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Da 11 a 0, i voti della seconda settimana

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 26 Mar, 2018

Loyola, Michigan, Villanova e Kansas: queste le quattro finaliste d’un Torneo che, come poche altre volte, ci ha fatto saltare dal divano e rischiare denunce per schiamazzi notturni. La seconda settimana di partite è stata piena di vicende esaltanti: qui, ne rivisitiamo alcune attraverso il nostro pagellone, senza tralasciare ciò che ci ha fatto storcere il naso.

11

Come il numero di seed di Loyola e anche il voto che si merita da 1 a 10 per la sua incredibile cavalcata fino alle Final Four. LSU ’86, George Mason ’06 e VCU ’11: solo altre tre squadre prima dei Ramblers erano giunte fino all’ultimo fine settimana di March Madness con una testa di serie così bassa. Nessuna di loro ha però poi raggiunto la finale, cosa che invece potrebbe riuscire benissimo alla squadra di coach Porter Moser, capace di giocare una grande pallacanestro in ogni singola partita e, infine, mettere in crisi una delle migliori difese del Torneo, quella di Kansas State.

10

Il voto che merita Villanova per la stagione condotta fin qui. Prima che iniziasse il Torneo, vi avevamo detto di come i Cats necessitassero un giro di vite difensivo e di come ci fossero stati segnali positivi. La squadra di Jay Wright non ha deluso in questo senso, passando dal 105.7 di AdjDE nella regular season della Big East al 97.3 registrato in tutta la March Madness (torneo di conference compreso). Per equilibrio, ora somiglia molto di più alla squadra campione Ncaa del 2016.

9

Sonnecchiante per tutta la stagione, Malik Newman si è svegliato a Marzo e ha messo a dormire ogni avversario affrontato (22.7 punti di media fra torneo della Big 12 e Torneo Ncaa). Contro Duke, l’apoteosi: 32 punti (career-high) di cui 13 nell’overtime (cioè tutti quelli segnati da Kansas), ha seminato il panico con le sue scorribande in area e fatto danni ancora più grossi scoprendo i punti deboli della zona dei Blue Devils, ovvero prendendo casa nei due angoli esterni alla linea dei tre punti e colpendo a ripetizione fra secondo tempo e OT.

 

8

Per Charles Matthews, le cose non sono state sempre semplici. “Bambi on ice”: questa la definizione lapidaria coniata da coach John Beilein per descrivere il periodo complicato vissuto dal suo giocatore nel mese di febbraio. Matthews si è però rivelato come sicurezza assoluta per i suoi nel Torneo, mettendo una pezza provvidenziale alla leadership altalenante di Mo Wagner. Contro Florida State, l’ex Kentucky ha aggredito la partita sin dal primo minuto, è apparso come una iradiddio in entrambe le metà campo (17 punti, 8 rimbalzi, 2 stoppate) ed è infine stato premiato come Most Outstanding Player della West Region.

7

Il voto che diamo a Sagaba Konate per il suo torneo, che è anche il numero di stoppate – una più clamorosa dell’altra – rifilate nelle tre partite disputate. Il sophomore è stato uno dei giocatori più elettrizzanti della Big 12 ed è destinato a essere protagonista assoluto in una West Virginia che, dall’anno prossimo, sarà orfana dei pilastri Jevon Carter e Daxter Miles.

 

6

Tanto talento lontano dall’essere sgrezzato, molte prestazioni da dimenticare nel bel mezzo della stagione ma, alla fine, l’annata di Kentucky merita la sufficienza piena, visto che i Wildcats sono riusciti a vincere il titolo della SEC (tutt’altro che scontato quest’anno) e a raggiungere le Sweet 16. Se coach Cal dovesse riuscire a trattenere un buon numero di giocatori, potranno divertirsi davvero tanto l’anno prossimo.

5

La stagione di Gonzaga è stata ottima ma, suo malgrado, la prestazione offerta dalle guardie titolari nelle Sweet 16 non è andata oltre la mediocrità, proprio nel momento in cui era necessario un loro sforzo ulteriore per mettere una pezza ai piani scombinati dall’assenza last-minute di Killian Tillie. Josh Perkins, Silas Melson e Zach Norvell hanno messo insieme una prestazione al tiro non proprio eccezionale (10/36 dal campo e 6/10 ai liberi), sovrastati dall’aggressività difensiva di Florida State, cui si sono mostrati impreparati nella prima parte del match.

4

Coach K ha abbracciato (e rivisitato) una 2-3 che non gli era mai appartenuta e questa estraneità ha finito per emergere prepotentemente quando il gioco s’è fatto duro. Dopo i ceffoni presi da St. John’s e North Carolina a inizio febbraio, era sembrato che la difesa di Duke avesse trovato una sua quadratura ma, dopo gli scricchiolii avvertiti contro Syracuse, i limiti sono infine esplosi nella sconfitta con Kansas. La politica di recruiting dei Blue Devils non sembra dover cambiare nell’immediato e potremmo doverci abituare a film simili anche nel futuro prossimo.

3

Se parliamo di difese fallaci, non possiamo passare oltre quella di Nevada, la quale ha finito per essere la 107a in Division I per AdjDE. La gioiosa anarchia dei Wolf Pack funziona alla grande nella metà campo offensiva ma in difesa, invece, porta disastri assoluti, come nel caso dei tappeti rossi stesi ai piedi dei giocatori di Loyola per andare a concludere al ferro. Nella prossima stagione rivedremo quasi tutti i giocatori-chiave di quest’anno: Nevada si preannuncia sempre temibilissima ma, per fare strada, dovrà cambiare parecchie attitudini in retroguardia. Impresa non così scontata.

2

Dal terzo fallo fischiato a Jevon Carter nella partita con Nova, a un doppio tecnico rifilato nella stessa, fino allo sfondamento non ravvisato contro Newman ieri sera: ci sono state sviste e protagonismi arbitrali a non finire, come nella peggior tradizione dei fischietti del college basket. Incrociamo le dita per le Final Four, sperando di non dover assistere a scempi simili a quelli della scorsa finale.

1

Uno, come l’unicità di Sister Jean ma anche come il voto che merita certa stampa. Abbiamo parlato abbondantemente di lei, anche prima del Torneo, e non facciamo eccezione nell’adorarla. Ecco, però ora anche basta. La narrazione che i media americani hanno assunto nei riguardi di Loyola ha preso, in gran parte dei casi, una piega ridicola, anteponendo spesso il folklore alla sostanza della vicenda: quando un gigante dell’informazione parla di un’impresa sportiva mettendo, nel titolo, prima il nome di una suora rispetto a quello di una squadra, c’è proprio qualcosa che non va.

0

Come i falli spesi da Marvin Bagley nel match con Kansas. Passino le scarse attitudini difensive, ma ci si aspetterebbe altro atteggiamento da una star come lui in una partita d’Elite Eight, specie quando il proprio compagno di reparto deve lasciare anzitempo la partita per falli. Caro Marvin: almeno un falletto, una mezza mannaiata, la potevi pure spendere, dai.

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