La Nba ha un nuovo contratto collettivo. Non è veramente una notizia, l’accordo era già stato trovato e ratificato all’unanimità dalle associazioni di proprietari e giocatori, ma è del 19 gennaio l’annuncio della firma definitiva sui documenti. Insomma, da qui non si torna più indietro. L’accordo evita per prima cosa un lock-out, uno sciopero di giocatori o proprietari come accadde nel 2011 e, cosa più importante, apporta modifiche considerevoli alla struttura dei contratti, con implicazioni anche per i giocatori appena usciti dal college.
La premessa fondamentale è che dall’estate 2016 sono entrati nella Nba i soldi del nuovo contratto televisivo. Facendo qualche calcolo approssimativo, la torta degli introiti televisivi è passata da 930 milioni a 2,67 miliardi di dollari a stagione. La metà circa di questa cifra va ai giocatori, sotto forma di stipendi. In pratica, la somma totale degli stipendi di questa stagione deve essere superiore a quella della passata stagione di quasi 900 milioni di dollari. E nella stagione 2017-18 la torta da spartirsi tra giocatori e proprietari arriverà a circa 3 miliardi di dollari. Le cose dovevano cambiare, per tutti.
Rookie scale contract
I contratti per i rookie non sono basati su una percentuale del monte stipendi di squadra, ma sono legati a una cifra fissa (ogni squadra può pagare il 120% di quanto sarebbe concesso, ma lo fanno tutte le squadre, quasi senza eccezioni) decisa in base alla posizione del draft. Solo le scelte al primo giro hanno un contratto garantito, quindi il ragionamento vale solo per loro. Un esempio per chiarire: la prima scelta del draft 2011 fu Kyrie Irving e il suo contratto gli fece guadagnare circa 23 milioni in 5 anni. Jimmy Butler, 30esima scelta sempre del 2011, guadagnò circa 5 milioni in 5 anni. Se davvero Markelle Fultz sarà la prima scelta al draft (è in cima alla maggior parte dei mock in questo momento, per quel che valgono i mock draft a gennaio), si troverà a firmare un contratto da 7 milioni al primo anno e di oltre 45 in 5 anni quando avrà 19 anni appena compiuti.
È uno dei motivi per cui si è discusso sulla possibilità di cambiare la regola degli one&done, obbligando i giocatori a scegliere se andare in Nba appena finita la high school o rimanere al college per almeno due anni. Al momento non si è ancora arrivati a una soluzione, ma è lecito aspettarsi cambiamenti nel futuro prossimo.
Designated Player Extension (DPE)
Questo cambiamento non influenza direttamente i rookie e non ne influenzerà la maggior parte ma, come spiegava in un recente articolo Jason Concepcion di The Ringer, può avere grosse implicazioni in fase di draft. Grazie a questa regola, infatti, le squadre hanno i mezzi per mantenere le loro star “a vita”. Un giocatore in possesso di tutti i prerequisiti necessari potrebbe trovarsi davanti un contratto di almeno 70 milioni più alto, ma solo la squadra che lo ha selezionato al draft può offrirlo. Tornando a qualche esempio pratico, con questa regola Kevin Durant avrebbe potuto ricevere un contratto simile dagli Oklahoma City Thunder in estate (per un totale di 200 milioni abbondanti) e difficilmente avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di cambiare squadra. DeMarcus Cousins, da sempre al centro di voci di mercato, ha tutti i requisiti per avere questo tipo di contratto dai Sacramento Kings.
La regola è stata sviluppata per sfavorire i cambi di squadra di star del calibro di Durant o Cousins in estate e di incoraggiare le squadre a trovare in fase di draft la loro star generazionale e uomo franchigia. La possibilità più o meno concreta è di avere nuovi progetti di ricostruzione “estremi” come quelli di Sam Hinkie e dei Philadelphia 76ers, progetti che, al momento, sembrano funzionare alla grandissima. Senza talenti del calibro di Durant, Curry, Irving, James, Chris Paul e così via, in Nba non si vince. La DPE lascia il draft come unico mezzo per trovarli.
Nba e NBADL
In questo spazio si è spesso parlato di D-League e del ruolo che questa svolge nello sviluppo dei rookie. Il beneficio è talmente evidente che la maggior parte delle squadre Nba hanno una franchigia di proprietà nella NBADL. Si è detto a inizio anno di Yogi Ferrell, tagliato a fine training camp dai Brooklyn Nets e immediatamente firmato dai Long Island Nets. Stessa sorte a Salt Lake City è toccata a Marcus Paige, tagliato dagli Utah Jazz e firmato dai Salt Lake City Stars. Queste situazioni sono abbastanza comuni, soprattutto da quando le squadre hanno seguito l’esempio dei San Antonio Spurs e hanno lavorato con squadre di D-League per sviluppare i giocatori (del resto, NBADL è l’acronimo di National Basketball Association Development League).
Dal prossimo luglio i roster saranno allungati a 17 posti con gli ultimi due a favore di giocatori che saranno assegnati in modo permanente alla D-League, come appunto è il caso di Yogi Ferrell. Ancora una volta, la questione è soprattutto economica: la NBADL ha stipendi intorno ai 26.000$ annui per i migliori giocatori e circa 19.000$ come minimo. Chi sarà incluso in questi doppi contratti avrà uno stipendio annuo compreso tra i 50.000 e i 75.000 dollari, oltre ad avere ancora più possibilità di giocare in Nba essendo, a tutti gli effetti, un giocatore a roster per la prima squadra e “prestato” a lungo termine alla seconda. Se non altro, i passaggi da una squadra all’altra saranno più rapidi ed efficaci.
In conclusione, tanti soldi in più per tutti, come è ovvio che sia viste le premesse, e tante nuove possibilità per la lega. La clausola sui doppi contratti NBA-NBADL potrà favorire alcuni giocatori che rimarrebbero altrimenti ai margini e renderà gli stipendi quantomeno competitivi con la media degli stipendi annui internazionali. I guadagni dei giocatori al primo anno saranno molto più alti, e sicuramente può rappresentare un problema nei casi in cui ci siano dubbi sulla maturità della persona (dubbi che peraltro dovrebbero valere per ognuno di questi ragazzi, senior inclusi, vista l’età).
Inoltre, non va esclusa un’esasperazione della corsa al draft, ancora di più di quanto non lo sia già adesso, viste le cifre. La DPE rappresenta il sogno di ogni giocatore, ma è necessario essere inclusi in un quintetto All-Nba o di essere chiamati due volte a giocare un All Star Game nei tre anni precedenti al nuovo contratto. E se ci è riuscito Cousins, nonostante i Sacramento Kings, allora un vero uomo franchigia può riuscirci in qualsiasi squadra.