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“Spiderman” Hayes, dalla Florida a Cantù

Autore: Isabella Agostinelli
Data: 14 Gen, 2020

Per le sue lunghe leve, la sua energia e le doti fisiche in campo, Kevarrius Hayes è conosciuto come “Spidey”; è il re delle stoppate della serie A e, con il suo arrivo a Florida, ha ridato vita a un programma che nel 2015 era andato alla deriva. In campo, ha l’abitudine di parlare tanto e di dire le cose come stanno ma, dietro a una faccia dura, si nasconde un ragazzo dal cuore d’oro, cresciuto a basket e volontariato nella famiglia del proprio allenatore della high school e diventato forte grazie alla madre che è il suo modello indiscusso.

Ecco cosa ci ha raccontato lo Spiderman della San Bernardo-Cinelandia Cantù.

Hai comunicato la tua scelta del college quando ancora eri al secondo anno dell’high school: come mai così presto? Eri già così sicuro dei Gators?
Non avevo dubbi su quale università avrei scelto una volta finita l’high school: conoscevo bene la realtà di Florida University dato che era molto vicino a casa mia e inoltre avevo già incontrato coach Donovan personalmente. Senza contare il fatto che il mio allenatore alla Suwannee High School, Jeremy Ulmer, era un ex Gators. In poche parole, tutta la mia vita stava già gravitando intorno a Florida University e mi sentivo già parte del programma: non aveva senso aspettare.

kevarrius hayes

Non male come wingspan

Quando sei arrivato nel 2015, il programma stava attraversando un periodo difficile dopo una stagione perdente e l’addio dello storico coach Billy Donovan. Hai mai pensato che forse Florida non fosse più la giusta scelta?
Devo ammettere che la scelta di coach Donovan mi aveva confuso le idee: cosa ne sarebbe stato della squadra? Cosa mi aspettava? Ma quando ho conosciuto di persona coach White e ho visto il suo modo di giocare, non ho avuto più dubbi: sapevo che sarei stato in buone in mani. Ci ho parlato faccia a faccia, mi ha fatto vedere dei clip di alcune squadre da lui allenate precedentemente e ho visto che il suo gioco, veloce e dinamico, si adattava bene al mio. Nonostante tutto, l’offerta mi sembrava ancora molto promettente e ho voluto credere in lui.

Dato che lo hai menzionato, parlaci un po’ di coach Mike White e della sua visione di gioco.
Naturalmente è diverso da coach Donovan. Coach White ci lasciava maggiore libertà e, soprattutto, lasciava noi giocatori liberi di esprimere il nostro basket e di metterci in luce secondo quelle che erano le nostre migliori abilità. Un approccio del genere dà molta fiducia ai giocatori e può creare un ambiente pieno di energia come nel nostro caso. Inoltre, coach White è una persona che mette tanta passione in quello che fa e la sa trasmettere ai suoi giocatori: si vede che era stato un giocatore! Senza perdere mai di vista l’aspetto umano: passava ore a parlarci e a far sì che ciascuno di noi potesse dare il meglio in campo.

Hayes e coach Mike White

Hayes e coach Mike White

La stagione successiva siete arrivati subito alle Elite 8. Era il tuo anno da sophomore e dopo l’infortunio di John Egbunu, hai avuto anche molto più spazio e ti sei ritagliato un ruolo da leader in squadra: qual è il tuo ricordo più bello  di quella stagione?
Direi tutta la scalata fino alla Elite 8. Nessuno credeva che ce l’avremmo fatta, dato che venivamo da una stagione davvero complessa con tanti alti e bassi. Ricordo ancora che ESPN non ci aveva nemmeno menzionati tra le 16 squadre che si erano classificate alle Sweet 16. Prima del match contro Wisconsin, coach White ha portato nei spogliatoi quel comunicato di ESPN e ci ha detto che non potevamo contare su nessun altro tranne che su noi stessi; che dovevamo andare lì fuori e giocare per noi e dimostrare a tutti che si sbagliavano. È stato un discorso motivazionale davvero forte che ci ha dato il giusto assetto mentale per vincere quella partita e arrivare allo step successivo (perso contro South Carolina per 77 a 70).

 

Per due stagioni di fila hai chiuso con 67 stoppate, con una media di 2 a partita. Ti sei allenato in maniera particolare per questo fondamentale o è puro istinto?
(Ride soddisfatto) Sì, a pensarci bene sono tantissime, ma se l’ho raggiunto è stato anche perché il coach e i miei compagni mi hanno messo nella condizione di poter stoppare un numero così consistente di avversari. Poi, logico, la palla la devi bloccare e devo ammettere che è per lo più una questione di istinto. Si possono allenare la velocità nei piedi o la potenza nel salto, ma la capacità di avere il giusto timing e nel capire prima le intenzioni del proprio avversario, quelle sono innate. E io sono stato fortunato in questo.

 

La stoppata più clamorosa che hai fatto?
Faccio fatica a sceglierne una, ma sicuramente ti posso dire che la sensazione che si prova a stoppare un avversario che sta tentando una schiacciata è un’emozione fortissima! Senti in te una forza trainante e in quel momento ci si sente come invincibili.

Quella che invece hai subito?
Più che subire una stoppata, direi che la cosa peggiore è subire una schiacciata in testa mentre stai stoppando.

