“Capisco lo small ball. Lo small ball esiste perché un giocatore di 2 metri può muovere i piedi e le mani come una guardia, ma adesso c’è un giocatore di 2.13 [Karl-Anthony Towns, ndr] che può fare lo stesso. Fra tre anni, se qualcuno avrà due giocatori di 2.13 che possono farlo, si tornerà al sistema delle due torri”. Questo fu il commento di John Calipari, coach dei Kentucky Wildcats, dopo le finali vinte dai Golden State Warriors nel 2015. E se l’origine dello “small ball” non è recente, vedere la squadra campione Nba vincere con un centro di 2 metri ha cambiato l’immaginario collettivo. Ma coach Cal ha ragione: Draymond Green non può giocare da “5” per tutta la partita (e infatti non succede). Perché lo small ball sia reale, bisogna giocare con dei lunghi veri. In apparenza è un controsenso, ma essere più alti del proprio avversario è ancora un vantaggio in questo sport, e l’altezza non si può insegnare, come ricordava Red Auerbach. Il lungo deve “fare il piccolo”, ovvero deve avere la capacità di giocare dentro e fuori l’arco della linea da tre punti. Ed è proprio dai centri che bisogna partire per fare una valutazione di come questo fenomeno stia cambiando la lega.
La squadra che sta provando più di altre a portare avanti la visione di Calipari, magari aumentando il numero di giocatori intorno ai 2 metri e 10, sono i Phoenix Suns. La formazione di coach Earl Watson ha un roster affascinante, che definire acerbo è riduttivo.
Devin Booker è un tale concentrato di talento da riuscire a cambiare il corso delle partite da solo anche in attacco, almeno nelle giornate buone. E ha appena compiuto vent’anni. Guardia di 198 cm, braccia lunghe 205 cm, un fisico ancora in evoluzione ma che, con un po’ di lavoro, potrà permettergli di sfruttare le sue capacità fisiche anche in difesa. Non colpisce per atletismo, ma le doti non gli mancano, come potete vedere.
È un realizzatore purissimo, capace di colpire una difesa in tantissimi modi. Tiro micidiale dal palleggio, in catch&shoot, in stepback, primo passo bruciante. Sul piano personale dovrebbe migliorare nella visione di gioco, ma rischia di essere la superstar più snobbata della sua classe di draft. Sulla difesa, i mezzi ci sono, ma per una valutazione reale sarebbe necessario vederlo in una squadra vera.
Marquese Chriss è stato uno dei misteri dell’ultimo draft, insieme a Dragan Bender. L’accoppiata dei due è sicuramente intrigante e potrebbe portare a una combinazione micidiale nel frontcourt dei Suns, con due lunghi a proprio agio tirare da fuori e giocare in post. In un attacco moderno, è fondamentale muovere le difese, spingerle all’errore in una rotazione o su un aiuto, non affidarsi esclusivamente al talento ma all’intelligenza e a letture offensive.
Ecco, Dragan Bender sembra il giocatore perfetto per questo sistema di gioco. Ala di 216cm, gioca da “3” per poter sfruttare le capacità di palleggio e il gioco perimetrale, ma anche per ridurre la fisicità degli avversari da affrontare, visto il profilo ancora esile. Veniva presentato come un ottimo passatore e un difensore capace di reggere l’impatto sul perimetro, cambiando sul palleggiatore in situazioni di pick&roll. Nei 10 minuti a partita giocati finora è sembrato un 18enne in grave difficoltà, ma è forse il giocatore che ha dovuto affrontare i cambiamenti più radicali in questa fase, e nei minuti in cui è in campo la squadra tende ad attaccare meglio e a difendere peggio. Si potrebbe dire lo stesso di ogni rookie. Avrebbe bisogno di più minuti in campo, e nell’unica partita in cui ha superato i 20 minuti, una sconfitta contro i Portland Trail Blazers a inizio novembre, ha tenuto in difesa sul pick&roll nonostante fossero Damian Lillard e CJ McCollum a prenderlo di mira.
