Home 9 Interviste 9 Maikcol Perez: “Prima mi prendo Baylor, poi l’NBA”

Maikcol Perez: “Prima mi prendo Baylor, poi l’NBA”

Maikcol-Perez-Baylor
Autore: Paolo Mutarelli
Data: 29 Dic, 2025

Il Mondiale U17 del 2024 l’aveva detto ben chiaro, Maikcol Perez ha il talento per imporsi in America e la scelta fatta questa estate sembrava perfetta: un programma importante come Baylor, capace di costruire talenti per l’NBA insegnando pallacanestro in una delle conference più competitive e profonde della Division I come la Big 12, per di più in un’annata in cui i Bears ripartivano da zero, senza alcun ritorno dalla stagione precedente. Insomma, il posto giusto al momento giusto.

Però si sa che i sogni di mezza estate non sempre si tramutano in realtà e la stagione NCAA 25-26 si sta rivelando non semplicissima per i ragazzi italiani. E già da settembre non tutto è andato per il verso giusto con l’infortunio al crociato del talento ex Bassano che ci ha raccontato tutti gli step della sua riabilitazione, il piano che ha in testa per arrivare in Nba e il meraviglioso impatto che Baylor ha avuto nella sua vita.

Tutto con lo spirito giusto di chi sta lavorando duro per rialzarsi, anche perchè ha appena compiuto 18 anni e ha quindi tutto il tempo per farlo.

ENGLISH VERSION

Partiamo dalla domanda più semplice, come stai?

All’inizio è stato un po’ difficile, ma vorrei usare il termine diverso più che altro. Comunque ho sempre giocato in Italia, in America ero venuto solo per visite o allenamenti. L’avevo già vissuta, però da turista. Trasferirsi e viverci è un altro conto. Sono arrivato quest’estate, avevo prima fatto visita alla squadra in Germania dove stavano facendo un torneo (le Universiadi), poi siamo venuti tutti insieme per gli allenamenti estivi. Sicuramente l’esperienza a Bassano mi ha aiutato molto, ero abituato ad essere lontano da casa. Mi sono adattato subito e mi sto trovando benissimo.

Assieme a Gabriel Pozzato hai vinto il premio sfiga dell’anno, raccontaci cosa è successo.

Verso la fine di un allenamento, stavo per chiudere al ferro in penetrazione e, facendo un terzo tempo, ho fatto una finta sul secondo passo con una spinta da dietro, il mio corpo è andato avanti e il ginocchio è rimasto indietro e quindi si è iperesteso. Ho sentito una fitta, sono caduto per terra, avevo capito che mi ero infortunato ed è partito tutto il processo tra operazioni e recupero. In realtà, sono veramente fiero del punto in cui mi trovo ora. Sto andando meglio del previsto, sto sorprendendo anche le aspettative dei dottori. Questo mi dà tanta sicurezza perché sto utilizzando questo tempo per perfezionare tutti gli aspetti che volevo perfezionare prima, ma non ho mai avuto il tempo per farlo. Ora posso concentrarmi su di me, i mio obiettivo è di essere in una condizione migliore di come ero prima dell’infortunio. Per quest’anno o per l’anno prossimo.
Non voglio forzare il rientro quest’anno con il rischio di causare altro. Voglio prendermi tutto il tempo per migliorare anche negli aspetti extra basket, sto conoscendo altre parti di me e fisicamente sto migliorando tantissimo. Sto cercando di raccogliere la parte più buona da questa cosa bruttissima. Credo che anche da come ti rialzi da questa cosa si vede la differenza tra i vari giocatori.

Maickol Perez

 

A che punto sei ora della riabilitazione?

Dopo le lezioni di mattina e il pranzo, mi dedico alla terapia. Prima per il ginocchio col fisioterapista, poi faccio palestra con il preparatore atletico e poi, dato che non posso ancora correre, mi sto focalizzando tanto sul palleggio statico e sul tiro statico, da fermo. Sto curando i dettagli e cura del mio corpo, faccio tantissimi pesi e tantissima terapia.

Figlio di un giocatore di baseball, invece che con un pallone tuo padre ti ha fatto giocare con una mazza. Come è andata?

Mio padre è della Repubblica Dominicana e ha sempre avuto il baseball nel sangue, l’ha sempre giocato ed è per questo che il primo sport che ho provato è stato il baseball. Mi ricordo, però, che giocando da piccolissimo ho preso una pallina abbastanza forte sul ginocchio e ho iniziato a piangere. Da lì non ho più voluto toccare neanche una pallina e allora mio padre mi ha fatto provare il basket. All’inizio, se devo essere sincero, non mi piaceva tanto però piano piano, allenamento dopo allenamento, mi è iniziato a piacere sempre di più e poi da lì non ho più smesso.

