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Marvin Bagley, la strana creatura

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 31 Gen, 2018

È metà gennaio e al Cameron Indoor di Durham è in corso un incontro abbastanza senza storia, quello fra Duke e Wake Forest. I padroni di casa, infatti, sono già abbondantemente in vantaggio a inizio secondo tempo quando uno dei giocatori in biancoblu ruba un pallone vagante, parte in palleggio, elude il tentativo di recupero di un avversario, sorpassa un altro con un palleggio dietro la schiena e, infine, s’invola a canestro per chiudere in schiacciata. Bella azione, certo, e allora? E allora c’è che quel canestro, in teoria, non dovrebbe essere possibile. Non per un normale giocatore di quella taglia. Marvin Bagley III, però, dall’alto dei suoi 211 centimetri, di ordinario ha ben poco.

 

21.5 punti di media sfiorando il 60% dal campo e aggiungendo 11.4 rimbalzi, dopo 22 partite ha già stracciato i record di doppie-doppie (17) e di trentelli (6) per un freshman di Duke. Se non ci fosse di mezzo un certo Trae Young, non ci sarebbero dubbi nell’indicarlo come matricola più dominante del college basket.

Eppure, Bagley non mette d’accordo nessuno. Non per questioni di tifo, caratteriali o altro. Semplicemente, è il talento da lottery più difficile da mettere a fuoco, da inserire in scenari futuri. Una creatura meravigliosa, ma tanto strana.

DNA da campione

“Questo tizio era un saltatore fenomenale. Sapeva correre. In campo era come Westbrook. Molto atletico. Dalla metà campo, poteva magari fare un palleggio, arrivare in fondo e schiacciare”.

Le parole del hall of famer Walt Frazier starebbero a pennello sul Blue Devil, solo che la vecchia gloria dei Knicks si riferisce al nonno materno di Marvin, Joe Caldwell, scelta numero 2 al Draft del 1964 e che collezionò più di 12mila punti in nove anni di carriera professionistica. Di solito non c’è nulla di sorprendente nel notare somiglianze sul campo fra parenti atleti: peccato che Pogo Joe fosse una guardia/ala mentre il nipotino lo supera di 15 centimetri in altezza.

Se doveste chiedere al nonno di paragonare le capacità di Bagley alle sue, probabilmente scoppierà in una risata sincera: “È il doppio più veloce di quanto io lo fossi. È il doppio della mia taglia. Non avrei saputo fare le cose di cui è capace. Può arrivare col mento a quel maledetto canestro. È un esemplare di giocatore semplicemente incredibile”.

 

Il buon sangue di Bagley proviene anche da parte del padre Marvin Jr., ex giocatore di football prima al college e poi nella AFL (lega professionistica di football a 8). I meriti paterni, però, vanno ben al di là della trasmissione dei geni.

Sin da ragazzino, l’attuale numero 35 di Duke superava abbondantemente tutti gli avversari in altezza e c’era la fila di coach che avrebbero voluto prenderlo e piazzarlo sotto canestro per dominare in scioltezza, ovvero tutto il contrario dei piani di papà Bagley, il quale si è sempre prodigato con fermezza affinché il figlio imparasse a trattare il pallone, tirare, sviluppare uno stile di gioco il più completo possibile e non essere solo lo spilungone di turno che porta vittorie facili sacrificando la propria crescita tecnica. Per Marvin Jr. non è mai stato semplice trovare il posto adatto per la sua visione e il figlio ha finito per cambiare diverse squadre nel corso degli anni.

