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Eric Vila, la Spagna non si fida dei giovani

Eric Vila
Autore: Isabella Agostinelli
Data: 6 Ott, 2017

Ha 19 anni, ma ha già fatto tante scelte non scontate. Perchè Eric Vila ha cervello e talento e ha scelto una strada tutt’altro che banale per realizzare le sue ambizioni. E’ probabilmente il miglior ’98 della Spagna, 2.10 cm con tiro e movimenti da esterno, e a 16 anni e 6 mesi è stato il più giovane giocatore a debuttare nella Liga con la maglia del Barcellona. Ma dalla Spagna ha deciso di andarsene e, dopo una stagione da freshman con Texas A&M dove ha trovato poco spazio, ha appena iniziato la sua nuova avventura con l’ambiziosa Fresno State. Deludendo le aspettative e, chissà, le speranze degli addetti ai lavori spagnoli. L’ex blaugrana, a causa del transfer, dovrà però attendere un anno prima di poter mostrare tutte le sue potenzialità con la maglia dei Bulldogs. In attesa di vederlo in campo, lo abbiamo contattato per farci spiegare la sua decisione e per commentare insieme la sua estate con due nazionali spagnole. Senza ignorare, ovviamente, quello che sta accadendo nella sua Catalogna.

Partiamo proprio da qui. Vila è nato a Girona, città a nord di Barcellona che per 5 anni ha avuto come sindaco Carles Puigdemont, attuale presidente della Generalitat de Catalunya e leader del movimento indipendentista catalano.

Parlare di politica non è facile, ma sicuramente quello che sta avvenendo in Catalogna in questi giorni ti avrà colpito. Come stai vivendo questo periodo così difficile per il tuo paese?

“Normalmente non mi piace molto parlare di politica, ma credo che la situazione che stiamo vivendo sia estremamente complessa e quindi questa volta sì, vorrei dire la mia. Questa è una nota che ho scritto (pubblicata su Instagram stories, quindi visibile solo per poche ore) e che voglio condividere:

Aggiungo che da molto tempo il popolo catalano si sta mobilitando ed è normale che la gente si stanchi di non essere ascoltata. In teoria, in un Paese democratico, il popolo dovrebbe essere ascoltato ed è proprio questo che il popolo catalano sta chiedendo. Anche a Murcia ci sono state manifestazioni qualche giorno fa e cosa ha fatto il nostro governo? La gente ha bisogno di essere ascoltata e questo dovrebbe valere per tutti”.

Restiamo all’attualità ma passiamo al basket. Ci puoi spiegare la tua decisione di passare da Texas A&M a Fresno State, un’università che ha molte ambizioni per la prossima stagione?

“La verità è che durante tutto il periodo estivo sono stato contattato da vari allenatori, per questo la decisione non è stata per niente facile. Nella mia testa avevo già in mente un nome, ma ho preferito lasciare aperte tutte le porte e quindi, dopo gli impegni con la nazionale, ho iniziato a visitare i vari college. La mia prima tappa è stata precisamente Fresno State. Sono arrivato lì e il feeling che ho avuto con gli allenatori, con il campus e il programma è stato così buono che ho deciso di annullare il resto delle visite e firmare per Fresno. Il basket qui è lo sport principale e nel momento stesso in cui ho pestato il parquet del Save Mart, ho capito che questa sarebbe stata la mia casa”.

Il Save Mart Center, campo dei Bulldogs

Torniamo indietro. Sei cresciuto nella cantera del Barcellona e a 16 anni e mezzo hai debuttato con la prima squadra. A 18 anni hai però deciso di lasciare la Spagna e andare a giocare in un college americano, una decisione che ha sorpreso molti all’epoca. Come mai?

“Ho deciso di venire qui per poter realizzare un sogno. Parlando di basket, gli Stati Uniti sono un luogo “magico”: la vita di un giocatore qui è qualcosa di speciale e l’esperienza che si acquisisce è fuori da ogni schema. Il livello fisico che ha il basket qui in America ti fa migliorare moltissimo e poi il fatto di poter studiare e giocare quasi ad un livello Nba è un altro punto a favore. Non lo nascondo: voglio giocare nella miglior lega del mondo e sono venuto qui a misurarmi con i migliori del Paese per fare diventare il mio sogno una realtà”.

Come te, ci sono molti altri giovani giocatori spagnoli che hanno deciso di lasciare la Spagna per gli Stati Uniti. Si tratta semplicemente di realizzare il “sogno americano” o ci sono altri motivi dietro?

