Dopo averci raccontato nella prima parte dell’intervista le difficoltà legate al transfer portal, il nuovo gm di Nebraska Luca Virgilio ci spiega quanti soldi girano nell’Ncaa e come sia diventata la meta più ambita anche per i giovani italiani.
Tra i tuoi compiti c’è anche il coordinamento tra il coaching staff e l’athletic administration per quanto riguarda il NIL. Spiegaci il tuo ruolo
Fino al primo luglio c’era un modello e i giocatori non potevano essere pagati dalle università, adesso ce n’è un altro. Fino al primo luglio i giocatori venivano pagati dai Collective, che sono queste entità create ad hoc per raccogliere i soldi e pagare i giocatori, ora lo fanno direttamente le università che hanno un budget per pagare i giocatori che viene implementato da altri deals che vengono fatti dai Collective. Ormai questi ragazzi hanno tutti dei contratti, che non sono pay for play, ma che riguardano i diritti di immagine: quando si tratta di negoziare un contratto, quando si tratta di parlare con gli agenti, quello è il mio lavoro. Come un qualsiasi GM di qualsiasi squadra professionistica europea.
E allo stesso tempo i Collective avevano un ruolo molto simile fino al primo luglio, mentre ora non è molto chiaro come cambierà la loro figura perché l’Ncaa ha introdotto una clearing house con Deloitte (organizzazione che aiuta a far rispettare gli accordi tra chi compra e chi vende, riducendo il rischio che qualcuno non mantenga la parola ndr.) che dovrà approvare tutti i contratti fatti dai giocatori fuori dall’università. Il mio lavoro è facilitare tutte queste conversazioni. E’ un mondo che va a 5000 all’ora, ci sono tantissime parti coinvolte, giocatori, agenti, advisor, famiglie, poi per l’università c’è l’amministrazione, il capo allenatore, gli assistenti, quindi per evitare che ci siano tutte queste persone coinvolte nelle trattative perché altrimenti diventa un casino, tutte queste conversazioni vengono gestite da me in prima persona con tutti questi agenti esterni. E questo per spiegarla in modo molto veloce, la realtà è un po’ più complessa ma soprattutto è in continua evoluzione.
Hai citato due strutture dello sport collegiale non facili da comprendere per i non addetti ai lavori. La prima è Nil Go, la clearinghouse che sarà gestita da Deloitte che fa parte della nuova College Sports Commission creata dalle Power 5 per controllare la regolarità di tutto questo flusso di denaro. Pensi che funzionerà?
Quella è la speranza, è tutto iniziato da pochi giorni e quindi è ancora presto per avere un’opinione al riguardo. Credo che tutte le persone che hanno creato questo sistema abbiano un’idea di quello che vogliono ottenere. Sicuramente si mette più controllo e più supervisione, altrimenti sarebbe stato difficile da gestire nel lungo periodo. Ora il sistema ha delle gambe, vediamo se cammina, quanto è sostenibile e se c’è il rispetto totale di tutte queste regolamentazioni. Poi basta una causa vinta da qualcuno per rimestare completamente le carte e ripartire da zero. Vediamo questo primo anno come va, l’idea c’è ed è giusta, il principio anche, bisogna vedere se tutti quanti i protagonisti di questa nuova era fanno la loro parte.
La seconda è il Collective che è un’altra componente originale dello sport universitario americano. Quello di Nebraska si chiama 1890, che cos’è e come funziona?
Il Collective fa raccolta fondi e tutto deve essere legalizzato per i diritti di immagine, perché io non posso darti due milioni di dollari solo perché sei forte. Il Collective raccoglieva fondi e poi aiutava i ragazzi a firmare contratti vendendo i loro diritti di immagine, e cioè facendo qualsiasi cosa, che sia una pubblicità, che sia un’apparizione per firmare autografi, che sia un public speaking, che sia una qualsiasi attività di marketing, il Collective si occupava di far sì che i ragazzi vendessero i loro diritti ad altre entità in cambio di pagamenti.

Il campo di Nebraska
A questi soldi se ne aggiungono poi altri. Nebraska fa parte della Big Ten, quindi una delle Power 5 che ha siglato l’accordo al termine della causa House vs Ncaa per introdurre il pagamento dei giocatori da parte delle università con un salary cap di 20.5 milioni di dollari per il primo anno. Come si è organizzata Nebraska e quanti soldi avrà a disposizione la squadra di basket?