Da Latina ti sei spostato in Veneto dove hai giocato tre anni all’Orange Bassano. Come è stata quell’esperienza chiusa con il titolo U17 dopo una finale dominata con 36 punti e 18 rimbalzi?

Gli anni a Bassano sono stati tra gli anni più belli della mia vita, soprattutto per le persone che ho incontrato sia nel basket, ma anche fuori dal basket. Penso a tutti i miei compagni di scuola che sento ancora oggi, mi ha portato tante esperienze di vita, quindi sono stati proprio degli anni molto molto belli. Me li ricorderò per sempre. Po mi ha aperto tantissime porte per il basket, porte che mi hanno portato alla fine qui dove sono oggi.

A Bassano vieni messo in un contesto dove per te c’è solo basket. Vivi in foresteria con tutti i tuoi compagni e a scuola vai con i tuoi compagni. Il basket è la cosa principale. Sono migliorato tanto anche per la quantità di basket che ho vissuto, dato che il basket era intorno a me tutto il giorno. É stata anche una bella esperienza con tutti i tornei all’estero, alzando la qualità degli avversari contro cui giocavo sono sempre migliorato, ho anche avuto la possibilità di giocare in tornei prestigiosi che mi hanno portato qui. Poi c’è il legame con i ragazzi, qualche giorno fa erano in qui a Dallas per un torneo (sotto la bandiera della Star Alliance nel circuito Grind Session), mi ha fatto molto piacere vedere soprattutto Brian Angeletti, ho fatto tutti e tre gli anni insieme a lui. É stato bello rivedere facce con cui sono stato per anni nello stesso appartamento.

 

Poi hai deciso di attraversare l’oceano, da quanto segui l’NCAA?

Al contrario di altri, ho sempre guardato l’NCAA, sono sempre stato un fan perché era dove volevo arrivare da quando comunque ho iniziato a prendere il basket seriamente. Mi sono sempre tenuto informato, sono sempre stato attratto dall’oltreoceano, vedevo sia l’NBA che l’NCAA. Non mi sono mai sentito attratto, invece, dall’Europa o dall’Italia.

Erano interessate a te Cincinnati, Miami e Nebraska, dove sei andato in visita. Alla fine hai scelto il Texas e Baylor senza neanche andare là prima, come mai? 

La maggior parte dei contatti sono arrivati dopo le mie prestazioni con la nazionale. Partendo dall’Under 16 con l’Europeo ma soprattutto dopo il Mondiale dell’Under 17, che ho chiuso con l’argento e nel miglior quintetto, da lì è iniziato il reclutamento, una fase abbastanza pesante con tantissime scuole che si sono fatte sentire. L’anno scorso è stato il primo anno che ho iniziato a toccare seriamente l’aspetto del college, ho fatto la prima visita quando sono andato a Nebraska con i miei agenti, che venivano contattati ogni giorno da college diversi. Alla fine ho scelto Baylor perché mi ha affascinato per tanti motivi: ho sentito belle storie da altre persone che hanno frequentato Baylor, sono stato affascinato soprattutto da coach Drew, dalla sua cultura, dal modo in cui ha portato tanti prospetti in Nba e ora che sono qui sto capendo in prima persona la sua grandezza umana.
Ultimamente si parla tanto di NIL, delle opportunità che ti apre, ma per me non è mai stato un obiettivo, è una cosa che va in parallelo al basket. Ho sempre cercato un rapporto con il coach che va oltre al basket, un bel posto dove crescere, un posto che mi possa portare in NBA e sono tutte cose che ho riconosciuto in coach Drew e in Baylor sin dal primo momento in cui mi ha chiamato. É stata la prima cosa di cui mi ha parlato, non si è mai smentito. Non rimpiango affatto la mia scelta perché tutto quello che mi immaginavo si sta avverando. Mi piace l’ambiente e il calore che c’è a Waco.

A Nebraska c’è un altro laziale come te, Luca Virgilio. Com’è andata la visita con lui?

