Home 9 NBA 9 da Zimmerman a Diallo, Che fine hanno fatto?

da Zimmerman a Diallo, Che fine hanno fatto?

Autore: Sergio Vivaldi
Data: 16 Dic, 2016

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Il draft è spesso una questione di fortuna non solo per le squadre che scelgono, ma anche per i giocatori. I primi due anni nella Nba sono fondamentali per capire quale sarà il futuro delle nuove leve, i posti a roster sono pochi e tanti ragazzi vengono spazzati via, a volte troppo in fretta. Trovarsi in una situazione che permetta di migliorare e sviluppare il proprio potenziale è fondamentale, soprattutto per chi non arriva in Nba come potenziale uomo-franchigia. Solo una piccola parte dei giocatori selezionati a ogni draft rimangono davvero nella Nba, perché in media un rookie si trova fuori dalla lega in un arco di 6-7 stagioni circa. Il dato ovviamente include anche chi riesce a resistere per 15+ stagioni, e il numero dei giocatori così longevi è in forte crescita. Arrivare nel giusto contesto e con il giusto approccio è importante, o si rischia di uscire dal giro molto in fretta.

Vediamo quindi come si stanno comportando alcuni dei giocatori più seguiti nella scorsa stagione, che sono rimasti dietro le quinte in questo inizio anno (e che probabilmente lì rimarranno fino al prossimo training camp). Dei quattro centri presi in esame, solo Deyonta Davis sembra sicuro di rimanere nella lega anche a lungo termine, mentre sugli altri ci sono ancora molti punti interrogativi e in qualche caso, restano oggetti misteriosi.

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Stephen Zimmerman (UNLV), Orlando Magic

Stephen Zimmerman Jr.

Stephen Zimmerman

Nelle settimane prima del draft era dato come possibile scelta al primo giro, ma è poi scivolato alla #41 per gli Orlando Magic. Nel corso dell’estate la franchigia ha dato un’impronta precisa al roster, spendendo parecchi soldi su veterani che sarebbero partiti davanti al giovane Zimmerman nelle gerarchie e gli avrebbero tolto spazio e minuti. Non è necessariamente un male, perché l’ex UNLV non aveva e non ha un fisico pronto per la Nba, troppo esile per fare a sportellate sotto canestro con veri centri. Le previsioni si sono avverate, visto che fino a questo momento ha giocato solo 3 partite e solo nell’ultima ha avuto minuti significativi, mentre nelle prime due il suo ingresso in campo è avvenuto in pieno garbage time.

I Magic affidano raramente i giocatori agli Erie Bayhawks, la franchigia D-League a loro affiliata. Le ragioni sono soprattutto logistiche, i Bayhawks hanno sede in Pennsylvania e la squadra non può monitorare lo sviluppo dei giovani che decide di inviare. L’unico caso in cui questo accade è quando i Magic hanno lunghe trasferte, come è stato il caso nella scorsa settimana. La situazione dovrebbe cambiare a partire dalla prossima stagione: mercoledì la squadra ha reso ufficiale la decisione della proprietà dei Magic di acquistare i Bayhawks e di trasferirli a Lakeland, circa 100km fuori Orlando. In ogni caso, Zimmerman è finalmente tornato al basket giocato in settimana, e ha dimostrato tutto il suo potenziale.

 

In quattro partite ha tenuto medie di 21.8 punti e 15.5 rimbalzi, dominando la partita sotto i tabelloni e dimostrandosi una costante minaccia vicino a canestro grazie alla sua agilità e alle braccia lunghissime che gli permettono di aggirare i difensori. La Nba è un’altra storia, subirebbe la fisicità degli avversari e gli verrebbe impedito con le cattive di prendere gli stessi tiri, ma l’anno prossimo potrebbero esserci minuti in rotazione, soprattutto se riuscirà a migliorare sul piano fisico. I Magic hanno scelto Zimmerman in prospettiva, vista l’abbondanza di lunghi in squadra, ma il suo sviluppo sembra procedere bene, viste le medie e la prestazione mostruosa contro i Long Island Nets, che ha chiuso con 24 punti e 24 rimbalzi (vedi il video sopra) in una vittoria dei Bayhawks al supplementare. Tra gli highlights della sua prestazione si notano alcuni movimenti interessanti, tra cui un pick&pop laterale chiuso con un jumper dal gomito e un paio di conclusioni ravvicinate quasi da dietro il tabellone, a dimostrazione della capacità del ragazzo di trovare angoli di tiro che gli sarebbero altrimenti preclusi dalla fisicità avversaria (anche in D-League, i diretti avversari sembrano più grossi di lui). E ovviamente, dimostra un’ottima capacità di posizionarsi a rimbalzo.

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Cheick Diallo (Kansas), New Orleans Pelicans

Cheick Diallo

L’anno passato a Kansas non è stato dei più positivi, e i tanti problemi sono stati una delle ragioni per cui Diallo ha deciso di dichiararsi al draft 2016. Scelto al secondo giro dai New Orleans Pelicans, è arrivato in una squadra che punta forte su di lui come partner futuro di Anthony Davis. La dirigenza si è lasciata convincere dal suo atletismo e dal potenziale fisico prima ancora che tecnico, e in prospettiva, giocando accanto a un talento come Davis, non dovrebbe servirgli altro. Ma era una scommessa quasi al buio, avendo giocato poco al college.