Tutte queste grandi università della Big Ten vivono tramite il football quindi, nel 90% dei casi, la maggior parte di quei soldi andrà al football, poi la seconda percentuale più alta alla pallacanestro maschile e poi ad altri sport secondari. Per esempio qua in Nebraska c’è la pallavolo, che è la cosa più importante che c’è, quindi molte risorse andranno anche a loro. Noi avremo un budget competitivo, non al massimo livello con le Top 25 ma comunque competitivo. Quello che ancora non si sa è adesso che i Collective devono passare attraverso quella clearing house, come verranno riorganizzati tutti quei soldi che passavano tramite loro, quanto questa clearinghouse sarà ferrea, quindi stiamo cercando di avere delle idee più chiare. Quindi, 20 milioni e mezzo è il budget per tutto l’athletic department di quest’anno e ogni anno cresce perchè ogni anno crescono i contratti per I diritti televisivi.
Molto diplomatico, diciamo che hai qualche milione a disposizione per la squadra. Di quale range di stipendi ai giocatori stiamo parlando?
E’ situazionale, ci sono molti ragazzi che stanno facendo tantissimi soldi e ne faranno molti di più adesso che nella carriera da professionisti, questa è la realtà. Ci sono ragazzi che guadagnano oggi quello che non guadagna un titolare in Eurolega e anche per questo ci sono molti più ragazzi che cercano di prendere questi contrattoni qui al college. Ci sono tanti soldi, sono situazionali, ci sono giocatori di alto livello che magari prendono meno soldi di chi ha appena iniziato perché una squadra ha assunto un nuovo allenatore a cui è stato dato un nuovo budget molto grande con cui magari va a firmare giocatori di medio livello a tanti soldi. Perchè la realtà è che hanno così tanti soldi che non sanno che farci. Ci sono moltissime di queste situazioni.
Ci sono budget importanti soprattutto quest’anno, mentre penso che dall’anno prossimo ci sarà un abbassamento dei valori dei contratti perchè quello che è successo quest’anno è un far west: praticamente non c’era salary cap e, se ti arriva un booster con 5 milioni di dollari che si aggiungono ai 10 che tu hai, ti ritrovi con 15 milioni di dollari per 15 giocatori e quindi, se vuoi, nessuno ti ferma dal dare un milione a giocatore. Non c’erano limiti, adesso dal primo luglio ce ne sono un po’ di più e bisogna vedere se questi limiti vengono rispettati o meno e come si evolverà la situazione in un anno. Però sulla carta ci dovrebbe essere un livellamento verso il basso per quanto riguarda questi valori contrattuali, cosa che questa primavera non c’è stata, con giocatori che valevano 500mila dollari che sono andati a due milioni e mezzo, giocatori che valevano due milioni sono andati a quattro, giocatori che invece volevano 4 magari sono andati nel portal nel momento sbagliato e hanno preso uno. Quindi i valori sono molto ampi, ci sono giocatori che guadagnano milioni e milioni di dollari, anche per più anni perchè hanno agenti in gamba che hanno fatto contratti pluriennali, e giocatori che prendono cifre normali
Ecco, è proprio il concetto di cifre normali che vorremmo chiarire
Stiamo parlando di sei cifre minimo. A livello High Major e Power Five, diciamo che sei cifre è l’entry level per quest’anno, che è un mercato estremamente inflazionato e senza controllo. Andando avanti si aggiusterà di nuovo però sì, diciamo che sono cifre normali tra 500 virgolette. Anche per questo vedi che ragazzi che, piuttosto che giocarsi un Two Way in Nba o rischiare di andare al secondo giro in Nba, tornano al college perchè guadagneranno tre volte di più. Non ne vale assolutamente la pena, fai la matematica e ti rendi conto che hai un contratto garantito di cifre magari sopra il milione: perchè dovresti andare a rischiare? Per questo in questi due anni è stata una situazione abbastanza fuori controllo, difficile da gestire e vediamo come sarà l’anno prossimo.

Rienk Mast, uno dei migliori giocatori di Nebraska
Per ora la formula del revenue sharing regge, pensi che cambierà qualcosa in futuro e che i giocatori diventeranno dipendenti a tutti gli effetti delle università?
