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Cameron Boozer a Duke per scacciare i fantasmi

Cameron-Boozer-Duke
Autore: Paolo Mutarelli
Data: 27 Nov, 2025

“Greatness is about being consistent”. È questo il claim scelto da Cameron Boozer per la sua campagna di lancio con Jordan Brand. Non proclami roboanti, non promesse di dominio, non highlights spettacolari da mandare in loop sui social. Solo una verità semplice. I primi punti in carriera NCAA di Cameron Boozer sono arrivati con una schiacciata. Non perché sia un mostro di atletismo che divora l’area saltando in testa agli avversari, non perché ricerchi colpi spettacolari in campo, ma semplicemente perché era la giocata giusta da fare.

Il fantasma Flagg

A Duke tutto si riduce alla vittoria del titolo. Un meraviglioso record di 35-4 come quello del 24-25 non significa niente senza un anello da mettere al dito. “Riscattare la sconfitta contro Houston mi motiva e sono sicuro che coach Scheyer è motivato dieci volte più di me“, ha dichiarato Boozer in conferenza stampa ad inizio stagione, consapevole che la missione che deve portare a termine è una sola: vincere il sesto titolo della storia dei Blue Devils.

Coach Jon Scheyer sa di avere per le mani un’altra squadra molto forte ma la sensazione è che la Duke di Cameron Boozer abbia meno potenziale rispetto alla versione di Cooper Flagg, anche se l’idea di base resta la stessa: una squadra fisicamente e atleticamente sopra la media che ruoti attorno alle caratteristiche del suo leader, incaricato di gestire i possessi delicati. Scheyer non fa prigionieri e a Cameron Boozer sta riservando lo stesso trattamento di Flagg, nel bene e anche nel male.

Rispetto allo scorso anno, l’assenza di un floor general come Tyrese Proctor ha spostato l’asse di creazione nelle mani dei lunghi per sfruttare le qualità di playmaking di Boozer. Attorno al post alto, Scheyer fa gravitare gran parte dei set di Duke con handoff, tagli, isolamenti e giochi alto-basso per esaltare il talento a 360° del suo lungo. Boozer in campo è spesso al posto giusto, al momento giusto, pronto a compiere le scelte più veloci per creare un vantaggio e rendere tutti quanti attivi.

La sua stats-line è impressionante: 21+10 di media con 4 assist, un tocco morbido nei pressi del canestro e una mano discreta dall’arco (37.4% da tre). Un fisico adulto, sviluppato e muscoloso al servizio dei compagni. Le prime partite NCAA sono però rivelatorie: dai proclami dell’estate, tutto fumo e potenziale, si passa alla realtà del campo dove non tutte le suggestioni diventano effettivamente situazioni di gioco.

I numeri sono inflazionati dall’aver giocato contro Howard, Indiana State e avversarie di basso livello come Niagara. Le partite contro Texas e Kansas hanno fatto emergere alcuni punti interrogativi – o spazi di crescita – per il prospetto di Duke. Abituato a bullizzare fisicamente i pariruolo in High School, Boozer ha provato a fare lo stesso in NCAA andando però a sbattere contro altri prospetti come Flory Bidunga di Kansas o Matas Vokeitas di Texas.

 

Quando attacca frontalmente in post, Boozer non ha la forza fisica esplosiva nella parte superiore del corpo di Koa Peat. Spesso sbatte contro gli avversari o prende tiri fuori equilibrio, senza mai giocare d’astuzia con arresti o fadeaway. Coach Scheyer ha deciso di non togliere responsabilità a Cameron con il rischio di perdere qualche partita esattamente come successo l’anno scorso con Copper Flagg Il quartetto di partite contro Arkansas, Michigan State, Florida e Texas Tech – dove affronterà i migliori lunghi della nazione – sarà rivelatore proprio di questo aspetto.

Il fantasma Carlos

Crescere sotto l’ala di un padre famoso nello tuo stesso sport ha lati positivi e negativi. Cresciuto nell’agio che papà Carlos ha conquistato a suon di schiacciate, girando l’America seguendolo in ogni tappa della sua carriera, conoscendo Kobe Bryant e LeBron James a 13 anni, la strada di Cameron Boozer – e del suo gemello Cayden – è stata senz’altro più facile di quella di moltissimi coetanei, con la possibilità di poter pensare solo al basket.

Andare a Duke per i figli di due ex studenti-atleti che si sono conosciuti a Durham sembrava una scelta scontata ma durante tutta l’adolescenza dei figli, mamma CeCe e papà Carlos hanno puntato sul fatto che Cameron e Cayden dovessero crearsi il proprio cammino, indipendente uno dall’altro e da quello dei genitori. Per questo mamma CeCe a ogni coach che li ha reclutati, ha sempre detto una sola cosa: non considerateli come un pacchetto unico.

 

Come tutti i gemelli, Cameron e Cayden hanno un legame indissolubile, ancor di più se consideriamo il motivo per cui sono nati. Esiste un terzo fratello Boozer, più grande di due anni, di nome Carmani, nato nel 2005 con una mutazione genetica ereditaria ai globuli rossi che compromette il gruppo sanguigno. CeCe e Carlos Boozer hanno scoperto di avere il gene recessivo solo durante la gravidanza e i primi due anni di vita del giovane Carmani sono stati un calvario di chemioterapia e farmaci, consapevoli che non c’era cura.

Fino a che un gruppo specialistico di dottori ad Atlanta ha suggerito una terapia sperimentale: una fecondazione in vitro per far nascere un figlio sano e poi fare un trapianto di midollo osseo. Dei 34 embrioni prodotti, solo due erano 100% sani. I due da cui sono nati Cameron e Cayden e che hanno permesso a Carmani di guarire.

Vincere a Duke

Papà Carlos Boozer lo sa bene: quando era nella situazione di suo figlio Cameron, Duke era reduce da una stagione conclusa 37-2 e una sconfitta in finale nazionale contro UConn. Ci sono voluti due anni per costruire una squadra capace di vincere il titolo, squadra che tra l’altro dovette affidarsi a una rimonta miracolosa di 22 punti contro Maryland in semifinale per vincere il terzo trofeo Ncaa della storia di coach K.

Per questo Carlos ha sempre detto ai figli di non abbassare mai la guardia: “This time next year, you could be in the Final Four. You could be up six points with 30 seconds to go and lose that game if you have an untimely turnover or miss a boxout. Conversely, you could be in Houston’s situation and be down six with 30 seconds to go, and you can’t f—ing give up. You’ve got to believe you can win that game.”

Boozer è il primo giocatore del’ACC dal 2005 a segnare 100 punti, 50 rimbalzi e 20 assist nelle prime cinque partite

 

In America si sta dibattendo se questa appena arrivata sia la migliore classe di freshmen dell’ultimo decennio. Potrebbe sembrare un’esagerazione, ma probabilmente non lo è. La profondità di talento emersa in questo primo mese di college basket è impressionante e il fiore all’occhiello di questa annata è rappresentato dai Big Three che si contenderanno la prima scelta al Draft più incerta degli ultimi anni. Cameron Boozer fa parte di questa piccola cerchia ristretta, le cui gerarchie mutano di partita in partita fluttuando in base alle percentuali dal campo, gli infortuni e le vittorie di squadra.

I margini sono ristrettissimi e la decisione finale, per una volta, sembra essere più nelle mani della squadra che sceglie. Boozer vuole convincere i front office NBA con la sua costanza, senza cercare i riflettori, puntando all’unica cosa che serve: vincere a Duke come suo papà.

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