Finora si è dimostrato una lieta sorpresa per i Pelicans, che lo hanno assegnato agli Austin Spurs in D-League (la franchigia della Louisiana non ha un affiliato diretto). In 5 partite con gli Spurs a novembre ha viaggiato a una media di 15.3 punti, 7 rimbalzi e 3.3 stoppate a serata, ma soprattutto, ha mostrato alcuni aspetti interessanti del suo gioco, primo fra tutti una discreta mano nel tiro dalla media, elemento insospettabile fino a poco tempo fa. Ha tirato i liberi con una percentuale intorno al 75%, e ha mostrato una discreta confidenza con il jumper dal gomito sinistro. Se questa capacità dovesse diventare affidabile, sarebbe un grande vantaggio per i Pelicans, perché la sua presenza in campo potrebbe allargare gli spazi nel pitturato, cosa che nessuno degli altri centri a roster può fare (escluso Davis). In attacco, legge bene la difesa, taglia a canestro con i tempi giusti e quando riceve in corsa, il suo atletismo è devastante per gli avversari, anche quelli più alti di lui. In difesa, oltre alle doti atletiche, ha braccia lunghissime che gli permettono di alterare il tiro e spesso i difensori finiscono per rimbalzare contro un muro.

 

Ha fatto così bene in D-League da essere richiamato in prima squadra, anche per sopperire ad alcuni infortuni. Diallo non si è tirato indietro. La sua prestazione contro i Los Angeles Clippers e DeAndre Jordan è stata da incorniciare: ha giocato 30 minuti uscendo dalla panchina e ha finito con 19 punti e 10 rimbalzi, mettendo in mostra tutte le cose buone che aveva fatto vedere al piano di sotto, jumper inclusi, contro uno dei migliori frontcourt della lega. I Pelicans hanno perso la partita, ma hanno comunque motivo di gioire.

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Thon Maker, Milwaukee Bucks

Thon Maker

I Bucks hanno stupito tutti la notte del draft scegliendo alla #10 Thon Maker, decisione controversa per diversi motivi. Primo fra tutti, la lunga diatriba sulla sua reale età, visto che il giocatore è originario del Sudan del Sud e questo ha sollevato qualche dubbio sull’autenticità del certificato di nascita. È rimasto per diverso tempo un oggetto misterioso, giocando in Australia e poi in Canada e negli Stati Uniti, rivelando il suo talento molto tardi rispetto a tanti altri “predestinati” (veri o presunti). Ancora più controversa è stata la sua scelta di frequentare una prep school invece del college, lasciando dubbi sulla reale portata del suo talento, che risultava sì evidente, ma contro avversari di livello inferiore. Ma giocatori di 215cm con la capacità di mettere palla a terra o tirare da fuori non crescono sugli alberi, e in Wisconsin hanno deciso di correre un rischio calcolato.

I Milwaukee Bucks non hanno affiliazioni con franchigie D-League, ma per stessa ammissione di coach Jason Kidd, Maker sarebbe rimasto comunque con la squadra, per dargli l’opportunità di confrontarsi ogni giorno con talenti di livello Nba. Finora ha trovato poco spazio in rotazione, il suo fisico sembra ancora troppo esile per sostenere il confronto con atleti pro, ma le lodi per la sua etica di lavoro si sprecano. In più, il ragazzo ha modelli importanti in Kobe Bryant e Kevin Garnett, dei quali ammira lo spirito competitivo, per sua stessa ammissione. Per il momento, si segnala solo per uno spettacolare crossover ai danni di Chris Andersen in una partita contro i Cleveland Cavaliers, ma in una recente intervista, Maker si è detto fiducioso del futuro della squadra, arrivando ad affermare che il resto della Nba dovrebbe spaventarsi già adesso per quello che i Bucks saranno in futuro. Non ci sono ancora gli elementi per dire se sceglierlo alla #10 è stata la mossa giusta o meno, ma Maker sembra effettivamente non avere paura di niente.

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Deyonta Davis (Michigan State), Memphis Grizzlies

Deyonta Davis

Deyonta Davis era dato da tutti come una sicura scelta a metà primo giro con serie possibilità di entrare in lottery, ma è scivolato fino al secondo giro e a quel punto i Memphis Grizzlies non si sono lasciati scappare il ragazzo. Indicato da subito come uno steal del draft, i suoi minuti sono in realtà limitati perché davanti a lui c’è uno dei migliori centri in assoluto, Marc Gasol. Era scontato che non avrebbe trovato troppo spazio, ma è rimasto in rotazione e ha un ruolo importante uscendo dalla panchina per una squadra che viaggia a ritmo sostenuto nella Western Conference.

 

Il suo punto di forza, fatto strano per un rookie, è la difesa. Attaccare l’area con lui in campo è un problema per gli avversari, visto che blocca il 7.4% dei tiri avversari, terzo assoluto tra tutti i giocatori che hanno giocato almeno 150 minuti dietro Joel Embiid e Lucas Nogueira. Il dato è basato sui pochi minuti passati in campo (154 minuti totali, 7.7 a partita) ma è troppo significativo a livello assoluto per essere tralasciato. È anche ottimo a rimbalzo (12.7 rimbalzi su 100 possessi) ma è ancora troppo falloso per avere più minuti in campo. Le partite di riposo di Marc Gasol aprono preziosi spazi per fare esperienza e finora ha dimostrato che potrà diventare decisivo in difesa, una volta arrivato a maturazione agonistica. La fase offensiva è tutta da costruire, e questo era noto già in fase di pre-draft. Al momento ha un range di tiro molto limitato e ha ancora problemi a mantenere la coordinazione quando subisce un contatto. Ma ha tutto il tempo per imparare, perché i Grizzlies non hanno bisogno di un contributo immediato da parte sua e allenarsi ogni giorno contro Marc Gasol può solo portarlo a migliorare.

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