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Rhode Island, è tempo di rialzarsi

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 24 Dic, 2016

Un mese e mezzo fa, sarebbe stato più che lecito pronosticare per Rhode Island un record migliore dell’8-4 appena collezionato nella non-conference season. La squadra di coach Dan Hurley, infatti, aveva ricevuto parecchia attenzione alla vigilia di questa stagione, soprattutto per via della profondità del suo roster.

Inseriti nella AP Top 25 (e anche in quella di basketballncaa.com) sin dalla prima settimana (#23), i Rams avevano cominciato col piede giusto, infilando prima tre vittorie casalinghe (più o meno comode), poi battendo Cincinnati sul neutro della Mohegan Sun Arena e infine subendo un onorevole -10 da Duke (allora #1 della AP Poll) sul medesimo campo.

Dopo aver superato, pochi giorni dopo, una non irresistibile Belmont, sono iniziati i guai per URI: tre sconfitte nel giro di quattro incontri, tutte in trasferta e maturate in modo da lasciare più d’un rimpianto. Prima la caduta sotto i colpi di Alec Peters a Valparaiso (65-62), poi la sconfitta di misura (63-60) coi rivali di Providence e infine l’82-77 patito con Houston. Tre partite vissute sempre punto a punto, magari conducendo per larghi tratti, ma senza mai trovare la soluzione giusta per prendere in mano il match negli ultimissimi giri d’orologio.

Tornando al Ryan Center, sono tornate anche le vittorie, nello specifico con Holy Cross e William & Mary, entrambe portate a casa con un +11. Due successi, dunque, con avversarie non proprio di primissimo piano – ma nemmeno pessime, a dirla tutta: quanto basta per ritrovare un po’ di fiato dopo un periodo duro, ma non abbastanza da fugare le incertezze che aleggiano intorno alla squadra.

 

Infortuni, di nuovo

Dal punto di vista dei malanni fisici, non siamo ai livelli catastrofici della stagione passata (E.C. Matthews con un crociato rotto alla prima partita del 2015 più vari infortuni che hanno colpito, a turno, quasi tutto il roster) ma i tifosi dei Rams non hanno molto di cui sorridere attualmente ed è facile immaginare tante dita incrociate sugli spalti ad ogni contrasto appena sopra l’ordinario.

Subito dopo il “derby” amaro coi Friars, Rhode Island ha dovuto incassare il duro colpo dell’infortunio (quadricipite) di Hassan Martin, ovvero il cardine del reparto lunghi. Il senior, fino a quel momento, stava disputando la miglior stagione in carriera, come attestato da statistiche individuali di tutto rispetto: 16.1 punti, 8.1 rimbalzi e 3.9 stoppate in 28.8 minuti d’utilizzo, tirando col 67.1% dal campo e con l’84.4% dalla lunetta, sempre in doppia cifra realizzativa nelle otto partite disputate e collezionando tre doppie-doppie, l’ultima, proprio contro Providence (14+17).

Nemmeno una settimana dopo, all’immediata vigilia dell’incontro con Houston, si è aggiunto il forfait del sophomore Christion Thompson per un infortunio al ginocchio. Giocatore di contorno (12.6 minuti a partita con percentuali al tiro molto basse) ma pur sempre una pedina in meno da poter piazzare.

Entrambi i giocatori sono out “a tempo indeterminato”. Nell’ultimo post-partita, Hurley ha accennato a “buone notizie” su questo fronte, ma senza fornire dettagli. Perlomeno, il rischio redshirt per Martin, dopo le incertezze iniziali, è ora completamente scongiurato. Kuran Iverson (senior) e Cyril Langevine (freshman) sono riusciti, fin qui, a non far rimpiangere il loro compagno più del dovuto (col secondo capace di tirare giù ben 17 rimbalzi nell’ultima partita), ma se URI vorrà cominciare la stagione in Atlantic 10 col piede giusto, l’apporto di Martin resta imprescindibile. Il 6 gennaio si va sul campo di Dayton, diretta concorrente ai piani alti della conference: è possibile che la Befana porti loro in dono un bel centro.

 

E.C. Matthews sulle montagne russe

Era piuttosto prevedibile: il lungo stop dello scorso anno sta avendo ripercussioni sulle prestazioni di E.C. Matthews. L’esterno, dopo un inizio più che discreto, non sta suscitando impressioni particolarmente positive, al punto da sembrare spesso solo un lontano parente di quello visto nelle sue prime due stagioni, esplosivo e a tratti incontenibile quando puntava dritto al canestro.

Dopo aver registrato 19.5 punti di media nelle prime quattro partite, ne ha messi a segno solo 7.5 nelle successive quattro, per poi tornare alla doppia cifra con Old Dominion (15, ma col 38.5% al tiro), piazzare un season-high da 31 punti con Houston e precipitare subito dopo addirittura con una “virgola” nel match con Holy Cross. Segnali di riscatto nell’ultima uscita (23 punti e 9 rimbalzi) ma continuando a tirare con percentuali non entusiasmanti (38.9% dal campo).

