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Marcus Paige e gli altri, che fine hanno fatto?

Autore: Sergio Vivaldi
Data: 13 Gen, 2017

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Qualche settimana fa siamo andati a vedere come si stavano comportando alcuni dei centri saliti in Nba lo scorso giugno e improvvisamente scomparsi dai radar. La riflessione di partenza, in quell’occasione e in ogni altra quando si tratta di rookie e di Nba, è che serve tanta fortuna anche per i giocatori. È la squadra a scegliere il giocatore e non il contrario. Il ragazzo potrebbe facilmente trovarsi in un contesto che non gli permette di esprimersi o uno spogliatoio che lo allontana o decine di altre situazioni che non lo mettono nelle condizioni di esprimersi. Per esempio, non è ancora chiaro cosa diventeranno Dragan Bender e Marquese Chriss a Phoenix ma, al momento, le cose non sembrano andare per il meglio. L’esempio contrario è Malcolm Brogdon: scelto al secondo giro dai Milwaukee Bucks, si è dimostrato il miglior giocatore del draft 2016 con ampio margine su Jamal Murray e gli altri rookie (NB: Embiid e Saric sono rookie ma sono stati scelti nel draft 2014). Il classico caso del giocatore giusto al posto giusto.

Fatta questa dovuta premessa, ecco qualche nome, circondato dal solito hype esagerato che accompagna ogni ragazzino appena uscito da un college, di cui si sono più o meno perse le tracce.

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Taurean Prince, F, Atlanta Hawks

Tutti i fan del college basketball ricorderanno la grande performance di Prince in sala stampa, quando rispose a un giornalista che gli chiedeva cosa avesse permesso a Yale di superare Baylor (che, peraltro, non ne sente la mancanza, stando all’ultimo ranking AP) a rimbalzo in uno degli upset più clamorosi della scorsa March Madness.

 

L’ala divenne la scelta #12 per gli Atlanta Hawks, una situazione allo stesso tempo molto interessante e poco promettente. Interessante perché Mike Budenholzer è uno dei migliori allenatori in circolazione e i suoi assistenti hanno dimostrato di saper valorizzare i giocatori con cui hanno lavorato (basti pensare alle carriere di DeMarre Carrol, oggi a Toronto, Jeff Teague, oggi agli Indiana Pacers, e Kent Bazemore). Il miglioramento è assicurato, se Prince saprà “lasciarsi allenare”. Non che questo sia mai stato un problema con lui. In quattro anni di college i suoi numeri sono sempre cresciuti, anche se, con l’aumentare dei tiri a disposizione, sono scese le percentuali. Tutto normale.

Le cose si sono complicate quando Prince si è ritrovato con altri 6 giocatori che potevano potenzialmente occupare lo stesso ruolo, molti dei quali veterani e parte del gruppo che aveva vinto 60 partite in Regular Season due anni fa. Le speranze di giocare erano poche. Al momento è entrato in campo in poco più della metà delle partite stagionali (22 su 38) con un minutaggio ridotto (10.6 minuti a partita) e non ha fatto nulla per convincere coach Bud a dargli più spazio. Le statistiche perdono di significato quando si ha a disposizione un campione così ridotto, ma il 32.1% da tre sicuramente non gli fa guadagnare minuti in campo, e neanche il numero di palle perse (0.7 a partita in 10.6 minuti).

Soprattutto, uno dei grandi problemi riscontrati è la difesa lontano dal pallone. In una brevissima parentesi in D-League (4 partite dal 29 dicembre al 6 gennaio), ha tenuto medie notevoli (21.8 punti, 8.5 rimbalzi, 2 assist e 1.5 rubate in 30 minuti a partita) ma dopo la trade di Kyle Korver gli Hawks hanno deciso di richiamarlo prima del previsto, senza che questo gli abbia fatto guadagnare minuti in Nba. Per alcuni giorni è sembrato che gli Hawks avessero deciso di smantellare la squadra, liberando minuti per lui e DeAndre Bembry, l’altro rookie a roster, ma ora si parla di un nuovo cambio di rotta e di una rinnovata attenzione verso le vittorie immediate e non al draft di giugno. La confusione certamente non aiuta.

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Demetrius Jackson, PG, Boston Celtics

Demetrius Jackson

Jackson rischia di essere un’altra seconda scelta dei Celtics circondata da aspettative poi disattese. Il primo caso fu Jordan Mickey, 31esima scelta nel 2015: contratto da oltre 1M l’anno per 4 anni (con gli ultimi due non garantiti) e mai veramente entrato a rotazione. Jackson è arrivato con meno hype e su raccomandazione di coach Brad Stevens, ha ottenuto un contratto di poco più ricco di Mickey, e si è accomodato in una squadra che ha scelto 4 point-guard negli ultimi 3 anni e che avrà una scelta in lottery nel 2017 (grazie ai Brooklyn Nets) in un draft sovraffollato di PG. Al momento non c’è spazio per Jackson nelle rotazioni dei Celtics e il suo fisico (183cm per 88kg) potrebbe dargli problemi in futuro. Finora, è rimasto con i Maine Red Claws in D-League, dove viaggia a una media di 18.7 punti, 4.7 rimbalzi e 5.4 assist a partita e ha dimostrato le sue doti da leader dentro e fuori dal campo.

