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Gabby Williams, a UConn la F4 è un sollievo

Autore: Isabella Agostinelli
Data: 20 Apr, 2019

In quattro stagioni in maglia UConn, Gabby Williams ha giocato per quattro volte le Final Four vincendo il titolo sia da freshman che da sophomore. Selezionata nel Draft WNBA come quarta scelta assoluta, lo scorso anno ha indossato la maglia delle Chicago Sky diventando subito una pedina importante nelle rotazioni della squadra dell’Illinois, non tanto in fase offensiva (7.3 punti di media) quanto in fase difensiva: è stata la prima della squadra per palle rubate e, grazie alla sua versatilità, può coprire più ruoli.

Dopo una breve parentesi a Napoli in Serie A1, l’abbiamo raggiunta a Girona dove sta disputando il campionato spagnolo e l’Eurolega con la Uni Girona Club. Insomma, chi meglio di lei può aiutarci a commentare le Final Four Femminili e a capire quale sarà il futuro delle protagoniste di questa stagione? Ecco cosa ci ha raccontato.

Nei quattro anni passati a UConn hai giocato ben quattro Final Four: cosa significa per un’atleta giocarsi l’atto conclusivo della NCAA?

Per un’atleta di UConn è una sorta di sollievo. Può sembrare strano ma bisogna tenere in conto che UConn è un programma assai differente da tutti gli altri. Per tutto l’anno si sente la pressione di dover arrivare a quel traguardo e quindi in quei due giorni ci si sente libere di giocare la partita con maggiore serenità: ci si rilassa, il che può essere anche un po’ pericoloso, visto come sono andate le ultime Final Four.

Williams in maglia UConn

Qual è il tuo ricordo più bello?

Ogni anno è stato diverso ma il ricordo più bello è senza dubbio quello della mia stagione da sophomore. La prima Final Four da freshman non l’ho giocata, dato che non ho avuto molto spazio nelle rotazioni. Il secondo anno però ho avuto la possibilità di giocare da titolare la finale e di vincere il trofeo in campo. Era stata una grande stagione per noi ed arrivavamo a quel appuntamento imbattute: non c’è che dire, quella è stata una bellissima Final Four [ride al ricordo]. Nel junior e senior year, naturalmente avevo più pressione addosso in quanto ero io a dover guidare la squadra e in qualche modo a condurla verso la vittoria. Il ricordo della partita contro Notre Dame brucia ancora.

Dato che l’hai menzionata, la prima semifinale di quest’anno è stata il remake di quella della scorso anno. Che ricordi hai di quella partita? Quali sono i punti di forza di Notre Dame?

È stata dura accettare quella sconfitta. Abbiamo giocato punto a punto e ogni volta che tentavamo l’allungo o che avevamo creato un piccolo gap, loro ritornavano. Sono state molto più aggressive di noi. Notre Dame è una squadra con un attacco molto forte e con una serie di giocatrici tutte molto forti: Jessica Shepard, Brianna Turner e Jackie Young sono delle giocatrici strepitose. Non a caso Notre Dame è la squadra con il più alto numero di giocatrici nel Draft di quest’anno [ben cinque, un vero record nella NCAA femminile. Young, addirittura, è stata la prima scelta assoluta del Draft WNBA e giocherà con le Las Vegas Ace].

Parlando di senior di un certo livello, che ci puoi dire di Arike Ogumbawale e di quel buzzer beater?

E chi se lo dimentica. Arike quest’anno è tornata molto concentrata e con una grande energia. Voleva davvero quel titolo e ha dato tutta se stessa in campo nella finale. Quello è il suo stile di gioco, piaccia o no.

 

Ma non è bastato per vincere il titolo.

No. E ciò che ha fatto Baylor mi ha colpito davvero tanto. Sapevo già che era tra le favorite sin da inizio stagione e che sarebbe stata la squadra da battere. E così è stato. Speravo che UConn vincesse e penso che contro le Lady Bears avrebbero avuto una grande possibilità. Baylor si è dimostrata però una grande squadra: punta molto sulle difesa ma può contare su giocatrici che sanno anche attaccare e fare punti.

E tra queste c’è Kalani Brown. Hai avuto modo di conoscerla? Che tipo di giocatrice è?

Eravamo insieme nel National Camp del 2017. È una giocatrice unica nel suo genere. Quest’anno ha iniziato da subito con una grande energia e si vedeva quanta fosse la sua voglia di arrivare fino in fondo e vincere il titolo. Ha lavorato molto sul tiro e sul suo corpo e le percentuali che è riuscita a mettere insieme quest’anno ne sono la prova.

E naturalmente il prossimo anno te la ritroverai in WNBA?