“Io ero in dubbio se accettare la sfida di giocare con la migliore squadra d’Europa a 18 anni. Voglio essere un giocatore di basket: è il mio sogno, ma in Spagna non ci si fida dei giovani. Questa è la triste realtà, come dimostra la situazione di tutti i miei compagni che giocano nella Liga spagnola. Secondo me, il college aiuta noi giocatori ad affrontare questo periodo di incertezza in quanto ti permette di misurarti con il massimo livello di gioco “non professionistico” e allo stesso tempo di studiare”.

Jaume Sorolla, altro prodotto della cantera del Barcellona, con la maglia di Valparaiso

E così lo scorso anno sei arrivato a Texas A&M. Ricordi qualcosa del tuo debutto contro Northwestern State? E’ stato all’altezza delle tue aspettative?

“A dire il vero anche più spettacolare. Non esagero se dico che ad ogni partita giochi contro atleti da Nba. Ho avuto la fortuna di militare in due grandi squadre e alcuni dei miei compagni saranno nel draft del 2018: per questo è davvero un lusso poter giocare qui. Mi ricordo bene di quella partita come se fosse ieri. Un ricordo di quella prima stagione è stata la prima routine pre-partita, una cosa che in pochi sanno ma che facevamo sempre perché ci aiutava a rilassarci molto: facevamo un cerchio fuori dallo spogliatoio e cantavamo e ballavamo come se ci trovassimo in casa da soli. Quel giorno, ho visto i passi di danza più scatenati e pazzi del mondo, ahah”.

Quali sono state le maggiori difficoltà nell’affrontare il sistema statunitense e i ritmi della Ncaa? C’è qualche episodio divertente o interessante che ci puoi raccontare?

“Senza nessun dubbio il ritmo del gioco e il livello fisico. Ci sono molti aneddoti che potrei raccontare ma, se dovessi sceglierne uno (che si può raccontare naturalmente, ahah) scelgo il Navy Seal Boot Camp. E’ stata una delle esperienze migliori della mia vita! Si tratta di un weekend, o al massimo tre giorni, nel quale ti tolgono il cellulare, i vestiti, alloggio e ti sottopongono allo stesso allenamento che fanno nei Navy Seal. Ci si sveglia alle tre del mattino per fare i piegamenti, per correre, sollevare ruote di camion, caricare tronchi, fare kayak, dormire in tende… una delle esperienze più dure che ho fatto in vita mia, però al tempo stesso una delle più rivitalizzanti. Dormire in sacchi a pelo, senza vestiti puliti, con la tua squadra nel mezzo del bosco è qualcosa di speciale e che ci ha aiutato a creare una vera alchimia tra di noi”.

Questo l’ultimo video girato da Eric prima di iniziare il Camp e lasciare il cellulare.

 

Oltre al ritmo molto più intenso e al gioco molto più fisico, ci sono altre differenze  tra il sistema spagnolo e quello statunitense? Per esempio a livello tecnico o di lavoro in palestra?

“Certamente. Anche se molti non lo notano, c’è una grande preparazione in vista delle partite nella Ncaa. Ogni giorno della settimana si guardano video o clip delle azioni della squadra avversaria e, dato che non ci sono molti giorni tra un match e l’altro, ti sottopongono a una specie di “bombardamento” di informazioni sia fuori che dentro il campo. Il campionato è molto duro e quindi bisogna esserne all’altezza. Per quel che riguarda la palestra, è davvero un altro mondo rispetto alla Spagna. Anche in Europa si lavora molto bene ma è difficile superare il livello americano”.

E tutto ciò come ti ha cambiato o aiutato? In cosa ti senti di aver migliorato maggiormente?

“Senza alcun dubbio a livello fisico. Durante il Mondiale mi sono sentito molto più forte sotto questo aspetto. Avendo infatti giocato in un campionato che richiedeva un livello molto alto, posso affermare che sono migliorato tantissimo. In generale, però, giocare nella Ncaa mi ha aiutato a maturare e a essere più professionista”.

Miglioramenti che hanno avuto la loro importanza quest’estate, che ti ha visto impegnato con la Nazionale in due occasioni: prima con l’U19 ai Mondiali e poi con l’U20 agli Europei. Iniziamo con la semifinale contro l’Italia nei Mondiali U19: sopra di 11 a poco più di tre minuti dalla fine, avete perso 66-63. Cosa è successo?

“Se ti devo dire la verità, non lo so davvero. Il loro tiro da tre é stato determinante e noi non abbiamo saputo chiudere la partita. L’Italia è un’ottima squadra, dobbiamo dargli credito, ma penso che ci meritavamo quella vittoria. Non lo dico così per dire, ma quel tiro che non ho messo alla fine mi ha cambiato. Ho riguardato quell’azione mille volte, ma non sono stato capace di riguardare quegli ultimi tre minuti. Voglio solo chiedere scusa per quell’errore, mi dispiace moltissimo”.

