Ha sei anni in meno di suo fratello ed è arrivato sei anni dopo in Division I. Ma l’Ncaa in cui sta giocando Niccolò Moretti è un altro mondo rispetto a quella vissuta da Davide, arrivato a un passo dal titolo nel 2019 quando perse con la sua Texas Tech all’overtime la finale contro Virginia. Perchè c’è un pre Nil e un post Nil e dal 2021 c’è un nuovo protagonista nel campionato di basket più grande del mondo: i soldi.
Di soldi, ma ovviamente anche di molto altro abbiamo parlato con il più giovane dei due figli di Paolo Moretti, stella della pallacanestro italiana negli anni ’90 e ora coach di Torino. Guardia classe 2004, dopo una stagione e mezza a Illinois, Niccolò Moretti gioca ora a Florida Atlantic nell’American Athletic Conference.
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Hai giocato a San Lazzaro e poi Biella e poi sei andato presto negli Stati Uniti, con l’arrivo in Ncaa preceduto dall’high school e anche da un passaggio nell’Nba Academy. Com’è stato il viaggio finora?
E’ stato un viaggio abbastanza impegnativo, ho iniziato seriamente con Bsl e poi sono andato a Biella dove però non mi sono trovato tanto bene e l’anno dopo ho deciso di andare in Florida, alla Dme Academy. E’ stata quella la prima esperienza americana, era tutto nuovo, dalla lingua al modo di giocare ma mi sono trovato bene. Ho fatto una buona stagione, ma non mi sentivo tanto gli occhi degli osservatori addosso e allora ho deciso di andare in Australia e fare 4 mesi a Canberra nell’Nba Academy, come Pozzato. E’ una realtà solo di pallacanestro, con pochi svaghi, con un campus pieno di atleti, ed è stata un’opportunità. Sono stato 4 mesi in Australia per poi andare in Illinois a gennaio e poi dopo un anno e mezzo sono arrivato qui in Florida.
Sei cresciuto in una famiglia di giocatori di pallacanestro, cos’è il basket per te e ci sono stati momenti difficili nel tuo rapporto con il basket?
E’ sempre stato tutto, è sempre stato il topic del giorno tutti i giorni, qualsiasi cosa succedesse. Ho avuto due role model come papà come allenatore e invece Davide era quello che sarei voluto diventare da grande. Vedendolo giocare nelle giovanili, volevo diventare come lui. Ovviamente ci sono stati momenti difficili, in cui ti domandi se il basket è davvero quello che vuoi fare da grande. Mi hanno tutt’e due aiutato in questo processo, nonostante io sia andato molto presto fuori di casa, mi hanno aiutato a non mollare mai e a fare del basket la mia passione e un giorno anche la mia professione.
Nel 2017 Davide è arrivato a Texas Tech dove ha avuto una gran bella carriera, arrivando a giocarsi una Final Four da protagonista. E’ stato guardando il suo percorso che hai deciso di venire in Ncaa?
Sì, anche se avevo deciso già prima che arrivasse in finale. Già guardandolo nella stagione prima quando è arrivato alle Elite Eight, mi sono innamorato del college basket, ho iniziato a guardare tutte le partite importanti da Duke a Kentucky a North Carolina, io e papà abbiamo iniziato a fare il bracket. In estate quando Davide doveva decidere dove andare, sempre con mio padre siamo andati a fare tutte le visite con lui e siamo stati a Uconn, Utah, Indiana e Texas Tech. Ho deciso che era quello che volevo fare anch’io e adesso ci sono.

Niccolò Moretti con la maglia di Illinois
Ci sei e hai iniziato in un’università importante come Illinois. Com’è nato il recruit con loro e cosa ti ha convinto ad andare a Champaign?
In Australia non avevo ricevuto molte offerte e quindi avevo bisogno di farmi notare nei tornei che facevamo negli Stati Uniti. Ne abbiamo fatto uno a Las Vegas dove ho giocato molto bene e dopo quel torneo avevamo la pausa di Natale e sono andato a casa. E’ stato in quel periodo che mi ha chiamato Illinois per sostituire il play titolare che si era infortunato e allora ho deciso di andare, non perchè mi ero stancato dell’Nba Academy, ma perchè mi sentivo pronto per fare quel passo in più. Mi avevano preso per giocare, alla fine non ho giocato però è stato un passo che ho fatto bene a fare.
L’anno dopo hai giocato ma hai fatto comunque fatica a trovare minuti con continuità, anche per l’infortunio al piede che ti ha tenuto fuori per due mesi. Sei comunque arrivato alla March Madness fino alle Elite Eight. Com’è stata l’esperienza della Madness e come si approccia una stagione in cui giochi così poco?
