Non è stata la prima estate in cui il corridoio tra Europa e America è stato battuto da molti. La prima vera esplosione del reclutamento internazionale era avvenuto appena prima del Covid portando molti giocatori, tanti anche italiani, a venire in NCAA. Leonardo Bettiol si colloca in mezzo a queste due fasi: lungo, classe 2002, nel 2021 ha deciso di trasferirsi in Texas, ad Abilene Christian, un piccolo college cristiano con poco meno di 7mila studenti. Nei quattro anni lì è cambiato molto, sia Leonardo come giocatore, sia l’NCAA come istituzione, e in questa offseason ha deciso di sfruttare il suo ultimo anno di eleggibilità per vedere cosa il portal gli potesse offrire.
Il risultato è stato UMass, storico college del Massachusetts, allenato negli anni ’90 da John Calipari, con il quale conquistarono una Final Four, che ora è allenato da Frank Martin, decano del college basketball, capace di portare nel 2017 South Carolina alle Final Four. Abbiamo parlato con Leonardo della sua esperienza americana.
Sei arrivato in NCAA con un po’ di esperienza da pro alle spalle, un bel contesto come quello di Treviso, le partite con la Rucker. Com’è stato il tuo viaggio in questi quattro anni americani?
Il Leo di quattro anni fa era sicuramente molto meno maturo, sia fisicamente che sportivamente e nella vita in generale. In questi quattro anni al college ho lavorato molto in palestra: quando sono arrivato negli Stati Uniti pesavo 205 libbre, ora sono circa 240. All’inizio faticavo a esprimermi, ora il mio inglese è migliorato moltissimo. A metà aprile mi sono laureato in Business Management, poco prima di trasferirmi qui. Finora è stata un’esperienza ottima.
Com’è nata l’idea dell’NCAA quattro anni fa e come sei finito ad Abilene Christian?
Era qualcosa a cui avevo pensato, qualcosa che era sempre stato sullo sfondo, soprattutto vedendo ragazzi come Federico Poser, che è anche lui di Treviso, o Davide Moretti. È sempre stato un sogno affascinante, ma allo stesso tempo qualcosa di lontano e un po’ spaventoso. Quando ho realizzato che c’era la possibilità di vivere qui, il mio agente mi ha detto che alcune squadre in America erano interessate a me. Abilene Christian ci ha contattato e abbiamo deciso di cogliere l’opportunità. Era un programma importante, reduce da una vittoria contro Texas (March Madness 2021, ndr) e considerando che era il primo anno dopo il Covid, abbiamo deciso di accettare la prima possibilità che si è presentata.
Raccontaci la tua crescita nei quattro anni ad Abilene.
Il mio primo anno in America è stato probabilmente il più difficile: arrivare senza conoscere nessuno né l’ambiente è stato complicato. Dopo un mese, l’assistente allenatore mi ha detto che la cosa migliore sarebbe stata fare l’anno da redshirt, non giocare tutto l’anno per migliorare e arrivare pronto l’anno successivo. È stata una decisione dura, ma oggi, quattro anni dopo, so che è stata la scelta migliore. Il secondo anno è stato un vero rollercoaster: a volte giocavo, altre no, senza sapere cosa aspettarmi. Dovevo solo stare pronto, lavorare e sperare che il mio nome venisse chiamato. Nel terzo anno, ho iniziato a giocare molto, soprattutto nella seconda parte della stagione. All’inizio giocavo pochi minuti, poi, dopo un piccolo infortunio, sono diventato titolare e ho giocato tutto l’anno. L’allenatore mi ha dato molta fiducia, anche se ho perso qualche partita per una stiratura al legamento. Appena tornato, ho guadagnato sempre più fiducia, diventando titolare nelle ultime 18-20 partite. L’anno scorso è stato il mio migliore a livello personale.
Quanto è dura affrontare l’annata da redshirt?
Durante quell’anno ho seguito tutto ciò che faceva la squadra: allenamenti, viaggi e attività varie. In più, ogni giorno avevo un allenamento individuale con l’assistente e lavoravo da solo in sala pesi. Nonostante questo, viaggiavo e mi allenavo con la squadra, partecipando alla maggior parte degli allenamenti come gli altri. L’unica differenza era che, preparandoci all’avversaria di turno, facevo parte dello scout team, concentrandomi soprattutto sull’attacco, visto che non giocavo e non dovevo prepararmi alla difesa, che era il focus maggiore del coach.
Tre anni che non hanno portato grandissimi soddisfazioni: record sempre intorno al 50%, nonostante qualche grande acuto come la vittoria in casa di Oklahoma State o battere Grand Canyon, dominatrice della WAC. Cosa non è andato?
