Prima di lasciare SMU e arrivare in Italia a Torino, coach Larry Brown aveva fatto il massimo per convincere Jimmy Whitt a trasferirsi da Arkansas ai Mustangs e ha scelto bene. La prima stagione Whitt ha ripagato il college sul campo (10.5 pt e 5.2 rb di media) e adesso il ragazzo è uno dei leader designati della SMU della prossima stagione. Arrivato in Italia con la NCAA East Coast Selection, BasketballNcaa lo ha intervistato per parlare del suo percorso e della sua evoluzione tecnica.
Come altri tuoi compagni di avventura italiana, anche tu sei un transfer. Come hai vissuto il cambio da Arkansas a SMU?
Si tratta di una di quelle scelte che devi fare per cercare il meglio per te stesso. E’ una transizione difficile, specie perché si sta fermi un anno e solitamente sono abituato a giocare. In più molti dei ragazzi che cambiano college sono abituati a essere protagonisti al liceo, per cui è ancora più difficile stare a bordo campo. Sinceramente però il transfer mi ha aiutato molto perché sono maturato sia come uomo, sono diventato più rigoroso, ma anche come giocatore. Mi sono preso infatti del tempo per studiare con più attenzione la tattica e gli aspetti teorici del gioco.
Parliamo anche di un passo importante per un ragazzo giovane. Non è solo un trasloco, ma un allontanamento dai propri punti di riferimento. E poi aumentano le aspettative, a partire dalla forma fisica.
Esattamente. Considera che io mi sono trasferito da freshman, quindi ero davvero giovanissimo. Se non si sta attenti, è facile buttare via l’anno, rovinandosi anche quelli successivi. Come dicevi, ho raggiunto un certo livello di maturità quando ho capito non solo come tenermi in forma, ma come potenziarmi fisicamente pur senza giocare, dimostrando allo staff di comportarmi bene in palestra quanto in campo.
Parlando di staff tecnico, il tuo transfer è stato voluto e portato avanti da Larry Brown.
Trovare un coach che fa parte della Hall of Fame con una tale fiducia in me, come giocatore e come persona, nonostante avessi scartato SMU la prima volta che ho scelto, è stato qualcosa di speciale. Pur avendo optato per Arkansas, non ha mai mostrato rancore o qualsiasi altro sentimento negativo nei miei confronti, anzi era contento perché pensava fosse la scelta migliore per me in quel momento.
Quindi avevate mantenuto buoni rapporti?
Siamo rimasti in contatto e quando ho iniziato a cercare una nuova destinazione non ci ho pensato due volte a scegliere SMU perché coach Brown aveva ancora stima nei miei confronti e aveva la stessa voglia di avermi in squadra che aveva durante il primo recruiting. Per me questo valeva più di qualsiasi altra cosa.
Hai fatto parte di due SMU molto diverse, soprattutto dal punto di vista del record. Come lo spieghi?
I primi Mustangs di cui ho fatto parte erano incredibili. Parliamo di una squadra che ha raggiunto il miglior record di sempre nella storia di SMU, un gruppo da cui sono usciti tre giocatori NBA. Sapevamo di essere forti ma nessuno si aspettava di vincere 30 partite.
L’anno scorso invece cosa è successo?
L’anno scorso invece abbiamo perso per infortunio due titolari con molti punti nelle mani già nella prima parte della stagione (Shake Milton e Jarrey Foster, ndr), per cui molti giovani, incluso me, hanno dovuto occupare ruoli più importanti. Abbiamo vissuto una di quelle situazioni in cui ci sentivamo con le spalle al muro e sentivano la necessità di reagire, specialmente io per il background personale che ho. Voglio diventare un leader e un realizzatore più costante.
Stai lavorando molto sul tiro da tre punti. Come stai approcciando la nuova meccanica di tiro?
Sì, è un aspetto su cui mi sto impegnando molto. Praticamente ho ricominciato da zero, e questa è stata la cosa più difficile. Ho dovuto dimenticarmi tutto quello che sapevo e imparare ogni movimento come se fosse la prima volta. Il torneo in Italia è stata la prima esperienza di basket giocato da quando ho cambiato la meccanica, molto importante per prendere fiducia.