E’ stata una stagione un po’ travagliata per me, ho iniziato a entrare nelle rotazioni presto, poi mi sono fatto male ed è stato un po’ un tira e molla, con partite da un minuto e mezzo e altre da più di 15 minuti. Ho capito quanto fosse importante l’esperienza, Illinois quell’anno era una delle squadre più vecchie della Big Ten. Andare alla Madness è un’esperienza importante, giocare sempre partite da dentro e fuori è tosto, ogni partita bisogna star lì e soffrire.
Il tuo coach era Brad Underwood. Grande reclutatore, discreto allenatore: sei d’accordo?
(Sorride e prende tempo) Sì e no, ci sono aspetti positivi e aspetti negativi, penso che lui ti tiri fuori anche quello che non hai. Ci sono coach che magari tatticamente non sono all’avanguardia, ma ti tirano fuori anche quello che non hai e lui è uno così. Allena da tanti anni in Division I, le situazioni le conosce…ma ripeto, sì e no.
Quali sono state le tue difficoltà in una squadra importante della Division I come Illinois?
Underwood è uno che si focalizza molto su difesa e rimbalzi in attacco, ricordo segmenti di allenamenti anche di un’ora e mezza focalizzati su questi due aspetti del gioco, veramente una cosa incredibile. Sul rimbalzo in attacco, lui pensa che più chances hai di tirare, più chance hai di vincere, quindi l’obiettivo era aumentare i possessi. Ora, la difesa non è il mio cavallo di battaglia e a rimbalzo in attacco non ci vado perchè sono piccolino, quindi ho dovuto fare un aggiustamento importante e mi ha fatto aprire gli occhi per uscire dalla mia comfort zone e affacciarmi in quello che non è il mio gioco.
Arriviamo al portal: abbiamo capito che ormai è un mega parco giochi affollato da migliaia ragazzi che cercano il loro posto. Raccontaci com’è stata la tua esperienza
Ho deciso di entrarci molto tardi, tre giorni prima che chiudesse, perchè volevo restare e fare un altro anno a Illinois, ma io avevo un’idea e loro un’altra e quindi era giusto cercare un altro posto. Sono entrato nel portal a maggio e ho ricevuto molte chiamate da molte mid major, come San Francisco, Davidson, Fau ovviamente, Cal e mi sono concentrato su queste ultime tre che poi sono andato a visitare con papà. E’ un processo strano, perchè non sai mai chi mente e chi dice la verità, se la squadra è veramente buona o se te la stanno solo vendendo. Ho deciso per Fau per il coach, che è una persona buona, una persona vera, che a Baylor aveva come priorità valorizzare il gioco delle guardie. E’ un processo strano, ma devi abituarti e devi capire. Per scegliere mi ha aiutato mio padre e anche Davide ha preso un po’ di feedback e anche per lui Fau era la scelta migliore.
Dopo tanti anni come assistant a Baylor, John Jakus è diventato il coach di Fau dopo che Dusty May ha portato per la prima volta questa università alle Final Four nel 2023. Cosa è andato bene e cosa è andato male, sia a livello individuale che di squadra, nella tua prima stagione?
E’ stato un anno strano perchè talento ce n’era, forse anche troppo nel senso che non si sapeva bene dove andare in qualche situazione, chi doveva giocare di più e chi di meno, e non siamo riusciti a fare quel clic di intesa che in certe situazioni è importante. Per esempio c’erano collassi difensivi incredibili, però tenevamo botta in attacco anche senza difendere. Non abbiamo mai trovato quell’equilibrio tra attacco e difesa che ci consentisse di vincere un po’ di partite di fila, però personalmente è stata abbastanza soddisfacente per me. Ho fatto partite buone, altre meno buone, ma le cose positive che mi tengo è aver giocato, che non è scontato, e l’esperienza di alcune partite in cui ho chiuso io in campo.
Seguendo le partite di Fau, c’era la sensazione che ci fossero tanti giocatori venuti lì più per mettersi in mostra che per vincere.
La verità è che al giorno d’oggi puoi permetterti di giocare bene e, nello stesso tempo, non andare nella stessa direzione dei compagni o dell’allenatore perchè tanto, se giochi bene, avrai comunque un’altra possibilità da un’altra parte. Alcuni giocatori lo sanno subito, alcuni a metà stagione, altri alla fine, non sono nella mente di tutti però ci sono state situazioni così.
E’ incredibile come la tua Ncaa e quella di Davide siano due campionati diversi nonostante ci siano solo 6 anni di differenza. Quanto è difficile nella tua Ncaa avere una squadra?
