Ci riprova, dopo una stagione in cui è praticamente andato tutto storto. Saint Joseph’s vuole tornare nei piani alti della A10 con un roster quasi totalmente invariato che ha voglia di rivincita. L’anno scorso una serie di infortuni ai giocatori chiave ha portato gli Hawks a vincere sole 4 partite nella regular season con ben 20 sconfitte stagionali, una cosa verificatasi soltanto altre 2 volte in 20 anni sotto la guida di Phil Martelli.
La situazione di Sahavar Newkirk non lascia dormire sonni tranquilli allo staff degli Hawks perché il miglior giocatore di Saint Joseph’s non ha ancora recuperato dall’infortunio al ginocchio e rischia di dover stare fuori per l’intera stagione. Ma a Philadelphia sono arrivati due freshman con ottimo potenziale come Taylor Funk e Anthony Longpre e, soprattutto, Piefrancesco Oliva è pronto a giocare, dopo una stagione fermo causa infortunio al ginocchio. Per lui si potrebbero aprire le porte del quintetto base ma la concorrenza da battere sarà agguerrita. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare ambizioni e piani per il futuro.
Un anno fermo dopo l’operazione al ginocchio del 2016. Come stai ora, sei pronto per giocare?
Mi sento molto bene. A giugno ho avuto l’ok dai dottori per riprendere ad allenarmi e il mio fisico in generale sta bene. L’obiettivo è scendere in campo migliorato rispetto all’ultima partita che ho disputato a marzo 2016, visto che ora il mio ginocchio è al 100%. Mi sento già pronto per giocare, ma altri due mesi prima della prima partita ufficiale mi faranno solo bene.
Titolo dell’A10 e secondo turno al torneo Ncaa al primo anno, quanto è stato difficile passare la tua seconda stagione a guardare i compagni?
È stato molto difficile, ovviamente fa male non poter scendere in campo, soprattutto perché avevo molte aspettative. Abbiamo avuto una stagione frustrante, per via dei molti infortuni, ma penso che la prossima sarà molto diversa.
Come è stato allenarsi lontano dal clima partita?
È stato difficile, era complesso sentirsi veramente parte del gruppo. Molte volte non andavo in trasferta con i miei compagni per non tralasciare la fisioterapia e, ovviamente, non allenandomi non riuscivo a creare un rapporto stretto con i nuovi compagni. È stato difficile non sentire più quel nodo nella pancia prima di ogni palla a due o durante ogni discorso del coach, ma non vedo l’ora di sentirmi di nuovo cosi.
Coach Martelli e i tifosi hanno sempre creduto molto nelle tue capacità, parlaci un po’ dell’ambiente di Saint Joseph’s.
Saint Joseph’s è un ambiente facile ma allo stesso tempo complesso. Ci sono grandi aspettative ogni anno perché a Philadelphia il basket è senza dubbio lo sport più seguito e le rivalità sono molto accese. Martelli ha sempre creduto in me fin dai tempi della high school, e ovviamente mi fa piacere. I tifosi hanno imparato a conoscermi anche se, dopo un anno, starà a me riconquistarmi la loro fiducia e ovviamente quella dei miei allenatori.
Ci racconti qualche aneddoto di questi anni al college?
Penso che uno dei momenti più belli al college sia stato il giorno in cui abbiamo vinto la Atlantic 10. Dopo una giornata pazzesca, il trofeo, il sorteggio Ncaa, tornammo a Philadelphia verso mezzanotte, arrivammo al palazzetto e moltissimi studenti e tifosi erano lì per festeggiare con noi.
Giochi a Philadelphia e hai vissuto con una famiglia tifosissima di Villanova, che è stata una delle università che ti ha contattato quando eri all’high school. Qualche rimpianto per non essere andato da Jay Wright e com’è la rivalità con i Wildcats?
Nessun rimpianto. Onestamente non penso sarebbe stata la situazione adatta per me. Sono sicuro di aver fatto la scelta giusta e non ho mai avuto nessun tipo di ripensamento.
Ormai sei da parecchi anni negli Stati Uniti, in che aspetti del gioco ti senti migliorato?
Mi sento migliorato molto dal punto di vista fisico e mentale. Il mio tiro è molto più affidabile di quello che era e anche la mia meccanica di tiro è più veloce del passato. Poi ovviamente dopo un anno fermo non molti mi hanno visto giocare, quindi per il resto aspetto e lascio che siano gli altri a giudicare.
È stato più difficile trasferirsi da Taranto a Siena o da Siena negli Stati Uniti?
Da Siena agli Stati Uniti, più che altro perché è uno stile di vita completamente diverso dall’Italia. È tutto bellissimo ma molto diverso da quella che è la vita in Italia.
‘Io mi sento un play di 2.03’, hai detto in un’intervista di due anni fa. Hai cambiato idea?
Non ho cambiato idea, e penso che alcune persone abbiano frainteso quella frase. Quando dico playmaker, non vuol dire che devo avere la palla in mano e dettare il gioco. Vuol dire che mi sento di poter fare una giocata, che sia in palleggio, con un passaggio o con un tiro. Mi sento di poter fare la lettura giusta e riconoscere la situazione, a prescindere dal ruolo che sto ricoprendo in campo in quel momento.
Federico Mussini, classe ’96 come te, dopo due anni ha lasciato St John’s. Quali sono i tuoi piani per il futuro?
Il mio unico obiettivo è migliorare e massimizzare il mio potenziale. In questo momento penso che questo sia il posto adatto a farlo quindi per ora sono sicuro di voler stare qui.
In generale, tieni i contatti con gli altri italiani in Ncaa?
Ad essere onesto no, però mi piace tenermi informato perché mi fa piacere vedere quando altri ragazzi italiani riescono a far bene qui.
Passiamo agli Hawks, Shavar Newkirk si è rotto i legamenti alla fine di dicembre mentre stava giocando benissimo, e la stagione di St Joseph da quel momento è cambiata decisamente in peggio. Quanto la squadra dipende da lui?
Shavar è ovviamente un pezzo importante ed è meglio averlo in campo che infortunato, ma nessuno è indispensabile. Dal punto di vista realizzativo ovviamente perdiamo molto senza di lui, ma visto che non sappiamo ancora se riuscirà a rientrare per la stagione, bisognerà trovare delle alternative.
Charlie Brown ha giocato una grande prima stagione, c’è molta attesa per i due freshman Taylor Funk e Anthony Longpre, dove possono arrivare gli Hawks?
Per ora non so dirtelo. La sensazione è molto buona, la cosa importante secondo me è che ci piace giocare insieme ed è un segnale incoraggiante. Penso che supereremo molte aspettative.
Qual è il giocatore più forte che hai visto giocare?
Penso Dillon Brooks, che è uscito da Oregon l’anno passato.
Chi vedi favorito nella corsa al titolo di conference?
Al titolo di conference? Non si dice per scaramanzia…
E al titolo nazionale?
Per il titolo nazionale dico Duke.
Salto in avanti, Oliva a fine stagione si sentirà soddisfatto se?
Non ci penso, non sono una persona che si sente soddisfatta molto spesso. Lo spero, ma so che a fine anno troverò i difetti che devo migliorare e che mi motiveranno per fare meglio l’anno successivo.
Altro salto in avanti, dove vedi Oliva fra 2-3 anni?
Queste sono domande difficili per me. Penso solamente al presente e non mi piace pensare a dove sarò tra 2 o tre anni. Penso che sarò dove il mio impegno mi avrà portato e spero che sarà ai massimi livelli.