Sì sì… [ride], insieme a tante altre senior. Quest’anno di giocatrici forti che arriveranno in WNBA ce ne sono tante. È stata una senior class di altissimo livello, quella di questa stagione. Non vedo l’ora di vedere come se la caveranno nella lega professionista e soprattutto di rivedere molte di quei volti familiari. [Kalani è stata scelta con la numero #7 dalle Los Angeles Sparks mentre Arike Ogumbawale dalle Dallas Wings alla #5].

Dopo le due sconfitte in Final Four, UConn ha subito molte critiche. Cosa pensi che sia mancata a UConn in quelle due partite? Partire sempre da favorite può essere stato un fattore negativo?

Difficile dire se il giocare nell’American sia la sola causa delle tre sconfitte di UConn. Ci sono sicuramente una serie di fattori che insieme hanno contributo a questa situazione. Coach Auriemma e lo staff di UConn fanno di tutto per far fare alla squadra delle partite di un certo livello in preseason. Ma poi la verità è che in conference le partite non sono mai troppo impegnative e di colpo a marzo ti ritrovi a giocare con le più forti con poco margine di errore. Se devo essere sincera, avendo vissuto questa situazione sulla mia pelle, l’American non aiuta molto il programma a crescere.

Dopo una stagione nella WNBA hai deciso di venire in Europa: come mai questa scelta? Quali sono le differenze maggiori con il basket americano? Come ti può aiutare per la prossima stagione?

Ho un passaporto francese e quindi l’Europa mi ha sempre attratto molto. Poi avevo la possibilità di giocare da professionista nel momento in cui la WNBA era ferma e quindi avrei potuto fare esperienza e guadagnare un po’ di più. La scelta del campionato spagnolo è facile da spiegare: è uno dei più competitivi a livello europeo per quel che riguarda il basket femminile. Mi è dispiaciuto lasciare Napoli e l’Italia, proprio quando avevo iniziato a parlare un po’ d’italiano [ride]. Nel mio futuro penso che ci sarà l’Europa: quest’anno tornerò a fare il campionato statunitense e poi sarò di nuovo qui.

Williams durante la sua parentesi napoletana

Sabrina Ionescu di Oregon è stata indecisa sino all’ultimo su cosa fare nel suo senior year, se rimanere un’altra stagione a Oregon o tentare il Draft. Dato che tu hai già fatto questo passaggio, come vedi la sua decisione?

Naturalmente ogni situazione è diversa, ma capisco il desiderio di Sabrina di rimanere ancora al college: in fondo, lei ha portato Oregon a questo livello, ha attirato molta attenzione su questa squadra e ne è un po’ la colonna portante. La prossima stagione potrà riprovare a portare a termine quello che non è riuscita a fare quest’anno e sono sicura che ha ancora qualcosa da dare al basket universitario.

Quali sono le difficoltà maggiori che hai trovato nel passaggio dal college al professionismo?

Di differenze ce ne sono e tante. Da professionista, il basket diventa innanzitutto un lavoro e come in ogni altro lavoro si può essere licenziate o perdere il posto (vedi Napoli, ex squadra di Gabby che a metà stagione ha dichiarato il fallimento). Al college ci si sente più parte di una famiglia: con le proprie compagne di squadra si vive quotidianamente, si va a scuola, ci si frequenta e nascono dei legami fortissimi. E questo mi manca tantissimo! Da professionista chiaro, nascono amicizie, ma non c’è quel senso di unione e sorellanza che si ha nel basket universitario e c’è sempre qualcuno dietro di te che cerca di prendere il tuo posto. Non si tratta più di partite: da professionista il basket diventa la tua vita e c’è solo quello giorno dopo giorno.

Parlando di “sorellanza” parlaci un po’ delle tue ex compagne di squadra Samuelson e Collier.

Dal punto di vista sportivo, non ci sono dubbi sul fatto che siano state due delle più grandi giocatrici del programma. Anche se non sono riuscite a vincere il titolo, hanno sicuramente lasciato il segno nella storia del basket universitario femminile e devono essere orgogliose di quello che sono riuscite a compiere nei quattro anni in cui hanno indossato la maglia di UConn. Personalmente non vedo l’ora di vedere quello che riusciranno a fare nel campionato professionistico. [Chissà come avrà reagito alla notizia che il prossimo anno Lou Samuelson sarà sua compagna di squadra a Chicago; Napheesa Collier invece giocherà nelle Minnesota Lynx]. Dal punto di vista personale, sono le due persone più importanti che ho incontrato nella mia vita. Ci sentiamo sempre, quasi ogni giorno, e non vedo l’ora di poterle rivedere in campo [aggiunge tradendo una certa emozione nella voce].

Williams abbracciata da Samuelson durante la vittoria su Duke nelle Sweet 16 del 2018

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