Quando sono arrivato, il mio primo anno è stato piuttosto diverso e non sapevo bene cosa aspettarmi. Ero uno dei più giovani, partivo dalla panchina e giocavo pochi minuti a partita, a volte 5-6, altre volte 10. Eravamo una squadra abbastanza esperta, con molti senior e l’allenatore si fidava molto di loro, che erano lì da anni. Forse si affidava un po’ troppo a quei giocatori, non so bene il motivo, ma quell’anno non è andato come speravo. L’anno dopo è stato un susseguirsi di alti e bassi, come hai detto tu. Abbiamo vinto contro Grand Canyon, abbiamo perso di poco contro Arkansas, eravamo in vantaggio di 10 punti a fine primo tempo. Abbiamo giocato contro NC State, arrivati alle Final Four, con DJ Burns, che è stato difficile da marcare e servivano due giocatori per contenerlo.
Quell’anno è stato molto soddisfacente, anche se il record finale non lo mostra: abbiamo perso 5 o 6 partite all’ultimo tiro. Il nostro record è stato 16-17, ma poteva tranquillamente essere 20-12 o 21-13. Nel basket universitario è così, è un mondo pazzo dove non si sa mai cosa può succedere. L’anno scorso siamo stati molto sfortunati: abbiamo perso un ragazzo che sarebbe dovuto partire titolare già alla quarta o quinta partita, quando si è dovuto operare alla spalla ed è stato fuori per tutta la stagione. A questo si sono aggiunti altri infortuni e la squadra non ha mai davvero ingranato. Secondo me avevamo il talento, la squadra più forte dei miei quattro anni, ma a volte le cose non vanno come dovrebbero e non si può farci nulla.
Arriviamo al portal: com’è stata l’esperienza? Alcuni tuoi colleghi italiani ci hanno raccontato della follia di questo momento dell’anno. É stato così anche per te?
L’idea di entrare nel transfer portal è arrivata un paio di settimane dopo aver finito la stagione. Ero un po’ combattuto tra tornare in Europa a giocare, visto che sapevo che mi sarei laureato presto. Poi mi sono detto di provare qualcosa di nuovo e vedere cosa il portal poteva offrire, magari a un livello più alto.. Quando sono entrato, sapevo che sarebbe stato un casino, ma non immaginavo ci fossero così tanti soldi in ballo. Parliamo di cifre cinque o sei volte più alte di quelle che girano in Europa. All’inizio ero ancora indeciso, 50 e 50 tra tornare in Europa o restare. Ho cambiato idea più volte, ma alla fine ho deciso di fare un altro anno qui, visto che ormai sono quattro anni che sono qui, facciamo cinque. lI portal é stressante, non sai mai di chi fidarti: ci sono allenatori che promettono tanto ma poi non mantengono o ti reclutano ma poi non ti fanno giocare, quindi bisogna stare attenti. Fortunatamente la persona che mi segue è molto competente e conosce molte persone, quindi mi sono fidato molto di lui, così come del mio allenatore e dello staff di Abilene.
Ah, quindi il coach di Abilene Christian ti ha aiutato a trasferirti?
Mi hanno aiutato molto, soprattutto durante la conversazione con Coach Tenner riguardo l’ingresso nel transfer portal. Mi ha sostenuto molto, perché alla fine mi conosce da quattro anni. Ho dato tutto per lui e lui mi considera quasi come uno della famiglia. Suo figlio è stato uno dei walk-on della squadra negli ultimi quattro anni ed è anche mio migliore amico, quindi sono molto legato a loro. Hanno capito perché lo facevo, poi loro non avrebbero mai potuto eguagliare la proposta di UMass.
Quali squadre ti avevano contattato?
Ho ricevuto offerte da Seattle, Liberty, Wyoming, Drake, New Mexico, Loyola-Chicago, South Florida. Mi è esploso il telefono.

Quattro anni al college, tre in cui ha giocato: Bettiol ad Umass va a cercare la Madness
Come ti è stato introdotto il capitolo NIL in queste conversazioni? Se ne parla con i giocatori o con voi è solo basket?
Tutte le trattative economiche sono state gestite dal mio agente, gli allenatori non mi hanno mai parlato direttamente di quanti soldi avrei preso, non hanno mai menzionato nulla, mai un dollaro o una parola. Tutto è stato a livello di basket, tra la squadra e la scuola. Quando le trattative si fanno più avanzate, di solito le scuole cercano di organizzare una chiamata via Zoom. Durante queste chiamate ti mostrano un power point in cui fanno vedere la scuola, cosa offrono, i giocatori simili al tuo ruolo che hanno allenato in passato e cosa si aspettano da te. Di solito partecipano tutto lo staff tecnico: allenatore, vice allenatore, manager e altri, ed è spesso la prima volta che li incontri in questo modo.
Queste chiamate sono importanti per capire chi mente e chi è sincero?