Qual è stata invece la vittoria più bella in maglia Gators? Per esempio, tra quella su LSU nel torneo della SEC dello scorso anno o quella contro Virginia nel secondo turno della March Madness nel 2016-17, quale sceglieresti?
Senza dubbio Virginia. Era una sfida nella sfida: quella tra le due migliori difese della NCAA e tutti non vedevano l’ora di sapere quali delle due avrebbe fatto meglio. È stato un match molto intenso in area, con tante stoppate e tante palle rubate da entrambe le parti: davvero divertente da giocare!

 

Segui ancora la tua squadra di college? Le cose non stanno andando proprio come previsto, dove potranno arrivare quest’anno i Gators?
Un pochino. So che stanno facendo bene, è un gruppo giovane con tante potenzialità che può dire la sua non solo in conference ma anche al Torneo. Ma lo sappiamo tutti: nella NCAA è difficile fare pronostici e quindi non c’è mai nulla di certo. Nella SEC ci sono squadre interessanti. Per esempio Auburn, non l’ho vista giocare, ma so che ha un record davvero positivo e potrebbe davvero farcela ad arrivare alle Final 4.

Parliamo un po’ di te. In campo sei un vero leader anche a livello vocale. Dove hai preso questa attitudine? Ha a che fare un po’ con tua madre visto che lavorava nell’esercito?
È più un mix di cose: da un lato sicuramente gli insegnamenti di mia madre, ma anche le esperienze scolastiche che ho potuto fare grazie alla mia tutrice legale Julie (Hayes è stato cresciuto in casa del suo allenatore Ulmer per quattro anni mentre sua madre era impegnata in un’operazione con l’esercito americano). Mia madre mi ha insegnato ad essere sicuro di me e a dire quello che penso in maniera aperta e sincera quando le cose non vanno bene. Julie invece mi ha insegnato a parlare in pubblico: mi ha obbligato a concorrere per “rappresentante d’istituto” e per farlo ho dovuto imparare a parlare davanti agli altri. Chi si poteva immaginare che si sarebbe rivelato così utile in campo?

Lo speech di Hayes nel giorno del suo diploma al liceo

In molte interviste hai detto che hai un legame speciale con lei. Qual è l’insegnamento più grande che ti ha dato?
Quando ero piccolo e io lei abbiamo passato dei momenti un po’ difficili (dice con voce che tradisce un po’ di emozione) e quindi quello che mia madre mi ha trasmesso maggiormente sono la sua forza di volontà e il suo entusiasmo nel vivere la vita. Se ho avuto la possibilità di studiare al college e poi di poter giocare da professionista qui in Italia, lo devo soltanto a lei e alla sua tenacia. Mi ha insegnato che il duro lavoro porta a dei grandi risultati e non potrò mai smettere di ringraziarla per questo.

Hayes con la madre

Hayes con la madre Verrice

Sotto canestro “senza pietà” ma fuori hai un cuore grande. Raccontaci del tuo impegno con i bambini più bisognosi, ai quali dedicavi il tuo tempo anche ai tempi del college. 
Julie mi ha avvicinato al mondo del volontariato. La sua famiglia mi ha aiutato quando ne avevo più bisogno e quindi sento che devo fare qualcosa anche io per gli altri. Capisco come si sentono quei bambini ed è per questo che per me è importante fare qualcosa per poterli aiutare. Vedere il sorriso sui volti dei più piccoli è un regalo grandissimo.

Torniamo al basket. Dopo il college hai provato ad entrare nel draft ma alla fine hai deciso di prendere la strada europea. Come mai la scelta di Cantù?
Ho pensato che una squadra come quella della Pallacanestro Cantù potesse essere un buon punto di partenza per la mia avventura nel professionismo. La serie A italiana è un campionato molto competitivo che mi avrebbe permesso di mettermi in gioco e misurarmi con giocatori anche molto forti in modo da crescere come giocatore e migliorare il mio gioco.

Cosa ti ha convinto del progetto di coach Pancotto e della società?
Come coach White mi aveva convinto con la sua passione e la sua attenzione verso i giocatori, anche Pancotto mi ha trasmesso queste sensazioni e ho deciso che potesse essere il giusto allenatore per questo passo nel professionismo.

Sei arrivato in una squadra che quest’anno si sta togliendo qualche soddisfazione e piazzato qualche vittoria importante come quella contro Milano: fino ad ora qual è stata la partita che ti ha coinvolto di più?
Non ci penso neppure un secondo e dico quella contro Milano, soprattutto per l’entusiasmo dei nostri tifosi: sembrava che avessimo vinto lo scudetto! (ride) Dopo la vittoria sull’Olimpia l’entusiasmo di tutti era alle stelle ed è stato davvero una grande emozione!

Chiudiamo con una curiosità: ho letto che il tuo super eroe preferito è superman, come mai? 
Ai tempi dell’High School mi chiamavano “Spidey”, ma non era Spiderman il mio eroe preferito. Penso che Superman sia il meglio del meglio ed è a lui che mi ispiro: è un uomo imbattibile, con grandi poteri, ma allo stesso tempo rimane umile; nonostante possa distruggere qualsiasi cosa  decide di fare la cosa giusta piuttosto che ottenere il potere e la gloria. Penso che sia un messaggio bellissimo e di cui faccio tesoro ogni giorno.

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