Pronti, partenza, via e dopo poche partite Koa Peat aveva già superato a destra tutti i freshman che erano entrati al college sotto i riflettori, ossia AJ Dybantsa, Darryn Peterson o Cameron Boozer. Il primo AP “player of the week” della nuova stagione iniziata a novembre è stato proprio l’ala di Arizona, grazie a un esordio da 30 punti con 11/18 dal campo, 7 rimbalzi e 5 assist nella sfida contro i campioni in carica di Florida.
E così sono arrivati i titoli su tutti i giornali: la star che ci eravamo dimenticati, la vera rivelazione della stagione, una nuova possibile scelta numero 1 al draft. I media si sono sbizzarriti e, anche se le prestazioni nelle gare successive non sono state scintillanti come la prima, è abbastanza chiaro che Koa abbia tutte le caratteristiche per essere non solo una star a livello collegiale ma anche tra i professionisti.
Forse non è un caso che UCLA abbia preparato la partita cercando di negare al talento dell’Arizona le sue ricezioni in lunetta, posizione dalla quale Peat ha mostrato di sentirsi a suo agio. Il tiro in sospensione dalla media distanza, che sia in spot up, in svitamento (soprattutto quando ruota sulla sua spalla sinistra andando verso destra) o un mezzo floater andando verso il ferro, al momento sono i movimenti “marchio di fabbrica” del ragazzo che sfrutta i suoi 203 cm ma soprattutto i suoi 106 kg, con una parte alta del corpo già molto strutturata che gli permette non solo di reggere i contatti ma anche quasi di andarli a cercare.
Un predestinato
Koa viene da una famiglia di sportivi, ma di quelli seri. Il padre ha giocato nella NFL e ha avuto sette figli: Todd Jr ha giocato a football in tre università, Andrus è da 10 anni un offensive tackle nella NFL e gioca con i Pittsburgh Steelers, Cassius ha giocato anche lui a football a Michigan State e Virginia, le sorelle Leilani e Maia sono state giocatrici di basket tra Seattle, San Francisco e Texas Tech.
Tanto per capirci, attualmente ad Arizona ci sono due Peat, non uno solo: il citato Koa che gioca nella squadra di basket, ma anche Keona che milita nel team offensivo della squadra di football. “We’re like two peas in a pod”, dice Keona. I due dormono insieme da quando sono alla high school. Insomma, un po’ di sport la famiglia Peat l’ha frequentato, e forse non è un caso che Koa sia cresciuto così.
Arizona freshman Koa Peat in a road win against No. 3 UConn:
16 PTS | 7-14 FG | 12 REB | 3 AST | 2 BLK pic.twitter.com/iBCtgcu8cQ
— B/R Hoops (@brhoops) November 20, 2025
I margini di crescita
Attualmente i Wildcats sono imbattuti in NCAA, con un ranking (3) destinato probabilmente a salire dopo il successo in casa di Connecticut. Per ora 5 vittorie tra cui Florida, UCLA e appunto UConn, un biglietto da visita che non ha sostanzialmente nessun’altra squadra di college al momento. Peat viaggia a oltre 16 punti e quasi 7 rimbalzi a partita. Proprio la gara contro gli Huskies ha mostrato di che stoffa sia fatto il ragazzo.
Marcato da Alex Karaban, ha fatto vedere i sorci verdi all’avversario, che non a caso molto impegnato difensivamente ha fatto poi mancare il suo consueto apporto offensivo a UConn. Peat ha chiuso con 16 punti e 7/14 al tiro ma soprattutto 12 rimbalzi, 2 stoppate, 3 assist e 1 sola palla persa nonostante sia quello che ha gestito più possessi dopo Jaden Bradley.
Una partita solida, segnata non da giocate spettacolari ma che ha mostrato come Koa sappia aspettare il momento giusto per attaccare e riesca ad accontentarsi magari di un rimbalzo o di una difesa per contribuire alla vittoria finale. Certo qualcosa ancora manca, in primis il tiro dalla lunga distanza. Tanto è a suo agio nel mid range (anche con tiri scomodi) quanto sta alla larga dalla lunga distanza. In 5 partite ha tentato una sola tripla, peraltro sbagliata. Un aspetto del gioco che in ottica professionismo dovrà affrontare per non essere limitato nel minutaggio.
Educazione e forza di volontà
Ci sono però degli intangibles che non vanno a referto e aiutano a capire di che pasta sia fatta l’ala di Arizona. Uno lo ricorda spesso il suo coach Tommy Lloyd. Peat era impegnato insieme ad altri talenti con la nazionale USA, e un giorno alla fine dell’allenamento, ha preso la parola a nome di tutti i giocatori per ringraziare gli allenatori (lo stesso Lloyd ma anche Grant McCasland e Micah Shrewsberry) perché avevano dedicato loro del tempo nel giorno del papà, sottraendolo alla loro famiglia. Un episodio di sicuro un po’ retorico, ma che proprio coach Lloyd sottolinea per spiegare che tipo di ragazzo sia Koa e in che mentalità sia cresciuto.
The CBB season is 17 days old. Arizona owns wins over Florida, UCLA and UConn — ALL three have come away from Tucson. The Wildcats grind out a road win over the Huskies behind Jaden Bradley and Koa Peat. Tommy Lloyd’s team shows yet again why they may be the best in the sport.
— John Fanta (@John_Fanta) November 20, 2025
Se però vi immaginate un “lecchino” dei professori poco propenso alla battaglia, ecco non è il ritratto di Peat, che invece appartiene più della tipologia faccio-tutto-per-la-mia-squadra. Tutto, compreso giocare con una mano rotta. I fatti risalgono a circa un anno fa. “Perry 5-star recruit Koa Peat out for remainder of boys basketball playoffs with injury” titolavano tutti i giornali online. La high school Perry (che aveva già vinto per tre volte il titolo dello stato dell’Arizona) avrebbe dovuto fare a meno della sua stella. Un corno. Koa in hawaiano significa “forte guerriero” e infatti il ragazzo, nonostante lo staff medico avesse sconsigliato di scendere in campo, è tornato per la semifinale, per concludere con 20 punti nella finale, ovviamente vinta. “Honestly, I’ve never had a player so determined to play in my career. He knew the risks”, commentò poi il coach di Perry Sam Duane Jr.
Il viaggio di Koa verso la NBA è ancora molto lungo e pieno di insidie, ma di sicuro non mancheranno la tradizione familiare, il talento e la forza di volontà.


