando indietro, sono contento di questa scelta: giocare per Indiana è stato grande e abbiamo anche avuto delle buone stagioni.
Avevi ricevuto proposte anche da Michigan State, Louisville, Michigan e Kansas. Cosa aveva in più Indiana?
Avevo scelto UK, ma sarei arrivato in una squadra che già vantava altri top player. Quando Indiana mi ha contattato, mi ha spiegato invece che volevano che io diventassi il loro uomo chiave. Mi davano la possibilità di ricoprire un ruolo centrale nella squadra sin da subito, e per di più si trattava della squadra della mia città natale. Ho capito che quella era la giusta opportunità per me.
Il tuo “final commitment” è stato mandato in onda su ESPNU. Hai qualche aneddoto su quella serata?
È stata una situazione abbastanza stressante. Non sapevo che sarebbe stata trasmessa e, peggio ancora, non sapevo ancora dove avrei firmato. Come ho detto prima, la firma con Indiana è stata una firma fatta con il cuore, una decisione presa all’improvviso. Quindi puoi immaginare come mi sia sentito in quel momento davanti alle telecamere e a tutte quelle persone che aspettavano una risposta, mentre io davvero non sapevo ancora cosa avrei scelto.
Dopo una buona prima stagione, sono iniziati i problemi al ginocchio. Una prima operazione all’high school, poi un’altra in off season e poi a dicembre l’infortunio che ti ha messo ko per tutta la stagione da sophomore. Quell’anno Indiana ha poi vinto la regular season ed è arrivata fino alle Sweet 16 al Torneo Ncaa. Come hai vissuto quei momenti?
In realtà grazie a quell’infortunio penso di essere diventato un giocatore migliore. Ho capito infatti quanto amo questo sport e quanto sono disposto a fare per il basket. Certo, non è stato facile stare fuori e guardare le partite dalla panchina, ma durante quei mesi mi sono fatto forza e ho continuato a seguire la mia etica del lavoro: sono andato in palestra ogni giorno e ho continuato a pensare che prima o poi le cose si sarebbero aggiustate, se continuavo ad allenarmi seriamente. E così è stato.
Che ricordi hai di alcuni tuoi compagni come Yogi Ferrell, Troy Williamson e OG Anunoby? Cosa ci puoi dire di loro? Li senti ancora?
Sono ancora in contatto con loro. Erano e sono dei miei grandi amici. Ci siamo conosciuti da giocatori, ma siamo poi diventati veri amici. Ho imparato tanto da loro, come loro hanno imparato di me.
E coach Tom Crean? È famoso per la sua filosofia che enfatizza molto le transizioni e il gioco offensivo in velocità. Ha fatto rinascere il programma di Indiana. Qual è l’insegnamento migliore che ti lasciato?
Mi ha insegnato a lavorare sodo, a rimanere disciplinato e ad avere un atteggiamento positivo fuori e dentro il campo. Non avevo mai incontrato un allenatore che mi spingesse così tanto in campo! È anche grazie a lui che sono riuscito a superare l’infortunio al meglio.
L’anno da junior non ha coinciso con una stagione positiva per Indiana. Che cosa è successo alla squadra?
Il mio secondo anno ad Indiana è stato sicuramente il migliore. Eravamo tra le squadre più forti del Paese e mi sembra la numero uno della Big East. Poi io mi sono infortunato e quindi ho dovuto saltare l’intera stagione. L’anno dopo qualcosa si è rotto nelle dinamiche della squadra: abbiamo iniziato a perdere e non siamo riusciti a ricompattarci come gruppo e uscire da quella spirale.
La tua decisione di lasciare il college al terzo anno e tentare il draft NBA è stata dettata da quei risultati negativi, o ti sentivi pronto per fare il salto?
Sentivo che era il giusto momento di fare quel salto. In realtà, avevo maturato quella decisione già l’anno prima, ma l’infortunio non mi ha aiutato. Dopo il mio junior year mi sentivo pronto per l’NBA ed ero sicuro che ce l’avrei fatta.
Qualche rimpianto per non essere rimasto un anno in più al college?
In realtà no. Una volta che prendo una decisione, poi seguo la mia strada. Ed è così che si spiega anche la mia decisione di firmare per la VL Pesaro. Ho un atteggiamento positivo davanti a tutti gli aspetti della mia vita e so che le cose si aggiustano sempre. Quindi sì, ero sicuro della mia scelta e sono ancora sicuro che sia stata la giusta strada da prendere anche adesso.
Parlaci della tua decisione di venire in Italia. In un’intervista hai detto che al momento non sei dove avresti voluto essere, ma che giocare in Italia da professionista è un passo in quella direzione. Cosa ti aspetti da questa stagione in maglia VL?
Qui in Italia il campionato è di altissimo livello e le cose che ci sta insegnando il nostro coach mi aiuteranno a crescere e ad essere pronto per l’NBA. So che da me ci si aspetta che sappia trattare al meglio la palla in fase di costruzione di gioco, di saper attaccare bene il perimetro e soprattutto di difendere forte: sono queste le cose su cui voglio lavorare in questi mesi. Questa squadra mi permetterà di migliorare su questi aspetti e se anche i risultati arriveranno penso che per me ci sarà una nuova possibilità in NBA.
All’inizio della tua carriera hai lavorato molto sulla difesa, tanto che alcuni analisti hanno affermato che avevi perso un po’ della tua efficacia in attacco. Sei d’accordo con questa analisi?
Ho sempre sentito un po’ di pressione sotto questo aspetto: se volevo arrivare in NBA, sapevo di dover migliorare in difesa. E così ho fatto al mio primo anno a Indiana ed è ciò che sto facendo anche ora. Per giocare ad alti livelli o nell’NBA, devi essere un giocatore completo e io lavoro con questo obiettivo ogni giorno.
Segui ancora il college basket? Pensi che coach Archie Miller riuscirà a riportare in alto Indiana?
Penso che Archie Miller sia un grandissimo allenatore e che i ragazzi di Indiana beneficeranno molto della sua presenza e della sua esperienza in NCAA. Gli scorsi anni con Dayton ha fatto cose eccezionali. Mio fratello quest’anno gioca lì e mi ha detto che solo parlarci e avvicinarsi alla sua filosofia di gioco è una grandissima opportunità.
Quale squadra ha maggiori possibilità di vincere il titolo?
Io dico Indiana, sia per la conference che per il Torneo. Certo, Duke ha una squadra piena di talenti e molto atletica, ma sono molto ottimista nei confronti degli Hoosiers. Con coach Miller alla guida penso che potrebbero fare davvero il colpaccio quest’anno.