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La pazienza e la calma di Semi Ojeleye

Semi Ojeleye (SMU)
Autore: Paolo Mutarelli
Data: 23 Gen, 2017

Il viaggio alla scoperta di uno dei giocatori più sottovalutati dell’intero panorama Ncaa inizia circa sei anni fa in una palestra di high school a Ottawa, Kansas. Tutti i presenti sono sbalorditi da un bambinone al secondo anno che salta in testa a tutti e segna punti a ripetizione. Da quando entra al liceo, il nome di Semi Ojeleye rimbalza di palestra in palestra suscitando sempre più interesse, per quello che fa e per il fatto che segna una quantità imbarazzante di punti. A fine carriera il ragazzo riuscirà anche a settare due nuovi record dello stato del Kansas (che è un posto da cui son passati giocatori discreti): punti segnati in carriera e punti segnati in una singola stagione, portandosi a casa i prestigiosi Gatorade Kansas Player of the Year e Magazine National Player of the Year.

Il giovane atleta riesce a fare tutto questo in parte grazie al talento naturale di cui madre natura lo ha dotato (2 metri di muscoli e velocità), in parte grazie all’etica lavorativa con la quale affronta ogni giorno in palestra. Nonostante sia di gran lunga il miglior giocatore della squadra, continua a lavorare senza sosta e quando un compagno di corso gli chiede perché si alleni così duramente, risponde serafico: “Questa è l’umiltà, voglio solo aiutare i miei compagni e avere una buona stagione”. Ok, di storie così ne avete già sentite. Sembra l’inizio di una ‘Next Big Thing’ che racconta una strada spianata verso il paradiso Nba e invece no, il destino aveva riservato a Ojeleye una strada più tortuosa.

L’importanza delle scelte

A fine 2012, Ojeleye, recruit four-star Espn compie la sua scelta universitaria e firma la lettera di intenti per Duke, preferendola a Oregon, Stanford e Indiana. Sembra la scelta più logica: uno dei giocatori più forti in una delle squadre più forti. “Mi chiedevo quale fosse il miglior coach in Ncaa e quale fosse la squadra migliore” spiegava a quei tempi. La scelta ricade in maniera quasi naturale su coach K e sul suo ateneo.


Arriva così a Durham nello stesso anno di Jabari Parker e Matt Jones e dovrebbe, almeno nei piani iniziali, andare a rimpolpare la frontline rimasta orfana di Mason Plumlee e Ryan Kelly e che ora dispone solo di Josh Hairston e dei giovanissimi Marshall Plumlee e Amile Jefferson. Quell’anno Duke non gioca particolarmente bene, anche se arriva al torneo come terza testa di serie, ma perde contro Mercer, soffrendo l’assenza di un centro di sostanza e pagando a caro prezzo una difesa spesso ballerina, giocando a volte a zona e schierando Parker addirittura come 5. Vi starete chiedendo: e Ojeleye? Di lui non c’è traccia. Solo 80 minuti giocati in tutta la stagione senza mai entrare nelle rotazioni di coach K.

Anche il secondo anno è un fallimento. “Continuavo a chiedere al coach cosa volesse che io facessi per giocare. Mi rispondeva di prendere rimbalzi e io, alla fine della partitella, ero il migliore dopo Okafor, ma nelle partite serie non giocavo mai” racconta. E riesce a collezionare meno minuti rispetto all’anno prima (63) e viene completamente chiuso nelle rotazioni da Justise Winslow e dalla crescita di Amile Jefferson. Non aspetta nemmeno la fine della stagione e verso dicembre compie un’altra scelta: chiede e ottiene il transfer e dice addio a Duke.

L’importanza dell’ibernazione

In realtà i criteri nella scelta della sua nuova università ricalcano quelli usati la prima volta. Sceglie SMU perché Larry Brown è uno dei migliori allenatori in circolazione e anche perché il coach dimostra un’interesse fuori dal comune per il cuore infranto di Semi. Va in ibernazione per un anno, cioè sta fuori dal campo a causa delle regole sui transfer. Questa fase non serve tanto a conservare gli organi intatti, ma funziona più come il fattore rigenerante di Deadpool: cura da tutti i mali e migliora a dismisura le qualità.

Arriva dicembre 2015 e l’inizio di SMU è sorprendente. La squadra è ancora imbattuta e sta volando piano piano sempre più in alto nelle posizioni del ranking. Qualche mese prima però, a fine settembre, era scoppiato uno scandalo le cui conseguenze portano Larry Brown a una sospensione di nove partite e il college alla squalifica dalla post-season.


A quel punto l’esperto coach Brown decide di dare per sei mesi il redshirt status ad Ojeleye, in modo da non sprecare un anno di eleggibilità per una stagione senza alcun obiettivo. Altri sei mesi di pazienza e ancora ibernazione per Ojeleye.

L’importanza di giocare

“Penso che il primo tempo per lui sia stato come giocare sulla luna. Era da troppo che non scendeva in campo e non era a suo agio”. Sono le parole del suo nuovo coach Tim Jankovich (nel frattempo Brown ha lasciato la panchina). Sono passati 23 mesi dall’ultima apparizione di Ojeleye su un campo Ncaa. SMU ha appena terminato una gara contro Gardner Webb, nella quale dopo un rugginoso primo tempo, il ragazzo del Kansas mette in mostra tutta la sua prestanza fisica sotto ai tabelloni piazzando una spettacolare doppia-doppia da 26+14. Ed è solo un assaggio.

Dall’inizio di questa stagione, Ojeleye sta mostrando finalmente le sue doti da scorer di razza, sia dal palleggio che vicino a canestro, risultando tra i più efficaci anche a rimbalzo. Non è un difensore strepitoso, ma si applica molto e fa sentire tutto il suo fisico. Ormai è diventato un bulldozer con delle mani dolcissime, il leader tecnico ed emotivo dei Mustangs di coach Jankovich (anche lui al suo primo anno intero a SMU).

Quando gli fanno notare quanto sia cresciuto e quanto sia forte, Ojeleye mostra subito quell’umiltà che lo contraddistingue dai primi giorni di liceo a Ottawa e spiega che il merito dei suoi risultati va attribuito al sistema costruito dal coach e che lui sta solo recitando la parte voluta dal coach. Sarà, ma di fatto adesso il ragazzo è uno dei più probabili candidati a vincere il premio di MVP della AAC, e probabilmente un merito ce l’ha anche la sua pazienza. Coach Jankovich adesso si coccola il suo talento, che è un junior e quindi potenzialmente avrà un altro anno all’università. Sempre che prima non decida di provare a misurarsi con la Nba.

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