È il più giovane del gruppo e quello con più occhi addosso: Niccolò Mannion, 17 anni e top prospect in ottica college, è in raduno con la Nazionale azzurra allenata da coach Meo Sacchetti, impegnata a prepararsi per le partite di qualificazione ai Mondiali in casa con la Croazia (il 28 giugno a Trieste) e in trasferta con i Paesi Bassi (1 luglio).
Siamo andati a Roma per fare due chiacchiere con lui, al termine della quarta giornata di allenamenti, parlando sia di Nazionale che della sua situazione di recruiting. Aperto e disponibile, Nico dimostra di avere le idee molto chiare sul suo futuro.
Diciassette anni, prima volta che ti alleni con dei professionisti: come ci si sente?
È un onore. L’anno scorso ero con la Nazionale U16 e passare da quella squadra a quella maggiore, è un grosso salto. Sono semplicemente entusiasta di essere qui: entusiasta di stare qui coi ragazzi, coi professionisti, guardare quel che fanno e imparare da loro ogni giorno.
Come sta andando dal punto di vista della comunicazione e della conoscenza reciproca, visto anche che per te questo è un gruppo completamente nuovo?
Durante il primo paio di giorni era difficile. Parlo italiano ma, quando cominciano a parlare velocemente, non capisco tutto. Però sul campo capisco praticamente tutto e riesco a comunicare coi ragazzi abbastanza facilmente. Oggi è stata la miglior giornata, fin qui. Abbiamo due allenamenti al giorno, di mattina di solito facciamo pesi e tiro, la sera facciamo cose più di contesto: partitelle, ritmo, esecuzione di schemi. Sta andando bene, oggi è stata proprio un’ottima giornata.
Accennavi alla tua esperienza con l’U16: quali differenze avevi trovato rispetto alla pallacanestro AAU?
Era tanto diverso. Qui è più una questione di pensare velocemente, mentre nella AAU ci sono tanti atleti, ritmo alto, non ci sono molti schemi, non devi leggere le situazioni altrettanto. Qui invece ci sono tanti schemi, i giocatori capiscono molto bene come stare in campo.
Quante possibilità ci sono di vederti anche con la Nazionale U18 agli Europei (28 luglio – 5 agosto)?
Non lo so, non ne ho ancora parlato con mio padre. La cosa è uscita fuori l’altro giorno, ma non ne abbiamo parlato veramente. Probabilmente è una decisione che prenderò più in là.
Non molto tempo fa hai detto di volerti riclassificare dal 2020 al 2019. Ora come ora, quali sono le possibilità che ciò succeda, se devi indicare una percentuale?
Adesso siamo probabilmente sul 90%. È quasi cosa fatta. Non credo di aver bisogno di altri due anni di high school, onestamente. Penso che me ne basti uno. Quest’anno proverò ad andare in sala pesi e mettere su un po’ più di chili, avere un corpo più da college ed essere pronto a competere con i ragazzi del college. Quando tornerò negli Stati Uniti, avrò tutto il mese di luglio che sarà l’ultimo per me nella AAU. È importante per me, proverò a divertirmi un bel po’. Dopo questo, un altro anno di high school e, dopo ancora, il college.
Nella scorsa settimana, hai ridotto la tua lista di college preferiti a dieci. Fra questi, ci sono anche Duke e Villanova, due università che ti hanno offerto una borsa nei tempi più recenti: quali sono le tue impressioni a riguardo?
Sono davvero importanti per me, sono due università davvero grosse e prestigiose. Parlare con Jay Wright e con Coach K è già di per sé un onore: ricevere offerte da entrambi, è un onore ancora più grande. Quando restringerò la lista a cinque squadre, probabilmente farò cinque visite ufficiali e probabilmente visiterò tutte e due. Magari ad agosto-settembre-ottobre, intorno a quel periodo. Poi quando inizierà la stagione, vorrei andare a vedere una partita, vedere com’è l’atmosfera, osservare lo stile di gioco.
Nella tua lista, ci sono delle blue blood come Duke e Kansas, ma anche squadre di altro tipo: quali sono le cose cui dai più importanza in questo processo di selezione?
Onestamente, le due cose principali sono il rapporto con l’allenatore – devo sentirmi molto vicino al coaching staff, sentirmi a mio agio, dev’essere un ambiente famigliare – e lo stile di gioco, perché non voglio arrivare lì e giocare a ritmo basso o cose così. Mi piace giocare in transizione, è quello il mio stile. Voglio essere in condizione di poter arrivare lì e giocare secondo il mio stile sin da subito. È per questo che ho scelto quelle dieci: ora come ora, sono adatte al mio stile e mi sento vicino ai loro coach.
Possiamo dire che poni una certa enfasi su fit e stile anche perché il tuo obiettivo è di essere one-and-done?
Esatto, decisamente.
Eri sophomore in high school e il regolamento prevede delle restrizioni alla comunicazione fra giocatore e coach: in che modo ti ha condizionato?
Ho potuto parlare con loro, è solo che non potevano essere loro i primi a chiamarmi per telefono o mandarmi messaggi. Dovevano passare attraverso il direttore del mio programma di AAU. Ora sarà molto più facile comunicare.
Dal 15 giugno, appunto, potrete parlare direttamente: che tu sappia, c’è qualcuno di questi coach che verrà a vederti qui in Italia con la Nazionale?
Non lo so, un paio di allenatori me l’hanno chiesto ma non so come sia la faccenda, se hanno la possibilità di farlo oppure se è considerato un “live period”. Quindi non ne abbiamo discusso veramente.