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DiVincenzo, un trionfo individuale e di sistema

Donte DiVincenzo (Villanova)
Autore: Riccardo De Angelis
Data: 6 Apr, 2018

È passato qualche giorno dalla finale che ha visto Villanova trionfare su Michigan e, ormai, non c’è appassionato di basket che non abbia almeno sentito nominare Donte DiVincenzo, ovvero il giocatore votato come Most Outstanding Player dopo aver infiammato la serata più importante dell’anno con una partita da 31 punti. Un dominio totale e senza pause su entrambi i lati del campo, fra triple dal palleggio, penetrazioni brucianti e stoppate fragorose.

Si è parlato di one man show, di arma segreta: definizioni suggestive ma limitate, che non possono restituire il senso della vittoria dei Wildcats, del loro gioco e nemmeno il valore dell’italoamericano dai capelli rossi. Bisogna dunque fare qualche passo indietro, specie se ci riferiamo al giocatore in senso stretto. Prima di arrivare a questo culmine di pura e semplice onnipotenza cestistica, infatti, la storia di Big Ragù comincia da un condizione completamente opposta, da uno stato di impotenza.

Seduto in panchina

“Il dolore è una cosa, ma sapere che non puoi giocare e fare ciò che ami, è la sfida più grande”. Quello conquistato lunedì notte, è stato il secondo titolo Ncaa portato a casa da Jalen Brunson, Mikal Bridges e Phil Booth, già campioni nel 2016. Avrebbe dovuto essere il bis anche per DiVincenzo, ma il destino aveva avuto piani diversi per la sua annata da freshman. Un infortunio al piede lo aveva messo ko dopo otto partite e, pur guarito in tempo per poter giocare l’ultimo scorcio di stagione, coach Jay Wright aveva deciso che fosse meglio completare l’anno da redshirt. Una decisione ponderata, spiegata e condivisa, ma non per questo facile da digerire, non per un 18enne col fuoco dentro, abituato a fare pentole e coperchi per trascinare la propria high school a due titoli consecutivi.

Villanova però non è la Salesianum School di Wilmington: per essere parte di qualcosa, per essere vincenti, bisogna avere pazienza e imparare a contribuire come si può. Dopo sbuffi, momenti di sconforto e qualche biblico invito alla calma da padre Rob Hagan – personaggio tutt’altro che secondario nella vita della squadra – il Michael Jordan del Delaware era riuscito infine a trovare il modo per essere utile da dietro le quinte.

Quando i Wildcats si ritrovarono l’ostacolo Oklahoma nella Final Four, bisognava preparare la partita in funzione di un obiettivo principale: fermare Buddy Hield. In allenamento, a Donte viene chiesto di mettere i panni sia di giocatore che di attore per interpretare lo spauracchio avversario: finisce per lasciare tutti di stucco con un’imitazione impressionante, precisa nel minimo dettaglio (dentatura compresa? Purtroppo non ci è dato saperlo). In tutto questo tempo, diversi suoi compagni hanno raccontato l’aneddoto – Bridges lo ha fatto proprio nella conferenza stampa post-Michigan – sottolineando come quella performance li avesse aiutati, poi, ad annullare il cecchino delle Bahamas.

Destino ha voluto che DiVincenzo, due anni più tardi e alla partita più importante della sua vita, si prodigasse nel replicare il meglio di Hield, con una serie di triple immarcabili.

 

Donte potrà aver avuto bisogno di lottare contro la propria impazienza, ma il coraggio e la sicurezza nei propri mezzi sono cose di cui non ha mai difettato, nemmeno per un istante. Le sue incursioni nell’area dei Wolverines – concludendo meglio con la mano debole che con quella forte – ne sono state un grande esempio: a ciò si è aggiunta una varietà di giocate che ha messo in mostra la grande versatilità che ha acquisito nel corso del tempo. Tirare, attaccare il ferro e passare: ogni giocatore di Villanova è in grado di farlo. E alla grande, pure: questa è la summa del loro dominio offensivo nel corso della stagione.

 

Sesto starter

Abbiamo usato la parola “destino” già due volte ma, a dire il vero, nulla è mai parso segnato nella storia di Donte, ragazzo dal grande talento offensivo e che dominava al liceo – sì, beh, nel Delaware – ma non un 5-star conteso dalle powerhouse (41/o nel ranking di ESPN fra le SG diplomate nel 2015). DiVincenzo è quel che è oggi grazie a un lavoro immenso, indefesso e condotto sotto la guida esperta di Wright. In perfetto stile Villanova, si è dato da fare e ha aspettato il proprio turno che, come dimostra la storia recente dei Cats, prima o poi arriva per tutti. Anche se prima c’è da ingoiare qualche rospo.

