Circa quarantott’ore dopo l’apparizione di LeBron James sul parterre di Virginia-Duke, un’altra stella – meno luminosa ma dal futuro assicurato – faceva capolino sulle tribune di una partita NCAA. Niente prime time, telecamere in ogni angolo o scout NBA a fare la fila: Marvin Bagley era in uno degli impianti meno glamour dell’intera Division I. Sacramento State gioca in un posto che chiamano The Nest, il nido. Il nome nasce dall’accostamento al nickname della squadra (Hornets, cioè vespe) ma il campo dei californiani non è propriamente fra i più temibili: quei 1.012 posti a sedere non vengano riempiti mai spesso come dovrebbero – di solito per metà o per tre quarti. Roba da high school o da junior college fra i tanti.
Il college basket è anche questo: mondi grandissimi e minuscoli che si sfiorano, che s’incrociano. Capita anche così che l’attrazione di una certa serata non sia un ex Blue Devil ma un esordiente italiano che in campo trascina la squadra di casa a suon di canestri e rimbalzi. Ethan Esposito ormai ci ha abituato a prestazioni di un certo tipo: entra, aggredisce la partita puntando il canestro con decisione, strappa carambole in attacco sgusciando fra gli avversari. Madre americana, vive negli Stati Uniti da quando aveva 14 anni: in campo però la cazzimma è tutta partenopea. Contro Portland State, sotto gli occhi di Bagley, ha messo insieme 16 punti, 6 rimbalzi, 2 assist, 1 stoppata e 1 recupero, top scorer dei suoi stando in campo per appena 19 minuti.
Era partito alla grande, ha poi avuto un periodo di flessione ma, ora che ha superato i suoi acciacchi, Esposito è tornato nuovamente a essere preziosissimo in uscita dalla panchina: nelle ultime 7 gare, ha viaggiato a quota 11.4 punti, 54.9% dal campo e 4.4 rimbalzi in 19.4 minuti.
«Come giocatore, credo di essere molto più fisico in confronto a quando sono arrivato», ci dice. Non è difficile notarlo: circa 2 metri di altezza per 100 chili di peso, Ethan è un torello che può far molto male quando occupa l’area o quando l’attacca frontalmente. Non usa molto la mano debole ma con la destra riesce a fare spesso e volentieri quel che vuole dopo che si è fatto spazio muovendo bene i piedi. Nel suo unico anno di junior college era abituato a giocare da lungo e lo spartito non è cambiato poi molto, adesso, alla sua prima stagione in Division I: la gran parte delle sue conclusioni arrivano vicino al canestro, con percentuali al ferro discrete (59.2%) ma che ci si può benissimo aspettare più alte in futuro da uno come lui.
Sempre stato molto a suo agio dalla media, i tentativi da tre sono invece rarissimi: 3/10 in stagione, l’ultima tripla tentata risale a fine gennaio. Del resto, Esposito gioca in una delle squadre meno perimetrali di tutta la NCAA: solo il 26.9% delle conclusioni avvengono oltre l’arco. In una misura o nell’altra, gli Hornets allenati da Brian Katz, seduto su quella panchina da 11 anni, sono quasi sempre stati così.
La cosa che colpisce di più presso Ethan, è il suo senso per il rimbalzo, specialmente in quelli offensivi. Non parliamo di un freak athlete o di qualcuno che sposta solo col fisico: nel modo in cui s’intrufola per catturare carambole ci sono intelligenza, ottimi riflessi e attività davvero infaticabile. I numeri parlano per lui: 13.4% di Offensive Rebounding Percentage, 19.4% in quelli difensivi. Per un certo periodo, a cavallo fra novembre e dicembre, il 22 degli Hornets risultava primo nella nazione per quanto riguarda la prima voce. Al momento non compare nelle classifiche di KenPom solo perché il suo minutaggio è appena sotto la soglia minima richiesta per essere nel ranking, altrimenti sarebbe 1° per OR% e 11° per DR% nella sua conference, la Big Sky. Non male, per un esordiente.
Punti in area, rimbalzi, buona presenza difensiva (non soltanto sotto canestro): per ora il suo contributo si limita a questo ma l’impressione è che ci sia altro nel suo repertorio (per esempio, la buona visione e il tempismo nell’innescare i compagni servendoli dal gomito) che, prima o poi, finirà per emergere non appena riuscirà a smettere le vesti di sesto uomo per indossare quelle di titolare a tutti gli effetti.
Non è tempo però per pensare a domani: oggi c’è una classifica di conference da risalire al più presto. Gli Hornets navigano a metà Big Sky e le ultime due vittorie conquistate sanno di riscatto rispetto alle non poche sconfitte arrivate in volata, gare in cui «non siamo riusciti a mantenere l’intensità per tutta la partita», come spiega il napoletano che, nel frattempo, non ha avuto problemi ad adattarsi: «l’ambiente è molto buono, siamo un gruppo molto affiatato, legati l’uno all’altro come fratelli».
Record 5-8, sette match da disputare: la vetta è ormai un miraggio ma agguantare il 5° posto è cosa ancora perfettamente fattibile e che potrebbe fare la differenza, poi, quando ci sarà da giocare il torneo di conference per un titolo che la piccola Sacramento State non ha mai nemmeno sfiorato. A marzo però c’è sempre spazio per le sorprese, si sa.