Alla fine, però, ha avuto ragione lui. Lungi dall’essere fatto e finito, il ragazzo dell’Arizona ha comunque eleganza e coordinazione sconvolgenti per uno della sua taglia. Abbinate queste qualità ad atletismo ed elevazione superiori alla media e a una mano sinistra dal tocco morbidissimo e avrete un giocatore che va al ferro con percentuali di realizzazione impressionanti (75%), sia ricevendo dal gomito o dalla linea da tre (e quindi attaccando frontalmente dal palleggio) che in posizione spalle a canestro. Certo, questa efficienza è in buona parte figlia della sua capacità di occupare gli spazi giusti per ricevere e realizzare conclusioni facili, ma sarebbe ingeneroso dar più peso del dovuto a questo aspetto e sottovalutare ciò che Bagley sa creare autonomamente.

 

Le sue capacità motorie sono uniche, il che ne fa un giocatore praticamente incontenibile in transizione a livello Ncaa, qualità che si sposa perfettamente con questa Duke che ama tanto alzare i ritmi. L’azione del filmato seguente è esemplare: dal momento in cui Grayson Allen riceve palla dopo il rimbalzo, Bagley impiega circa tre secondi per attraversare tutto il campo – senza sforzo, quasi al piccolo trotto – e farsi trovare pronto per l’alley-oop.

 

In campo aperto, mostra proprietà di palleggio ottime per uno della sua stazza (mentre in traffico possono sorgere problemi) ed è quindi capace di condurre e concludere il contropiede in solitaria.

 

Due interrogativi, anzi tre, facciamo quattro

Il tiro è uno dei grandi punti di domanda che lo accompagnano. Sulla sua tecnica, a dire il vero, c’è poco o nulla da discutere, ma al momento i nodi irrisolti sono diversi. Le percentuali a cronometro fermo non sono strabilianti (62.1%) e i jumper dalla media danno risultati di per sé sufficienti ma, per efficienza e volume, neanche lontanamente paragonabili a quelli di un DeAndre Ayton. Le percentuali da tre non sono certo da buttare via (34.1%) ma il numero di tentativi effettuati (2 a partita) sembra ancora insufficiente per tirare delle somme.

 

Il vero tallone d’Achille sta nella difesa. Bagley ha l’altezza giusta per difendere sui centri, ma manca ancora della forza necessaria nella parte alta del corpo per tenere in post basso. Inoltre, l’apertura di braccia non è esattamente quella di un Mohamed Bamba, il che non lo aiuta affatto nel proteggere il ferro. Altro problema, non meno importante: non sembra possedere un gran senso della posizione e può commettere ingenuità gravi lontano dalla palla e sui cambi. Attualmente effettua un recupero a partita ma, in buona parte dei casi, queste rubate sembrano più frutto del caso che di una ricerca attiva, pienamente consapevole.

Insomma, il problema finale è questo: come tradurre a livello NBA le sue qualità? Quali sono i difetti che presentano maggiori possibilità d’essere limati o addirittura eliminati? Quale, infine, il suo ruolo?

Per quanto riguarda l’ultimo interrogativo, ci sono diversi indizi che inducono a pensare che uno sviluppo come 4 sia quello più consigliabile, anche se questo non significa per forza che sia una strada facile o perfettamente naturale. Per interpretare il ruolo in chiave moderna, dovrà migliorare il tiro (specie quello dall’arco) e affinare gli istinti difensivi e ciò, per quanto imprescindibile, potrebbe anche non bastare. Pensiamo, ad esempio, alle sua capacità di passatore: sono ben presenti (1.1 assist di media) e risultano parecchio interessanti quando impiegate in transizione, ma per ora rappresentano un aspetto molto secondario del suo repertorio, essendo la sua visione di gioco subordinata ai compiti di realizzatore.

La storia personale di Bagley – o almeno, quel poco che filtra da un ambiente famigliare unito e che sceglie con discrezione quanto e come mettersi sotto i riflettori – ci parla di un ragazzo educato a lavorare su se stesso e in un ampio raggio di aspetti. Alcuni dei frutti di questo lavoro sono ancora acerbi, ma probabilmente vale la pena scommetterci con decisione quando si è in presenza di un talento naturale.

 

Bibliografia minima

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