The Big Ragù, infatti, immaginava di avere un posto nel quintetto titolare di quest’anno, ma Wright ha ritenuto che fosse più utile come primo cambio. Il paisà non ha fatto mistero di aver preso male la decisione, all’inizio, ma mai al punto da compromettere la sua posizione o l’armonia della squadra: “Se fossi stato uno starter quest’anno, avrebbe scombinato il nostro equilibrio”.

Storicamente, la difesa non era mai stata il suo forte. Wright, ovviamente, lo sapeva benissimo al momento di reclutarlo e non ha mai mancato di farglielo notare. Troppo poco affidabile nella propria metà campo per avere l’onere e l’onore dello starting five, DiVincenzo si è però rimboccato le maniche e fatto progressi enormi nel corso della stagione: “A metà stagione circa, Donte ha smesso di compiere errori, permettendoci di rimanere connessi in difesa”, racconta Wright. “Poi, verso la fine dell’annata, è diventato uno dei nostri difensori migliori”.

Non più dunque solo un energy guy pronto a dare il cambio al primo compagno in debito di ossigeno, ma un giocatore a tutto tondo capace di conquistarsi abbastanza spazio da confermarsi come virtuale sesto starter della squadra (29.3 minuti di media quest’anno). Ancor più dei 31 punti segnati, è stata la prova difensiva svolta contro Michigan ad averlo inorgoglito, parola sua. Sempre attento nel tenere l’attaccante davanti a sé, è esploso in due stoppate clamorose, con la seconda, quella “alla Konate” su Charles Matthews, che probabilmente resterà impressa come momento più iconico della finale.

 

“Anche quando lavoriamo sull’attacco, in qualche modo il coach ne fa una questione di difesa”, dice DiVincenzo. I suoi miglioramenti in corso d’opera sono anche quelli di una squadra intera che, in stagione, aveva mostrato qualche crepa nella propria metà campo. Dopo la sconfitta in casa di Creighton a fine febbraio, la svolta collettiva è stata però nettissima e assolutamente decisiva per le sorti dell’annata. L’attacco ha reso grande Villanova, ma è la difesa che l’ha fatta dominante.

DiVincenzo non è un fenomeno caduto dal cielo, ma un ragazzo il cui talento sta sbocciando grazie al miglior progetto tecnico visto nel college basket negli ultimi anni. Uno small ball che non è semplicemente al passo coi tempi, ma che sta dettando i tempi, e che, pur basandosi su tanto sacrificio e su una preparazione scrupolosa in entrambe le fasi del gioco, responsabilizza i giocatori, mette loro in mano il proprio destino. In una pallacanestro universitaria dove, per motivi vari, la mano dell’allenatore tende spesso a farsi pesante, quella di Wright è la piuma che solletica le qualità migliori dei suoi interpreti, facendoli crescere individualmente secondo una progressione stabile nel tempo che di rado si può rintracciare altrove.

Futuro prossimo

The Big Ragù adesso è sulla bocca di tutti: i complimenti e i paragoni eccellenti si sprecano, così come le proiezioni più entusiastiche sul suo futuro da professionista. Personalità, atletismo, esplosività, grande tiro (40.1% da tre quest’anno) e capacità di creare per gli altri (3.5 assist di media): è da NBA, non ci piove. E questo, ahinoi, potrebbe dover indurre noi italiani a metterci il cuore in pace su un eventuale (e per ora, solo ipotetico) discorso “naturalizzazione“.

Contrariamente a compagni con la valigia in mano come Brunson e Bridges, o anche uno chiacchierato in ottica Draft (ma che dovrebbe rimanere) come Omari Spellman, lo sviluppo di DiVincenzo sembra proprio legato a un altro anno in Pennsylvania.

Arcidiacono e Ochefu, Hart e Jenkins, Brunson e Bridges: questo le accoppiate più recenti nei naturali ricambi di leadership all’interno della squadra. L’anno prossimo, il discorso potrebbe risultare più articolato del solito. C’è da stare certi, però, che Donte non resterà in disparte.

 

Fonti e approfondimenti

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