Mi ha fatto molto piacere andare lì, con Luca si è creato un bellissimo rapporto anche quando sono andato lì a visitare, mi ha fatto molto piacere. É una persona super, molto professionale in tutto il processo di reclutamento, mi è piaciuto molto il campus. Però in questo caso, sai, non c’è una scelta giusta o sbagliata. In alcuni casi ti ritrovi a dire ‘questo è un programma buono, questo no’, stavolta avevo di fronte due programmi ottimi e ho fatto la mia scelta per decisioni che vanno oltre il basket, sicuramente non a discapito di Nebraska, ma a favore di Baylor. Ringrazio anche coach Hoiberg che è sempre stato caloroso con me, ho fatto semplicemente la mia scelta che al tempo credevo giusta e che oggi si sta rivelando ancora giusta. Non so dirti come sarebbe stato se fossi andato a Nebraska, ma sono fiero e ho la certezza di aver fatto la scelta giusta andando a Baylor.

 

La squadra è totalmente nuova, non c’è un solo giocatore rimasto dall’anno scorso. Come ti è sembrata e che ruolo pensavi di avere prima dell’infortunio?

Il mio ruolo quest’anno doveva essere un ruolo molto importante. La squadra era molto nuova e piena di giovani. Ci siamo io, Toundè (Yessofou) che è al primo anno, Isaac (Williams IV) che è comunque un sophomore, ci sono comunque tanti freshman e quindi avrei dato una grandissima mano. Durante il recruiting, coach Drew ha spinto tanto per avermi e in campo avevo trovato proprio un bel feeling con la squadra, anche in allenamento stavo giocando tanto e soprattutto stavo giocando molto bene. Ero sicuro che avrei potuto fare veramente una stagione fatta per bene, mi stavo trovando a mio agio nel modo in cui coach Drew orchestra il gioco in attacco e anche la difesa. É un modo di giocare in cui mi rivedo molto bene, durante gli allenamenti mi sono trovato molto bene e poi ci sono stati tanti infortuni.

 

Il punto fermo è Scott Drew in panchina, raccontaci che tipo è.

É stata una grande esperienza nelle prime settimane capire e studiare il suo sistema per la prima volta. Mi piace molto coach Drew perché pensa molto non solo al giocatore di basket, ma soprattutto alla persona. Il basket viene in secondo piano, tiene molto ai suoi giocatori come persone attive nel mondo di oggi, che non facciano certe cose, ci tiene molto alle famiglie, a tutta la comunità di Waco. A me piace proprio come persona. Tiene molto anche alla religione, è al centro di tutta la cultura di Baylor e di tutto il programma e lui ci tiene molto. Non è uno di quelli che usciti dalla palestra scompare, anzi, spesso mi ha invitato a cena da lui, mi invita anche a cose extra-basket, quando è venuta la mia famiglia è stato carinissimo. Poi sul lato basket è uno dei migliori allenatori del college basket, dietro la sua difesa c’è tanta testa e ha una capacità di lavorare anche con gli assistenti unica. C’è un coaching staff di livello super, credo che tutti potrebbero allenare da head coach in un’altra scuola. Dietro il successo della squadra in generale c’è tanto lavoro e tanta testa da parte di tutti gli allenatori e anche da parte sua soprattutto con tutte le tattiche che cerca di applicare.

In tanti in America hanno definito il suo titolo del 2021 “un capolavoro”. La sua storia qui

Considerato uno dei maestri difensivi dell’Ncaa, soprattutto per le diverse zone che usa, Drew ha sviluppato anche tanti talenti poi finiti in Nba. Hai scelto Baylor anche per questo?

Soprattutto per questo. Voglio comunque utilizzare il college per il mio obiettivo finale che è l’Nba. Passare da qui per me è il modo migliore e a Baylor ho trovato tutte le caratteristiche che cercavo. Penso che sia il posto perfetto per me e a testimoniarlo ci sono tutti i giocatori che sono in Nba. VJ Edgecombe è uno dei candidati per il rookie dell’anno, sta facendo una stagione assurda a Philadelphia, Keyonte George sta esplodendo quest’anno a Utah, te ne posso dire tantissimi altri che ora sono parti fondamentali di roster Nba. Questa cultura che lui cerca di instaurare nei propri giocatori è fondamentale: lui ha un progetto per ognuno di noi e ci prepara per fare il salto in Nba. Che poi è quello che manca a tanti prospetti: qualcuno che ha un progetto per farti fare il salto.

 

Come sono i suoi allenamenti? Su cosa spinge? 