Chriss potrebbe diventare il suo fedele compagno di reparto. Ala di 208cm dotata di un tiro da tre che può diventare rispettabile unito a un atletismo che, a differenza di Bender, è fuori scala, come ha mostrato anche a Washington la scorsa stagione in Ncaa. Acerbo nelle letture offensive, deve soprattutto imparare a leggere le chiusure e vedere lo scarico, elemento chiave per risultare davvero pericoloso. Già adesso, quando parte in palleggio le difese finiscono per collassare e costringerlo in un imbuto, vanificando la sua efficacia offensiva. Viene limitato a 15 minuti di gioco ma, al contrario di Bender, parte in quintetto nel ruolo di ala grande.
E non bisogna dimenticare che Alex Len, altro lungo da 216cm, è ancora a roster e ha solo 23 anni. Difficile immaginare un futuro da titolare a questo punto, ma se riuscisse a diventare un giocatore da rotazione (8.9 punti e 8.4 rimbalzi in 24 minuti in questo primo scorcio di stagione), la formazione dei Suns del futuro potrebbe essere davvero imponente, soprattutto perché Bender potrebbe giocare come “ala piccola” in quintetti molto alti, senza perdere nulla su entrambi i lati del campo.
Accanto a una chiara star come Booker e a un frontcourt con questo potenziale, i Suns possono contare su due ali come T.J. Warren e Derrick Jones, protagonisti di un inizio di stagione molto diverso. Warren è al suo terzo anno nella lega e se dovesse continuare a questi livelli sarà un serio candidato al Most Improved Player di fine stagione. I suoi valori statistici sono migliorati di anno in anno, tranne quelli legati all’efficienza dal campo, e si sta lentamente trasformando in un volume shooter senza coscienza, con un pessimo tiro da tre (30.8% su 2 tentativi a partita) e ancora incapace di guadagnarsi falli in penetrazione. Nonostante questo, viaggia a quasi 18 punti di media in stagione. C’è da lavorare sulla difesa, ma il potenziale per entrare in rotazione è notevole, così come le capacità fisico-atletiche di un’ala di 203cm con una discreta facilità di andare al ferro.
E se parliamo di andare sopra al ferro, probabilmente il migliore dei Suns è proprio Derrick Jones, che quest’anno non troverà spazio e farà molta D-League, ma i cui mezzi atletici sono da fantascienza.
Comprensibilmente, in mezzo a giocatori tanto atletici o comunque con un fisico imponente per il ruolo, Tyler Ulis sembra fuori luogo. Secondo Calipari l’ex Kentucky è il miglior floor general mai allenato (meglio di John Wall). L’affermazione andrebbe presa con le pinze, ma in una lega in cui il suo ruolo si popola sempre più di mostri atletici, fa specie che un giocatore di soli 178cm e con poche possibilità di aggiungere massa a un fisico naturalmente esile possa rappresentare il futuro dei Suns. Eppure Ulis ha mostrato lampi di talento e un atteggiamento molto aggressivo in difesa (1.4 rubate a partita in 11 minuti di gioco) oltre alla solita visione di gioco già messa in mostra con i Wildcats. Sarà interessante capire quale sarà la scelta dei Suns al prossimo draft, nel caso in cui Ulis dovesse dimostrare di poter reggere la Nba. Perché ovviamente, con una squadra tanto acerba, Phoenix si troverà a scegliere in lottery anche nel 2017, una classe particolarmente ricca di talento, soprattutto nel ruolo di PG. E se i Suns si trovassero tra le mani un giocatore come Lonzo Ball? Avrebbero la possibilità di schierare contemporaneamente 5 giocatori sopra i 2 metri capaci di giocare sia sul perimetro che al ferro, e Ball sta dimostrando una visione del gioco e una capacità di gestire il ritmo e il gioco fuori dal comune.
Tyler Ulis comes in and promptly steals the ball from Rubio. #BBN #Suns pic.twitter.com/peRxC1wk2s
— Scott Charlton (@Scott_Charlton) 26 novembre 2016
Impossibile dire se la visione di Calipari si realizzerà o meno, ci sono troppi fattori che possono andare storti nello sviluppo dei giocatori, tra infortuni o altro. E la parola sviluppo è la chiave per i Phoenix Suns. Hanno il potenziale per essere una superpotenza per almeno una decade, ma è un dominio che comincerà tra qualche anno. Intanto, sarà un piacere veder crescere il gruppo più promettente di tutta la lega.