Bisogna vedere come questo modello si evolve nei prossimi due-tre anni, bisogna vedere se questo cambiamento è sostenibile. Penso che quanto successo in questa stagione sia un cambiamento così epocale che bisogna dare un po’ di tempo e di respiro a questo nuovo modello per capire cosa succederà. Secondo me è più sostenibile di quello di prima, però allo stesso tempo sinceramente se mi avessero detto due anni fa che saremmo arrivati a questo punto oggi, io avrei detto che sarebbe stato molto difficile. Vediamo se arriveremo all’employement fra due anni con professionisti a tutti gli effetti, non lo so.
Nel complesso, il dibattito è aperto:, c’è chi rimpiange l’era pre Nil e chi invece si è adattato in fretta, per non parlare delle nuove regole sul transfer portal. Tu sei in Ncaa da 11 anni: è migliorata o peggiorata da quando sei arrivato?
Per quanto riguarda il transfer, preferivo l’idea e il principio che c’era prima e cioè che dovevi stare fermo un anno se ti volevi trasferire, perché così è estremamente complicato costruire continuità in un roster. Però viviamo anche in un mondo in cui un allenatore prende e se ne va, lo può fare e non ci sono conseguenze, quindi queste sono le regole del gioco e bisogna adattarsi per restare competitivi, altrimenti non vai da nessuna parte. Idealmente cambiare 4 college in 4 anni non aiuta ma, se io fossi uno di questi giocatori e potessi andare da squadra A a B a C per 4 anni e incassare fior fior di soldi, perché non farlo? Il sistema prima che ti consentiva di trasferirti e giocare subito se il coach veniva licenziato probabilmente era la cosa più giusta, ma non vedo perché nel mondo di oggi gli unici che devono avere limitazioni in questo business siano i giocatori.
Quindi penso sia giusto dargli la libertà, non è estremamente formativo dal punto di vista caratteriale, però ormai siamo qua e non si tornerà indietro. E’ una Ncaa diversa, ma non è vero che la gente sta perdendo la passione e non guarda più le partite. Forse non hai più la storia romantica del ragazzo che sta 4 anni nello stesso posto, ma è un mondo che va a mille all’ora e ti devi adattare per avere successo. Se non ti adatti, muori. Ed è giusto che questi ragazzi vengano pagati e che vengano pagati tanto, perché forse chi sta in Europa si dimentica che questi ragazzi giocano davanti a 15mila spettatori con biglietti a bordo campo che costano 15-20mila dollari per certe partite. Ed è giusto che una percentuale di questi soldi vada ai giocatori, è una naturale conseguenza del gigantesco business che è l’Ncaa.
Veniamo al campo. Nelle ultime due stagioni sono arrivate le migliori stagioni dell’era Hoiberg, tra cui il titolo del College Basketball Crown, nuovo torneo di fine stagione per le squadre che non entrano alla March Madness. Qual è stato il salto delle ultime stagioni e cosa vi è mancato in quest’ultima per accedere al Torneo?
Dirò la verità, Nebraska storicamente parlando è un’università che ha sempre fatto fatica con il basket. Grandi risorse, grandi strutture ma pochissima storia. E’, come dicevo, un’università principalmente di football, con Hoberg è stato fatto un investimento di lungo periodo ma il timing non è stato dei migliori perché il covid ha interrotto la prima stagione e quindi il primo anno abbiamo fatto una fatica infinita, siamo partiti da zero e abbiamo preso schiaffi a destra e sinistra. Il secondo anno ancora Covid e solo allenamenti individuali, il terzo anno è stato il più deludente perchè era tutto normale ma non ha funzionato, dal quarto anno in poi siamo riusciti a raddrizzare un po’ le cose, ci ha permesso di voltare pagina dopo 3 anni faticosi.
Quest’ultimo anno peccato, perché eravamo veramente lì lì per fare il secondo torneo di fila, un back to back mai successo a Nebraska, ma sono state decisive le ultime tre partite di fila decise da un possesso e perse tutte e tre di un punto. Forse era destino fosse così, perché siamo andati a fare questo torneo nuovo a Las Vegas e l’abbiamo vinto. Quindi abbiamo portato un trofeo in post stagione a Nebraska e non succedeva da 20 anni. Ora cerchiamo di cavalcare l’entusiasmo di queste due ultime stagioni

La festa di Nebraska dopo la vittoria al Crown
Ritorna l’olandese Rienk Mast, avete uno dei migliori prospetti turchi come Berke Büyüktuncel, dal portal avete preso alcuni buoni giocatori. Quali sono le ambizioni per l’anno prossimo?