La difesa è alla base di tutto. Secondo lui, quando un giocatore può difendere contro chiunque, tu non puoi toglierlo dal campo. É anche quello che cerca l’Nba ora, persone abili a difendere su chiunque per tutto il tempo, vogliono tutti quanti role player assurdi, come ad esempio Oklahoma. Alex Caruso, Cason Wallace, Jaylen Williams, tutti role player che in un’altra squadra sarebbero All Star. Questa è la cultura che vuole darci anche coach Drew. La cosa che vuole di più, comunque, è vedere i propri ragazzi avere successo nella vita, al di fuori del basket. Quindi ti prepara mentalmente a sacrificare una scelta che può darti di più sul momento per una che ti può dare un futuro migliore. C’è molto un lavoro mentale dietro. Poi c’è anche l’aiuto di questo nuovo allenatore, coach Melvin Hunt, che è stato per tantissimi anni in roster NBA (i Lakers di Kobe, i Cavs di LeBron, la Denver di Anthony) e lui ci dà tanti consigli su come essere ben visti dell’NBA. Ha preparato Draft, ha vissuto i front office NBA, sa quello che cercano gli scout che sono presenti ad ogni allenamento, ad ogni partita. Sa cosa cercano e cosa vogliono vedere e ci prepara ala meglio.

 

Più forte Cameron Carr o Toundè Yessofou?

É una domanda difficile perché secondo me sono totalmente diversi. Toundé è molto più a livello difensivo, molto più una sicurezza anche e soprattutto per il tipo di fisico che ha, quindi lui è più a livello di two way. Però anche se si parla di puro talento in attacco, per me a livello nazionale è uno dei migliori a mani basse. Mettendolo affianco a Cameron diventano uno dei migliori duo a livello nazionale, soprattutto a livello di scoring. Penso che Cameron sia in top 10 in tutta la nazione per punti (11° a 21.7 di media), anche Toundé penso sia subito dietro. A livello offensivo sono una forza assurda però, allo stesso tempo, anche in difesa sono complementari. Toundé più fisicamente, Cameron invece fa la differenza con il suo atletismo.

Come stanno andando questi primi mesi di stagione e come hai visto crescere la squadra?

 

Sono stati molto belli. La squadra sembra giocare insieme da tanto tempo e, anche se è nuova, abbiamo creato un bel rapporto e legato insieme. C’è gioia nello stare insieme al di fuori del campo che poi è quello che, secondo me, fa la differenza quando sei in campo. A me piace tantissimo il rapporto che c’è tra i ragazzi, siamo stati più che altro molto sfortunati con gli infortuni perché un altro centro si è fatto male al braccio (Juslin Bodo Bodo, transfer da High Point), io mi sono fatto male, nell’ultima partita prima di quella contro St John’s l’altro playmaker (JJ White) si è fatto male, quindi già tre che dovevano essere pezzi importanti della squadra erano out. Avremmo potuto vincere contro St John’s fossimo stati tutti, quindi adesso ci stiamo più che altro adattando ad una situazione inaspettata. Però sono fiero del modo in cui ci stiamo comportando. Quando cambi squadra, cerchi anche di capire come l’ambiente reagisce alla difficoltà, non solo come si comporta quando le cose vanno bene, e devo dire che sono molto contento di come coach Drew stia gestendo insieme allo staff questa situazione.

Sei sempre stato un giocatore molto forte in avvicinamento al canestro, con ottimo ball handling e mobilità di piedi, cosa ti manca per diventare un giocatore veramente completo?

 

Stavo già lavorando sul ritmo, sull’abitudine a giocare in maniera molto più veloce con un tempo di reazione più alto. É un tipo di gioco che si basa molto più sulla verticalità e meno sull’orizzontalità, ci sono tanti atleti assurdi qui in America, hanno un talento pazzesco nel giocare a basket ma a livello fisico ti spaventa l’impatto. Quindi devo abituarmi a questo nuovo stile di gioco, lo stavo facendo. Ero convinto che quest’anno sarei potuto andare alla grande. Ora mi sto preparando, sto lavorando sulle mie piccole lacune di gioco, per essere perfetto a qualsiasi livello l’anno prossimo. Quindi lavorare sulla differenza di velocità per poi utilizzare a mio vantaggio tutto quello che ho imparato in Europa, la mia diversità, e portarla in America ad un ritmo e ad un atletismo maggiore.

 

Al Mondiale hai affrontato in finale Cameron Boozer, Koa Peat e AJ Dybantsa: quanto ti è servito vedere che potevi giocartela anche contro di loro?

Il Mondiale è stato una delle esperienze più belle che ho fatto. Non sono stato con undici persone casuali, ma con undici fratelli con cui mi conosco da anni. La squadra è sempre quella per qualunque competizione, siamo sempre noi. É stato bello giocare ogni partita con degli amici, quindi è stata un’esperienza veramente molto bella anche perché abbiamo portato a caso un risultato storico. È stata più che altro una favola. In finale non mi sono mai preoccupato di giocare contro Team USA perché sapevo già che avevamo portato a casa un risultato storico per la Nazionale Italiana.

