Un grande viaggiatore con un mare di sogni: questo è Richmond Aririguzoh. Arrivato negli USA dall’Italia all’età di 12 anni, nelle ultime due stagioni è diventato un punto di riferimento imprescindibile per Princeton. Lungo di 206 cm d’altezza per 104 kg di peso, quest’anno è secondo in squadra per punti (13.0), primo per rimbalzi (7.7) e terzo per assist (2.0).
Grande amico di Myles Powell, il centro dei Tigers non solo sta facendo registrare prestazioni sempre più importanti sui campi da basket, ma sta seguendo con ottimi risultati anche i corsi propedeutici per l’ammissione a medicina. Il suo futuro nel basket professionistico non è infatti così scontato. Ma non bruciamo le tappe: ripercorriamo insieme il suo viaggio che da un piccolo paesino del Veneto lo ha portato fino ad una delle più prestigiose università americane.
Nigeria, Italia, Stati Uniti
Il viaggio fa parte dei suoi geni. In fondo i suoi genitori, Celestine Aririguzoh e Chioma Ugorji, ne avevano affrontato uno lunghissimo, dalla Nigeria all’Italia, prima che lui nascesse, con la speranza di un futuro migliore. Richmond nasce tre anni dopo a Pontelongo, paesino del padovano che non conta nemmeno 4mila anime. Un posto tranquillo dove il ragazzo si avvicina a tanti sport: calcio, atletica leggera e basket, “ma avevo talmente tanta paura di stare in campo che quando mi passavano la palla mi scansavo”, confessa. Qui cresce (tanto) a chili di pasta al ragù e lasagne, ancora oggi i suoi piatti preferiti.
Poi la decisione dei genitori di imbarcarsi in un’altra avventura, questa volta oltreoceano. Destinazione: Trenton, New Jersey. Il ragazzo, appena dodicenne, si trova catapultato in una realtà assai differente dal piccolo borgo italiano, una realtà nella quale non è neppure sicuro nell’andare nel parco vicino casa per giocare. Ma è proprio a Trenton, e precisamente all’Incarnation St. James, che nasce in lui la vera passione per il basket: “Per me il basket era solo un hobby, uno sport che mi piaceva fare, ma niente di più. Poi qualcuno vedendo la mia stazza fisica ha visto in me del potenziale. Ho iniziato così a passare molto più tempo in palestra e piano piano mi sono appassionato a questo gioco”.
Accanto a Myles Powell
Qui conosce anche un’altra futura stella della NCAA: Myles Powell, leader indiscusso di Seton Hall. Dovranno però aspettare il 2013 prima di poter essere compagni di squadra presso Trenton Catholic. La futura guardia dei Pirates è infatti più grande di un anno e trascorre i suoi primi anni di high school presso la Medford Tech. Poi, nel suo junior year, il trasferimento presso la Trenton dove intanto Richmond sta facendo registrare buone medie. Buone ma non ottime. È infatti con l’arrivo di Powell che il ragazzo inizia a mostrare a tutti le sue reali possibilità: “Il suo arrivo mi ha obbligato a migliorare. Tutti in quella squadra avevamo la stessa ambizione: essere i migliori”. Myles diventa presto il suo migliore amico, una sorta di guida che lo sprona giorno dopo giorno. È così che nella sua ultima stagione tra gli Iron Mikes, il centro mette a referto i numeri che lo incoronano come Player of the Year: 13.8 punti, 12.1 rimbalzi e 2.3 rimbalzi di media a partita.
Durante una partita del circuito AAU, il futuro centro dei Tigers viene notato da coach Mitch Henderson e dal suo assistente Brett McConnell in missione a Filadelfia per scrutinare le nuove leve: “Eravamo i soli a tenerlo d’occhio. Tutti erano più interessati a Powell”, ricorda l’allenatore. “E quello che ho visto mi aveva subito convinto. Il suo potenziale era già ben visibile ma c’era qualcosa di più che mi piaceva di quel ragazzo: la sua capacità a saper ascoltare e a mettere in pratica i consigli ricevuti”. Richmond non ci pensa su due volte a firmare per Princeton, dove tra l’altro c’è già il fratello maggiore Franklin, il quale si stava facendo notare sulla pista di atletica. Inoltre, il prestigioso ateneo ben si sposa con le ambizioni accademiche del giovane.