Abbiamo un roster che ci piace, abbiamo recuperato Mast che era uno dei giocatori di punta due anni fa prima di infortunarsi, e nel complesso siamo una squadra offensivamente molto dotata, speriamo di avere una buona stagione. Ci sono due-tre squadre sulla carta che partono in vantaggio in Big Ten e poi, lo so che sembra assurdo, un gruppone di 10-13 squadre sullo stesso livello e vediamo chi ha la chimica giusta con i transfer. La Big Ten sarà forte, probabilmente più forte dell’anno scorso, con gente che ha investito molti soldi. Sarà molto competitiva e l’obiettivo nostro è essere competitivi con la speranza di fare il torneo che è sempre l’obiettivo finale
Giocatori italiani o di formazione italiana ce ne sono sempre stati in Ncaa, a St John’s per esempio tu hai avuto Federico Mussini e Amar Alibegovic, ma ora sta diventando la prima scelta per i ragazzi che finiscono le giovanili. Come giudichi questo cambiamento e che impatto può avere sulla nostra pallacanestro?
Perché lasciano l’Italia? C’è una considerazione economica che non si può negare, ma c’è anche un piano di crescita: vengono a giocare al college perché non giocano in Italia. Ovviamente guadagnano 10 volte di più di quanto guadagnerebbero in Italia, ma io non sono convinto che sia quello nella maggior parte dei casi il motivo principale. Penso che molti ragazzi sono sì affascinati dall’idea del college, ma non è che abbiamo tutto sto desiderio di trasferirsi dall’altra parte del mondo e continuare a studiare. Ma se non c’è un piano di crescita e si va a fare panchina in serie A solo per il passaporto e non giochi pe 2-3 anni, poi diventa difficile. Io li seguo tutti ovviamente per passione mia e per reclutamento e il 90% dei giocatori italiani che verranno al college in Italia non gioca, e non ha nemmeno senso giocare con la serie B o con l’under 19. Non c’è un vero percorso ed è quella la cosa che faccio più fatica a capire. Non ho una soluzione, ma ci deve essere qualche tipo di idea che cambi questo percorso e che dia a questi ragazzi italiani più spazio.
È colpa degli allenatori italiani? No, perché loro devono far giocare quelli che fanno vincere le partite, altrimenti vengono licenziati. C’è una forma mentis attaccata al risultato che guida il nostro business che va a discapito della crescita dei nostri giovani . Nel lungo periodo questa possibilità che i ragazzi vengano al college farà esplodere il movimento italiano del basket, perché vengono qua e giocano, e questo è fondamentale per lo sviluppo del talento e per la crescita individuale. Abbiamo una generazione forte, ragazzi che vengono reclutati dalle università più forti degli Stati Uniti, ma non è un caso che la Francia o le nazioni del nord Europa stiano crescendo così tanto perché, se vai a guardare, vengono tutti al college, anche gli spagnoli. Anziché lamentarci della fuga di talenti, cerchiamo di capire come trasformarlo in un vantaggio per il basket italiano. Questa è la domanda a cui dare una risposta a livello federale o di Lega per tornare ad avere una nazionale che lotti per le medaglie, esattamente come facciamo ora a livello giovanile
Quando vedremo Luca Virgilio Head coach?
No no no no, head coach no, lo lascio fare ad altri. Sono sempre stato più dietro la scrivania che sul campo, lo faccio con qualche ragazzo qua per aiutarli a crescere, ma sono sempre stato più da scrivania.
E tornerai prima o poi in Italia?
Mai dire mai, sono nato e cresciuto con il basket a Roma, mi piange il cuore che non ci sia una squadra a Roma in serie A e in Eurolega. Spero che la Virtus Roma continui a crescere e fa piacere che la Luiss continui a fare risultati. C’è bisogno di investimenti e so che a Roma non è facile. Italia è casa, si continua a parlare di Nba Europe e vediamo che succede