La storia personale di Jackson non è una novità per i tifosi della Ncaa e di Notre Dame in particolare: ha un carattere e una determinazione che lo spingono a fare sempre il meglio, ma la verità è che in questo contesto, il suo meglio potrebbe arrivare solo con un cambio squadra. Per quanto talentuoso, se non riuscirà a migliorare così tanto da far immaginare un solido contributo quantomeno dalla panchina, rischia di trovarsi fuori dalla lega in alla scadenza del quadriennale firmato in giugno. Per il momento, la cosa migliore che gli poteva capitare è stare lontano dai riflettori e giocare con continuità. Il ragazzo vale la Nba e avrà tutto il tempo per dimostrarlo.

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Dejounte Murray, G, San Antonio Spurs

Dejounte Murray

Quanto detto per Jackson potrebbe valere anche per Murray, ma con una differenza: è stato scelto dai San Antonio Spurs. Murray entrava al draft con l’etichetta di grande talento e pessimo tiratore. La realtà è, ovviamente, più complicata di così. Nel suo unico anno a Washington non è sembrato pronto per la Nba, e infatti in molti sono rimasti sorpresi al suo ingresso al draft. I numeri al college non sono da dominatore (16.1 punti, 6 rimbalzi, 4.4 assist) e le percentuali al tiro terrificanti (28.8% da tre). Per avere il quadro completo, si aggiunga che il ruolo di PG è quello più difficile in assoluto e che i rookie considerati pronti a tentare il salto impiegano in media 3-4 anni per adattarsi definitivamente alla lega.

Ma gli Spurs sono un modello di organizzazione, efficienza e competenza per tutti. In stagione con gli Austin Spurs viaggia a medie di 17.7 punti, 7.7 rimbalzi e 6.4 assist, anche se si mantiene su un devastante 10.8% da tre punti. Ma non è solo questione di numeri. Bryn Forbes, rookie da Michigan State rimasto undrafted e firmato dagli Spurs in seguito, è il suo compagno di reparto con gli Austin Spurs e i due stanno mettendo a ferro e fuoco la D-League. C’è intesa, e tanto potenziale ancora inespresso. Sono entrambi molto giovani e stanno già crescendo insieme.

Murray è una scommessa per gli Spurs, sicuri di poter contare su Chip Engelland, lo shooting coach che ha trasformato il tiro di Kawhi Leonard dopo il suo arrivo in Nba, per sistemare le percentuali di tiro. Ma certamente l’ex Washington ha bisogno di irrobustire il fisico e di giocare per acquisire confidenza come PG. Murray non avrà un ruolo rilevante in Nba per diverso tempo, ma gli si prospetta un futuro come erede di Tony Parker, e se non saranno gli Spurs a rendere possibile questo futuro, allora non ci riuscirà nessuno. È nella situazione ideale, sta a lui non gettare alle ortiche l’occasione. E gli Spurs lo stanno facendo crescere accanto al giocatore che potrebbe essere il suo futuro compagno di reparto. Si diceva di organizzazione, efficienza, competenza.

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Marcus Paige, PG, Salt Lake City Stars

Paige viene da una stagione molto positiva, dopo aver guidato North Carolina alla finale persa contro Villanova. Ma ha dovuto attendere la chiamata #55 per sapere quale sarebbe stato il suo futuro in Nba. Un’estate passata con gli Utah Jazz, e poi il taglio e il passaggio ai Salt Lake City Stars, lo stesso percorso fatto da Yogi Ferrell con i Brooklyn Nets. La differenza tra la situazione di Ferrell e quella di Paige è che i Jazz sono una squadra molto migliore, più profonda e con più soluzioni per sopperire alla mancanza dei titolari. Paige, a differenza degli altri giocatori qui citati e di Ferrell, non ha una squadra Nba e non è chiaro se mai la avrà.

Con i SLCS non sta esattamente impressionando (12.6 punti, 2.4 rimbalzi, 2.2 assist in 33 minuti abbondanti) e passato il primo anno potrebbe trovarsi in Cina o in Europa, un esito sorprendente vista la sua carriera a UNC. Per chiarire, quando un rookie viene “tagliato” dopo il training camp estivo, la franchigia Nba ha un diritto di prelazione e può offrirgli un contratto con la franchigia D-League affiliata. Il vantaggio è l’accesso a un canale preferenziale con un roster Nba per coprire buchi dovuti a infortuni o simili, ma a fine stagione Paige, come tutti gli altri nella sua situazione, diventerà free agent.

Potrebbe essere l’ennesimo caso di star Ncaa che, arrivato in Nba, non riesce ad avere il successo che forse meriterebbe. A oggi, le cose non vanno bene per la squadra, che ha un record molto negativo, un attacco anemico e una difesa appena sufficiente (in una lega molto votata al gioco offensivo). Non bastano i continui stravolgimenti del roster a modificare il giudizio. Paige rischia di rimanere fuori dalla Nba e di dover emigrare oltre oceano. Se così dovesse essere, l’Europa lo attende a braccia aperte.

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