 

Per me era un’occasione assurda poter giocare contro di loro e dimostrare di essere allo stesso livello, portando a casa una gran prestazione (18 punti, 8 rimbalzi e 8 assist) davanti a tutti quanti perché quando giochi contro Team USA tutti quanti guardano. Se tu fai bene, ti si sbloccano le opportunità. Sono fiero sia del risultato di squadra che singolo, non poteva andare meglio. Giocare contro giocatori del genere ti dà la consapevolezza del tuo gioco, la certezza di poter competere. Prima magari potevi pensare di essere al loro livello, ma solo in campo lo capisci. Dopo quella partita ho capito che posso entrare nel mondo americano, che a volte tende ad ingigantire a livello mediatico alcuni talenti. Io invece finché non ci gioco contro non mi esprimo, non so se quelle cose che sento sono vere o no. Quindi è stata una bella partita per testare il mio livello contro il loro e credo che appartengo a quella categoria.

Nella nazionale azzurra c’erano quattro ragazzi dell’Olimpia e Achille Lonati è il primo a essere già arrivato in Ncaa. Vi sentite, lo stai seguendo?

 

Sì, sì, ci sentiamo, apparteniamo a questo livello. Però quello che voglio dire è che in tanti dicono “voglio giocare in NCAA” più per il fascino di giocare in America che per una reale necessità. Secondo me ognuno deve capire qual è il percorso giusto per sé. Non dico che non hanno il talento o le caratteristiche ma, se vuoi arrivare all’apice, devi fare il tuo percorso personale e le tue scelte, devi giocare. Se vai in NCAA, ma non è il tuo percorso, non ti fa fare gli step di cui hai bisogno, ti sei perso per seguire una strada che non è la tua, l’hai presa solo perché tutti la prendono. In tanti mi scrivono per avere informazioni, per sapere com’è ed è una cosa che mi rende fiero, di come io possa essere un esempio per altri ragazzi che vogliono intraprendere questo percorso. Io, magari, ho dovuto parlare con degli americani per capire che mondo era l’NCAA, non avevo un italiano. Invece poter aiutare un tuo connazionale che ha dei dubbi e spiegargli come funziona è diverso.

E tu invece quanto hai intenzione di restarci?

 

Ho sempre pensato che il mio obiettivo finale è quello di arrivare in NBA quindi, appena ho la possibilità, vado. Appena faccio una bellissima stagione, vado. Non puoi sapere prima quando, ma appena faccio una stagione con i fiocchi, in cui miglioro tantissimo, arrivo al livello a cui voglio arrivare, appena vedo la possibilità, voglio andarci. Per il tipo di giocatore che sono e per il tipo di persona che sono, Baylor è la migliore piattaforma per arrivarci. Ad oggi posso dire che Baylor mi piace tantissimo come ambiente, ha creato tantissimi giocatori NBA, ha una storia di talenti passati qui, coach Drew mi dà tanta sicurezza perché ho visto tanti giocatori come me che hanno fatto il percorso che voglio fare e mi dico “Cavolo, loro ce l’hanno fatto grazie a coach Drew e ai suoi insegnamenti, quindi posso farcela anche io”.

Articoli correlati

Italia-Arcidiacono, c’è ancora da aspettare
Ryan Arcidiacono (Villanova)

Un ragazzo “con il dna del leader”, da prendere “a prescindere dal passaporto” perchè può diventare “un giocatore da medio-alta Leggi tutto

De Nicolao, ‘a San Antonio per migliorare’
Ncaa basketball - Giovanni De Nicolao (Utsa)

Iniziamo l'approfondimento sui giovani italiani in Ncaa con un'intervista a Giovanni De Nicolao, fratello più giovane di Andrea e Francesco, Leggi tutto

Da Moore a York, i rookie in Italia
Nic Moore

Qualcuno lo avete già visto in azione, altri no. C'è chi punta forte su di loro, come Brindisi, e chi Leggi tutto

Oliva salta la stagione Saint Joe’s si fa piccola
Pierfrancesco Oliva - Saint Joseph's

La giovane ala italiana non giocherà la stagione da sophomore (intervento al ginocchio). Doveva essere uno dei lunghi di punta Leggi tutto

Preview – Iowa State Cyclones – 22

Niang, Nader e McKay are all gone, complicating things for coach Steve Prohm and his Iowa State Cyclones, but Monte Leggi tutto