Alla fine dell’anno scorso, ci ha pensato su e poi ha fatto la scelta giusta. Perchè non sono tutti Anthony Davis e non è detto che si debba andare via da Kentucky sempre e solo dopo un anno.
Dopo esser arrivato a Lexington nel 2017, il suo nome è finito in fretta sui taccuini degli scout Nba perchè il fisico, 2.03 cm per 103 kg e 218 cm di wingspan, era già da piano di sopra. Il resto no però, e la sua stagione da freshman è stata di classica e lenta transizione dall’high school a un livello ben più alto. Ora la maturazione è finita e di Kentucky è il miglior realizzatore, il miglior rimbalzista, il miglior stoppatore. E il miglior tiratore da 3 con il 43.5%. Stiamo parlando di PJ Washington, lo stesso PJ Washington che l’anno scorso ha chiuso la stagione con 5/21 da 3, un bel 23.8%.
“I changed my mindset. I changed everything. I felt like it was the best choice for me”, spiega. Con tanto lavoro in palestra, è cambiata la meccanica di tiro. Con il passare della stagione, è aumentata la fiducia. Perchè in realtà non è che l’anno fosse iniziato con i fuochi d’artificio: sotto la doppia cifra in 9 delle prime 15 partite, compresa la rullata presa da Duke all’esordio, quando di Zion Williamson prese giusto la targa facendo 5 falli in 17′.
Da metà gennaio, la musica è cambiata e la gara contro Arkansas, in cui si è fermato a 9 punti, è stata l’unica non in doppia cifra delle ultime 15 partite, comprese 8 sopra i 20 punti. “He’s playing like the best player in the country right now. He really is”, spiega coach John Calipari che lo ha visto crescere non solo dal punto di vista tecnico: “He got in great condition. Now he can play basketball and, are you ready for this, you can think. He’s in great, great condition”.
E ora si trova per le mani una delle migliori PF della nazione, come confermano le sue cifre: 15 punti, 7.4 rimbalzi, 1.9 assist e 1.2 stoppate, tutte medie più alte rispetto alla prima stagione. La sua effective field goal percentage è salita dal 52.7% al 58.1%, mentre quella dei liberi dal 60.6% al 66.7%. Ancora migliorabile, certo, ma non ci sono state finora partite da 8/20 come accaduto nella sciagurata Sweet16 della scorsa March Madness contro Kansas State.
Ma il salto più evidente rispetto all’anno scorso è proprio il tiro da 3. “Last year, I wouldn’t even really shoot 3’s honestly. Last year I was just trying to bully people, get to the rim and make layups; and this year I feel like my game has expanded a lot more”, spiega.
Il post basso rimane comunque la sua zona preferita, dove è capace di bullizzare avversari non solo con il fisico, ma anche con la tecnica
Nella prima partita contro Tennessee, ha ripetutamente abusato sia di Admiral Schofield che di Grant Williams, giocatori tosti ma più piccoli di lui. E in difesa, li ha tenuti senza grossi problemi anche quando partivano da fuori area
In quella giocata sul campo dei Vols, invece, si sono viste le sue lacune, che sono principalmente di concentrazione. Qui si perde Grant Williams che gli prende il rimbalzo in testa
Qui invece imita un palo della luce e di fatto blocca Ashton Hagans, invece di chiudere su Jordan Bone
Ma anche dal punto di vista mentale, i suoi progressi sono evidenti. E a parte qualche blackout, è proprio la continuità di rendimento una delle sorprese più positive della stagione. Nella partita contro Ole Miss ha chiuso il primo tempo con 0 punti. “I told him at halftime we’re throwing to you every time – ha detto Calipari – So you be who you’re supposed to be. And he was”. Con 13 punti nella ripresa ha dato a Kentucky una vittoria fondamentale per la corsa al titolo della Sec, dimostrando soprattutto di poter essere un leader affidabile.
Ecco cosa vuol dire restare al college e maturare. E diventare davvero un giocatore pronto per l’Nba.