Sono due mondi diversissimi, è pazzesco, e creare una squadra è ora la cosa più difficile. Cara grazia che abbiamo 5 ragazzi che ritornano perchè 3 erano infortunati, ma è la cosa più difficile, ogni allenatore ha questa paura, ‘ok, se non faccio come dice questo giocatore, va via’. E’ qualcosa che destabilizza gli equilibri in una squadra.
E’ ancora presto per capire quanto questo mondo sia migliorato o peggiorato rispetto a quello precedente o ti sei già fatto un’idea?
Non lo so, per i giocatori è sicuramente migliorato perchè guadagnano dei soldi, ma è un male per il sistema perchè non esistono più basi e principi. Ci sono lati positivi per i giocatori, ci sono lati molto negativi per il basket
Niccolò Moretti
Eccoci arrivati ai soldi, quanto sono importanti per te e quanto vedi che influenzano i tuoi compagni?
Ovviamente tutti hanno un background diverso, chi è più ricco, chi meno, chi va nel transfer solo per soldi. Per alcuni è evidente, se qualcuno cambia 4 squadre in 4 anni non è un caso. Per me non è una cosa fondamentale, babbo è stato un giocatore e poi allenatore, i soldi ci sono sempre stati e io mi sono sempre focalizzato sul basket. Però ci sono situazioni dove le offerte Nil ti fanno capire il ruolo che avrai l’anno dopo e questo è uno dei motivi per cui non sono rimasto a Illinois: mi hanno fatto capire che non era il caso. Quindi non è prioritario, però mi fa capire chi ti vuole di più e chi ti vuole di meno. Comunque non posso negare di aver guadagnato dei bei soldi
E ora oltre a quelli del Nil ne arriveranno degli altri, pagati direttamente dalle università. Avete capito come si organizzerà Fau?
Ora le scuole possono direttamente pagare gli atleti, vediamo se sarà una cosa buona o meno. Le scuole un po’ più grandi hanno ovviamente un capitale maggiore, Fau non ha un capitale così grande ma parliamo comunque di milioni importanti, non di centinaia di migliaia di dollari, che vanno divisi tra tutti gli sport con ovviamente il football che copre una quantità importante. Io preferirei che ci fosse un salary cap e anche delle norme per gli internazionali perchè siamo ancora con un visto con cui non possiamo lavorare e sembra strano pagare le tasse in Europa quando riceviamo soldi in America. Penso sia una cosa graduale e penso che un giorno si arriverà a una parità per tutti.
Sapete già come e quanto verrete pagati?
Lo sappiamo già, non sarà uno stipendio uguale per tutti e sì, sono soddisfatto.
A proposito di Nil, che attività dovrai fare?
Per ora non ho nulla di particolare però mi sono ritrovato a fare la carbonara in un video, gratis però
Quell’olio nella padella per la pancetta non si poteva vedere…
Lo so, lo so, ma la pancetta non fa grasso e dovevo allungare ma è vero. Ho fatto solo un video, ma ci sono altre cose in programma
Torniamo al basket, La squadra sarà diversa rispetto allo scorso anno: sette transfer out, Carroll, Glenn, Vokietaitis nel portal, Tandy senza eleggibilità. Quale pensi che sarà il tuo ruolo nella prossima stagione, quali sono gli obiettivi che vi state e ti stai ponendo?
Starò qua tutta l’estate, abbiamo un break di un paio di settimane, ma preferisco stare qua che con Trump, il visto, meglio non avere problemi. La stagione sarà la più importante dei miei 4 anni, avrò più possibilità di essere in quintetto e avere minuti, in cui posso far vedere tutto quello che non ho fatto vedere l’anno scorso. Dopo quella passata un po’ mediocre, fare una stagione importante è quello che mi auguro
Ovviamente sei più playmaker di tuo padre, sei anche più play di tuo fratello?
Al 100%.
Ti senti quindi un play classico, in cosa devi migliorare?
Sì, diciamo che sono un play classico, quest’anno mi è mancato il tiro dal palleggio in tutte le zone del campo, non ho fatto bene nel jumper da 2, mediocre il jumper da 3, questi sono gli step che devo fare per avere più pericolosità in attacco. E ovviamente la difesa, e poi devo diventare un po’ più spesso, devo lavorare sul fisico.
Come sarà il tuo futuro?
Penso che resterò qua per i prossimi due anni e poi vediamo, non so che giocatore diventerò, ogni giorno vedo di mettere un mattoncino in più e poi vediamo. Vivo alla giornata, senza pensare ai prossimi anni, vedo e penso alla quotidianità.