In difesa le cose non vanno molto meglio, anzi. Per fare un esempio, nella partita del già citato trentello, Rhode Island ha concesso 1.38 punti per possesso con Matthews in campo e solo 0.84 negli 8 minuti che l’hanno visto in panchina.

Matthews appare dunque come l’interrogativo più grande in questa situazione. Difficile – anzi, diciamo impossibile – pensare a un improvviso rinvigorimento atletico durante la conference season: più verosimilmente, nella metà campo offensiva, sarà cruciale per lui trovare maggiore affidabilità col jumpshot.

Akele e Robinson: l’importanza della panchina

Con un Martin assente e un Matthews spesso in difficoltà – oltre che alla ricerca della “chimica” giusta con gli altri due esterni principali, Jarvis Garrett e Jared Terrell – per portare a casa qualche vittoria serve anche e soprattutto altro. In più d’un caso, la tanto decantata profondità del roster di URI si è fatta sentire in maniera decisiva.

Nelle ultime due partite, il contributo offerto da Stanford Robinson è stato più che mai positivo. Il transfer da Indiana ha portato difesa, rimbalzi e ha facilitato la manovra offensiva in maniera tanto visibile quanto determinante. Per lui, due belle prove da all-around: 7 punti, 5 rimbalzi e 3 assist con Holy Cross, 9+4+4 con W&M, restando in campo per 26 minuti in entrambe le occasioni. Nella scorsa estate, l’ala ha dichiarato di aver lavorato tanto sul suo difetto principale, ovvero il tiro. Fin qui, i frutti di tale lavoro restano ancora da vedersi (26.7% da tre, 50% ai liberi), ma se davvero riuscisse ad aggiustare la mira, ci troveremmo davanti a un sesto uomo dall’impatto raro nella A-10.

Da par suo, l’italiano Nicola Akele continua nel percorso personale intrapreso nella sua stagione da freshman. Tanto, tantissimo gregariato per lui, lavoro sporco a non finire e pochi tiri presi: un po’ come l’anno scorso, ma con un impatto silenziosamente in crescendo. La sua capacità di incidere – è doveroso ricordarlo – non era facile da pronosticare a inizio stagione, visto il già citato popolamento della panchina. L’ex reyerino, però, sta mantenendo un minutaggio medio superiore a quello dello scorso anno (16.4 minuti contro 13.6) ma stavolta in maniera molto più continua avendo disputato solo due incontri con minutaggio a cifra singola. È stato uno degli artefici principali della vittoria su Holy Cross: 8 punti e 6 rimbalzi in 29 minuti senza errori al tiro, facendosi trovare prontissimo sui cioccolatini serviti da Robinson sottocanestro.

La sua difesa in uno-contro-uno, sia sugli esterni che sui lunghi, è molto più puntuale ed efficace rispetto a ciò che era possibile vedere esattamente un anno fa. Il coinvolgimento in attacco è sempre subordinato alle iniziative dei suoi compagni, ma Akele si è fin qui segnalato per percentuali davvero discrete: 51.5% dal campo col 46.2% da tre, più un buon 75% ai liberi – di certo un bella novità rispetto al tremendo 5/18 dalla lunetta nella scorsa stagione. I tentativi totali sono ancora troppo pochi per stabilirlo con certezza, ma l’italiano sembra essere sulla buona strada per svilupparsi come un 3&D a tutti gli effetti.

 

 

Una difesa impenetrabile, ma solo per 20 minuti

La difesa, si sa, è il marchio di fabbrica di coach Hurley. Capace di tenere Old Dominion alla miseria di 39 punti segnati, URI presenta però dati fin qui non all’altezza rispetto al suo passato recente e che dovranno necessariamente migliorare col rientro di Martin. La squadra, è vero, non concede molti punti agli avversari (65.2 di media), ma con un Defensive Rating di 92.76 punti per 100 possessi, ovvero il 69° miglior dato della nazione – l’Offensive Rating, invece, si piazza al 42° posto della Division I.

Anche nelle migliori giornate non sono mancate alcune crepe. Nelle vittorie casalinghe con Belmont, Holy Cross e William & Mary si sono registrati copioni simili, con Rhode Island che accumulava vantaggi abbondantemente in doppia cifra ma incapace poi di tramutarli in una vittoria davvero tranquilla, vedendo gli avversari rientrare a uno o due possessi di distanza intorno alla metà del secondo tempo. Dan Hurley, dopo la partita coi Crusaders, ha illustrato quel che secondo lui è il motivo principale di tali cali: “Il problema è che i ragazzi non comunicano abbastanza nel secondo tempo. Nel primo, solitamente la difesa è ben serrata perché si trova davanti alla nostra panchina. Parliamo loro in alcune azioni, la panchina è vivace e comunica. I nostri problemi nel secondo tempo sono dovuti alla mancanza di comunicazione e l’essere coinvolti in quel modo”

Allo staff di URI, non resta dunque che scambiare le panchine dopo l’intervallo o cominciare a usare il megafono.

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