Ala classe 2005, reduce da una stagione da freshman un po’ deludente a Seattle University, Nicole Benini è pronta a ripartire con la maglia di Bridgeport. Poco importa se sarà in Division II: il suo nuovo coach le ha “affidato le chiavi della squadra” e lei è decisa a sfruttare al massimo questa grande opportunità. Dopo il percorso nelle giovanili del Basket Roma e una stagione in A2, Nicole ha deciso di giocarsi le sue carte al college con un mix di incoscienza e grande voglia di crescita. Ecco cosa ci ha raccontato.
Quest’anno sarete ben venti italiane negli Stati Uniti. Qual è secondo te il motivo di questa “fuga di talenti” verso gli USA?
Sì, quest’anno saremo davvero tante! Le motivazioni sono diverse. Innanzitutto da qualche anno a questa parte grazie a Caitlin Clark e Paige Bueckers si parla molto di più di college basket femminile anche qui in Italia. Guardando i video delle partire, è più facile venire attratti da quel mondo. Poi naturalmente c’è l’aspetto scolastico: negli USA, sport e studio hanno la stessa importanza e questo aiuta noi studentesse-atlete a conciliare entrambe le cose. Infine, anche se non credo sia il principale, c’è il fattore economico: con il NIL ora è possibile guadagnare cifre che alla mia età sarebbero impensabili in Italia.
Nel tuo caso, quali sono state le motivazioni principali?
In realtà seguivo pochissimo il college basket, quindi mi sono un po’ buttata per sentito dire. Studiando biologia, la possibilità di giocare e studiare allo stesso tempo ha avuto un peso enorme nella mia scelta. C’era anche la voglia di vivere all’estero e conoscere una nuova cultura.
L’impatto con gli USA è stato all’altezza delle aspettative?
Sapevo che il cibo non era granché e così è stato (ride). Sul campo da basket mi avevano avvertito che sarebbe stato un gioco molto più fisico, con meno letture e più uno contro uno: e così è stato. Decisamente.
E quale preferisci: il basket europeo o quello americano?
Tutta la vita quello europeo. Letture, tattica, tecnica: nel nostro basket c’è tutto! Ma se parliamo di energia, gli americani hanno una marcia in più. Che si tratti della partita, degli allenamenti o semplicemente della sala pesi, l’intensità è altissima ed è tutto più coinvolgente e divertente.
Come viene visto il basket europeo in USA? La giocatrice “straniera” fa la differenza in squadra come qui in Italia?
In generale negli USA, quello che contano di più sono le gerarchie legate all’anno di corso: una junior o una senior hanno più minutaggio e più responsabilità rispetto ad una freshman o a una sophomore. L’aspetto internazionale viene sicuramente dopo e dipende dal coach e dalla composizione della squadra. Per esempio, quest’anno a Bridgeport l’impronta che hanno voluto dare è molto europea e quindi in questo caso sì, l’essere “una straniera” ha la sua importanza (ride).
Come mai hai deciso di lasciare Seattle University dopo appena un anno?
Non sono riuscita ad integrarmi negli schemi del coach: lui prediligeva un basket molto statico che davvero non è nelle mie corde. Sono scesa in campo appena 14 volte e siamo finite ultime nella WCC. Una stagione da dimenticare che mi ha lasciato l’amaro in bocca e tanta voglia di rivalsa. Per questo a marzo ho deciso di inserire il mio nome nel portale dei transfer.
Vittoria Blasigh ci ha raccontato che l’esperienza del portal non è proprio una passeggiata. Come è stata per te?
È stata stressante (ride). Dal momento in cui inserisci il tuo nome con le tue clip nel portale, inizia un periodo assai convulso: ogni giorno arrivano offerte e speri che coincidano sia con le tue esigenze sportive che con quelle accademiche. Non sempre l’università che ti vuole ha il corso di studi che cerchi. C’è tanta incertezza e serve anche un po’ di fortuna. Confermo ciò che ha detto Vittoria: non è una passeggiata, ma per me era un passaggio obbligato.
E cosa ti ha convinto di Bridgeport?
La vicinanza a New York! (ride) Scherzi a parte, coach Howard mi ha fatto un’ottima impressione a livello umano e mi ha subito dato grande fiducia. Avrò in mano le chiavi della squadra e questo aspetto per me è fondamentale. Quest’anno ho davvero bisogno di un anno in cui mettermi alla prova, giocare tanto e prendermi grandi responsabilità. E Bridgeport mi ha offerto tutto questo. Inoltre, il fatto che in squadra ci siano altre cinque internazionali, mi ha spinto veramente tanto. Sono contenta di giocare in un ambiente con un’impronta “più europea”.
Ma dicci la verità, non ti pesa essere scesa in DII?
Il mio obiettivo era ed è quello di trovarmi innanzitutto in una squadra in cui stare bene, dove poter crescere sia a livello sportivo che personale; anche perché finito il college voglio ritornare in Europa a giocare. Lo scorso anno mi sono sentita “lasciata indietro” in questo senso, in quanto ho percepito che lo staff era più interessato alla gara in sé che alla crescita della squadra e delle sue atlete. Sento quasi di aver perso un anno. Così ti dico: preferisco una DII dove posso migliorare, piuttosto che i riflettori della DI senza spazio per crescere. Se in futuro ci sarà l’occasione di risalire, bene; per ora mi concentro su questa stagione, che voglio sia di rinascita.
Anche se non sarà per questa stagione, quali italiane ti piacerebbe sfidare?
Candy Edokpaigbe. Senza alcun dubbio. Lo scorso anno eravamo compagne di camera a Seattle University e quest’anno andrà a giocare a San Francisco. E anche se non ci troveremo l’una contro l’altra in partita, andrò sicuramente a trovarla. Poi naturalmente Martina Fantini con cui ho giocato per cinque anni a Roma.
Un consiglio a quelle atlete che stanno pensando di intraprendere la tua strada? Ne vale la pena?
Decisamente sì! Anche se il mio anno da freshman è stato difficile, resta l’esperienza più bella della mia vita. Sono cresciuta molto e ho capito le mie priorità. Il mio consiglio è di non pensarci troppo: se c’è l’occasione, partite. Però, a differenza mia, arrivate preparate: informatevi, guardate video di college basket, allenatevi per quel tipo di gioco. Solo così potrete vivere al meglio un’esperienza unica.