Lasciare il segno
I primi due anni non vanno però secondo le aspettative. Nella sua prima stagione da Tiger (nella quale Princeton chiude la stagione imbattuta e riceve un pass diretto al Torneo) scende in campo in appena 13 partite accumulando solo 5 minuti di gioco a partita e mettendo a referto solo 1.5 punticini di media. Non va meglio al secondo anno: 9 minuti, 2.7 punti e 1.7 rimbalzi a partita. “Ho scoperto a mie spese quanto fosse difficile mantenere i miei livelli ad uno standard molto elevato e per un periodo prolungato. Tuttavia quegli anni non sono stati persi. Ho avuto modo di osservare e di imparare dai miei compagni più grandi”.
Poi nel suo anno da junior le sue medie hanno un’impennata: 12.1 punti e 6.4 rimbalzi. Lo spartiacque è rappresentato da un discorso faccia a faccia con coach Handersen: “Avevamo avuto una stagione assai complessa e vedevo dal suo sguardo che non era più sicuro di aver fatto la scelta giusta. Così un giorno l’ho chiamato nel mio ufficio e abbiamo parlato a lungo delle sue priorità, di come poter ottenere i massimi risultati sia nello sport che nello studio e di come gestire al meglio il tutto. Non è facile accettare che tutto dipende da te! Inoltre, gli ho detto che nella prossima stagione gli avremmo affidato maggiori responsabilità. Molti studenti davanti a una situazione del genere reagiscono con “ma gli altri?”. Invece lui no. Ha ascoltato attentamente i consigli e si è buttato a capofitto in questa nuova sfida. Questa è la sua qualità migliore!”.
Richmond sta davvero lasciando la sua impronta in questa stagione. Non tanto per quel 52 e mezzo di scarpe che si ritrova ad indossare, ma per quei 13 punti di media e l’ottimo 61.5 per cento dal campo che hanno portato i Tigers a lottare per la vetta della Ivy League (ora secondi con record 7-3). Merito anche del suo coach che ha saputo capire appieno le sue potenzialità e metterle in risalto: “Ha visto che avevo tutte le carte in regola per giocare anche da post basso e mi ha incluso così sempre di più nella fase offensiva del gioco. Mi ha insegnato a giocare vicino al ferro e mi ha fatto lavorare costantemente sul mio gioco di piedi e sul mio posizionamento in area in modo da farmi trovare sempre nel posto giusto. Ha poi costruito gli schemi in modo che mi arrivassero quei determinati palloni”. Una scelta vincente grazie alla quale Princeton può sognare il Gran Ballo di Marzo.
Medicina o basket?
Le ambizioni e i sogni del numero 34 di Princeton non si limitano al rettangolo di gioco. Per esempio, vorrebbe visitare la Nigeria, paese nel quale non mette piede da quando aveva 4 anni. Soprattutto, gli studi sono una parte fondamentale delle sue giornate e per questo si divide quotidianamente tra lezioni di biologia evolutiva e sedute di pesi in palestra nelle finestre che l’università lascia ai suoi studenti-atleti. Le sirene della NBA si sono già messe in moto (scout di Thunder e Nuggets hanno chiesto informazioni e uno dei Pelicans è andato a osservarlo di recente) ma non è detto che prenderà quella strada, come dice coach Henderson: “Penso che possa giocare ai massimi livelli, ma non sarei minimamente sorpreso se invece decidesse di andare in una med school l’anno prossimo”. Certo, a noi non dispiacerebbe nemmeno vederlo in Italia, anche se da noi dovrebbe giocare da straniero. Come riferitoci, la FIP si è interessata al suo caso ma purtroppo ha dovuto appurare che non ci sono vie di sorta che lo possano rendere italianizzabile.
Qualunque sia la sua scelta, qualunque sia la prossima tappa del suo viaggio, Richmond ci metterà tutto se stesso alla ricerca dell’eccellenza. Ma al momento nella sua testa c’è solo una cosa: essere un vero leader e portare i Tigers al Torneo.