Diciamo sì e no. Spesso si capisce quando un allenatore è genuino e quando non lo è. Se un allenatore ti scrive e sembra troppo perfetto, senza mai menzionare aspetti negativi, è un campanello d’allarme. Per esempio, l’allenatore che mi ha reclutato qui, Coach Matt Figger, era capo allenatore a UT Rio Grande Valley e ha giocato contro di me nella WAC un paio d’anni fa, quindi mi conosce bene e sa come gioco. Il sistema di gioco che avevamo con ACU è molto simile a quello qui, quindi mi ha spiegato e dimostrato che sarebbe stato facile per me adattarmi.
Capitolo NIL: che attività dovrai fare?
Essendo international, non posso fare alcun tipo di attività. Neanche ad Abilene le ho potute fare. C’è tutto un discorso fiscale complicato dietro, lavoro in America ma dovrei essere pagato in Italia. Quindi, mi pagano per giocare e non devo fare altro.
Arriviamo a UMass: ci hai già detto com’è nato il contatto con loro, allora parlaci di coach Frank Martin, uno che ha una grandissima carriera in NCAA, arrivando anche alle Final Four. Come ti stai trovando in Massachusetts?
Sono qui da circa due settimane e mezzo. Domani concludiamo la prima parte dell’estate: abbiamo iniziato lunedì scorso e fatto 10 giorni consecutivi di allenamenti, pesi, attività di squadra e simili. Coach Martin non si è ancora espresso molto durante gli allenamenti, lasciando più spazio agli assistenti per dirigere. Da quello che ho sentito, è un allenatore molto vivace e molto estroverso, ma sa bene cosa fa. Ha un curriculum incredibile: ha allenato per più di 15 anni ad alti livelli e ha seguito molti giocatori NBA. Il fattore chiave che mi ha convinto a venire qui è il suo focus sui lunghi, giocando molto con i quattro e i cinque, cosa che per me è stata determinante nel momento di prendere una decisione.
Come ti trovi con la squadra? Un’annata delicata per UMass che cambia conference dopo quarant’anni, dall’Atlantic 10 alla MAC.
Diciamo che sta andando molto bene. Tutti i ragazzi finora sono molto simpatici e disponibili a conoscersi e a creare un rapporto, che sarà fondamentale durante la stagione. Credo che le squadre più forti siano proprio quelle con un legame solido tra i giocatori. Mi sto trovando bene; ci sono solo 3 o 4 ragazzi che erano nella squadra l’anno scorso, quindi ci sono circa 10-11 persone nuove. Come hai detto, è una squadra nuova, ma secondo me è più facile inserirsi in un gruppo completamente nuovo, dove tutti vogliono conoscersi, piuttosto che in uno che sta insieme da anni. Vogliamo vincere la MAC e fare il meglio possibile come squadra. Personalmente, voglio avere un buon anno, un ultimo anno di successo per iniziare al meglio la mia carriera professionistica.
Visto che è una squadra tutta nuova, come state costruendo la chimica? É un focus degli allenatori oppure voi giocatori state prendendo iniziativa?
Il modo migliore è passare tempo insieme, fuori dal campo. L’allenatore per l’estate ci ha fatto vivere tutti nello stesso dormitorio, che si trova proprio dall’altra parte della strada rispetto alla palestra. Camminiamo insieme, torniamo insieme e viviamo tutti sullo stesso piano, con le stanze una accanto all’altra. Ad agosto, a fine estate, mi sposterò in un appartamento, ma per ora non è un problema. All’inizio un po’ mi dava fastidio il dormitorio, ma ormai mi sono abituato e mi piace stare in compagnia con tutti.
Non sei l’unico international in squadra, ma sei sicuramente il più esperto.
Diciamo che sono il più anziano tra gli international. Abbiamo un ragazzo svedese, uno svizzero, uno dominicano e anche un bosniaco. Molti, soprattutto i freshman come quello svedese e quello domenicano, mi prendono come esempio perché ho già vissuto queste esperienze, non è la mia prima volta. Sto cercando di aiutarli.
Boston College e un viaggio ai Caraibi sicuro: come sarà la vostra schedule nella prossima stagione?
Giochiamo contro Florida State in un torneo, poi affrontiamo Providence e Boston College. Al torneo delle Virgin Islands giochiamo contro, se non sbaglio, Oregon State, una partita molto importante. La maggior parte delle altre partite, che non fanno parte di tornei, le giochiamo in casa contro piccole squadre di Division I della zona.
Obiettivi per la prossima stagione?
Personalmente non sono mai stato un tipo che si dà l’obiettivo stagionale: non mi sono mai detto che quest’anno doveva fare 20+10. L’unico obiettivo è vincere la MAC e andare alla March Madness.