 

La risposta di Eric sembra finita, ma alla fine della frase noto un asterisco. Scorro la mail e mi ritrovo con questo pensiero scritto a fondo pagina:

“Quella partita e quel tiro in particolare mi hanno fatto capire quanto ci tenga a compiere il mio sogno. Da quel momento in poi, ho deciso di lavorare ancora di più anche quando pensavo che non ne potevo più. Mi sono tirato fuori da tutto quell’interesse che girava intorno a me perché voglio rimanere concentrato sul mio obiettivo ed è per questo che non sono attivo sui social”.

Chi ti ha sorpreso di più nella squadra statunitense allenata da coach John Calipari?

“La verità è nessuno in particolare, ma la squadra era molto tosta, questo sì. Dopo la partita per il terzo e quarto posto (vinta dagli statunitensi per 96 a 72) a Calipari dissi che me ne doveva già due (vista la vittoria di Kentucky contro di noi la scorsa stagione). E’ un allenatore eccellente e, come sempre, la squadra statunitense è davvero forte. Avrei voluto vincere, ma sono sicuro che presto la squadra spagnola batterà gli Stati Uniti, non ho dubbi”.

Nella fase a gironi, avevate battuto per 78 a 73 il Canada di RJ Barrett, che contro di voi non aveva particolarmente brillato ma che è stato poi determinante per la conquista dell’oro. Pensi che sarà una futura stella della Ncaa?

“Non lo penso, so che sarà un punto di riferimento ovunque vada. E’ semplicemente un fenomeno che rispetto molto per quello che è riuscito a fare con il suo Paese. Senza dubbio è un talento speciale. Dopo il Mondiale, ho parlato con lui e come me è concentrato sui suoi obiettivi. E, come si dice qui, “the sky is the limit for this kid”.

Vila contro Barrett

Anche negli europei U20 la Spagna è arrivata al quarto posto: quale delle due competizioni ti ha deluso di più e perché?

“Il Mondiale. La sconfitta nelle semifinali contro l’Italia mi ha fatto male e non è tanto questione di “delusione”, al contrario, sono molto soddisfatto della mia squadra! Sono deluso del fatto che avevamo un sogno e questo ci è sfuggito proprio di un soffio. Abbiamo dimostrato a tutti il nostro livello e quello che mi è dispiaciuto è stato il fatto che alcune persone ci hanno screditato dopo quella sconfitta. Noi sappiamo bene quanto sia speciale la nostra squadra. Quel mondiale è stato speciale”.

Il tuo allenatore nella U16, Marc Calderón, che ho contattato in merito al primo articolo che ti abbiamo dedicato mi ha detto: “Éric sa far tutto: è ambizioso e per questo non ho dubbi sul fatto che sarà un grande professionista”. Ti riconosci in questa descrizione? Quali sono i tuoi punti di forza e cosa invece pensi che devi ancora migliorare per arrivare in Nba?

“Sì, è vero, sono un gran lavoratore e, come ha detto Marc, so qual è la strada per realizzare il mio sogno. Marc…Marc è stato uno degli allenatori più importanti per me. L’ho sempre detto: anche se ci sono persone che lo criticano, ogni anno la sua squadra è nella finale del campionato spagnolo…e questo vorrà pur dire qualcosa. E’ uno dei migliori allenatori del nostro Paese, senza dubbio, e sono molto orgoglioso di poter dire che abbiamo vinto una campionato insieme. Crescendo devo adattare il mio corpo a giocare più piegato, essere più solido nel tiro e migliorare il controllo della palla. La cosa più importante però è diventare più forte fisicamente, lì sarà la differenza”.

Le mie domande erano in realtà terminate ma, alla fine dell’email, scritto in grassetto c’era questo post scriptum che non posso che riportare.

“Voglio chiudere con un aneddoto sul tema del fisico. È che dalla scorsa stagione sono diventato molto più alto e sono cresciuto anche durante il Mondiale. Ed è una cosa accertata che quando cresco, tiro MOLTO male: il mio tiro cambia molto e devo sempre fare del lavoro extra prima di aggiustarlo. Marc conosce bene questi “allenamenti extra”, con lui ne ho fatti moltissimi. E quest’estate, andavo sempre prima in palestra per potermi allenare con un altro grande allenatore della Spagna, Javier Zamora, che devo ringraziare tantissimo. Ero 2.04 prima di partire per gli Stati Uniti e ora sono più di 2.10”.

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