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Washington Wizards, solo tante chiacchiere

Autore: Sergio Vivaldi
Data: 3 Nov, 2018

A little less conversation, a little more action, please
All this aggravation ain’t satisfactioning me

I Washington Wizards dovrebbero essere una delle potenze della Eastern Conference. John Wall ha appena compiuto 28 anni, l’inizio del picco tecnico e atletico. Con Bradley Beal, 25 anni lo scorso giugno, formano una delle coppie più dinamiche ed esplosive in circolazione. Otto Porter Jr, nato poche settimane prima di Beal, si è trasformato da prospetto con tanti punti interrogativi in tiratore affidabile e difensore quantomeno competente in un contesto di squadra. Questi tre dovrebbero rendere i Wizards una minaccia per Toronto Raptors e Boston Celtics – forse non alla pari, una volta considerto il contorno, ma in grado di impensierire le due superpotenze. Invece, dopo aver cominciato la stagione con 1 vittoria e 6 sconfitte, aspettano Dwight Howard per invertire la rotta.

Il problema non è pensare che Washington abbia bisogno di Howard quanto che Dwight – privato del suo strapotere fisico da un infortunio alla schiena nel lontano 2012, l’anno del trasferimento ai Los Angeles Lakers – potrebbe davvero aiutare una squadra Nba nel 2018. La sola idea è degna di uno scherzo di Halloween fuori tempo massimo. La cessione di Marcin Gortat ha tolto a John Wall il partner nel pick&roll, un’intesa costruita negli anni. Il polacco non è mai stato un grande realizzatore, ma è tra i migliori a portare un blocco e assicurarsi che il portatore di palla possa trarne vantaggio e bravo a liberarsi dei lunghi per andare a rimbalzo offensivo. Lo stesso Gortat aveva criticato pubblicamente Wall lo scorso febbraio, rendendo necessario un incontro chiarificatore.

Ma serviva un capro espiatorio per la deludente stagione conclusa con un’eliminazione al primo turno per mano dei Toronto Raptors, e su di lui sono ricadute tutte le colpe di una squadra che non è mai stata veramente unita. Il contratto firmato da Otto Porter Jr. con i Brooklyn Nets e poi pareggiato dalla dirigenza – 106 milioni garantiti in 4 anni, più un trade kicker al 15% e altre clausole fastidiose – gli permette di essere una delle voci pesanti in spogliatoio e lo mette alla pari con Wall e Beal, tra i quali già non correva buon sangue.

L’ostracismo di Wall nei confronti di Porter Jr. è imbarazzante: Wall serve a Porter Jr. 0.7 assist a partita (dati Nba.com), esattamente 1 in meno rispetto allo scorso anno. Gli unici a riceverne meno sono Tomas Satoransky, Ian Mahinmi, Jason Smith e Austin Rivers. Non può essere un caso, non quando a passare il pallone è Wall, identificato da uno studio di Chartside come uno dei cinque migliori passatori fra i giocatori che più tengono il pallone in mano. E, come spiega lo stesso Wall a Fred Katz di The Athletic, lui cerca sempre il modo migliore per servire il pallone al tiratore, per metterlo in ritmo. Ne studia la meccanica, per assicurarsi che il pallone arrivi nel punto giusto il più spesso possibile. Porter Jr. tenta 10 tiri a partita, 1.5 in meno rispetto allo scorso anno, ed esattamente lo stesso numero di triple da 3 anni: 4.1 a gara. Quest’anno è cominciato male ed è sotto il 28% da oltre l’arco, ma nei due anni precedenti ha tenuto il 44% di media.

A little more bite and a little less bark
A little less fight and a little more spark

Wall e Beal non sono mai andati d’accordo. Già nel 2014 i compagni li definivano “testardi” e Nene, oggi agli Houston Rockets ma all’epoca loro compagno di squadra, invitava i giovani a “smetterla di nascondere la testa sotto la sabbia” e discutere apertamente ogni incomprensione e divergenza. Non è mai successo, tutto è stato insabbiato dalle qualificazioni ai playoff di questi anni. È già capitato a questa squadra di partire male, nel 2016 arrivarono solo 3 vittorie nelle prime 12 gare, ma la stagione finì a gara 7 delle semifinali di conference contro i Boston Celtics. Tutto potrebbe raddrizzarsi ancora una volta, e le tensioni essere ancora una volta nascoste sotto il tappeto, irrisolte. Non è un caso se dopo la sconfitta contro i Memphis Grizzlies di pochi giorni fa Garrett Temple, ex Wizards e oggi a Memphis, abbia scambiato qualche parola con le due guardie.

Impossibile sapere cosa si sono detti, ma è già degno di nota che sia successo. In ogni caso se si volesse trovare una soluzione, è il caso di cominciare a pensare a John Wall come il problema. Ha rinunciato a difendere. Sbatte su ogni blocco.

Inizia lo switch difensivo senza chiamarlo e spesso solo per scarso impegno e non per reale necessità. Le “hustle stat” sono tutte positive, ma risultano falsate da sforzi inutili come questo.

Quando non ha il pallone in mano cammina fino all’angolo con la stessa tranquillità di chi porta a passeggio un cane, appoggia le mani sulle ginocchia e fa da spettatore. Quando i compagni sbagliano fa gesti frustrati verso la panchina. I problemi alle ginocchia gli sono già costati due interventi chirurgici, e tra le varie cose che non sono salutari per le ginocchia c’è tutto quello che lo definiva come giocatore e che ha smesso di fare. Vederlo giocare oggi talvolta è imbarazzante.

Confrontare le sue parole con le sue azioni in campo ancora di più: “Ognuno pensa ai propri interessi. Qualcuno è preoccupato di chi prende i tiri, dove va il pallone in attacco. Non dovremmo preoccuparci di queste cose. Non importa se segniamo o meno, dobbiamo essere capaci di competere dall’altra parte, e se non riesci a farlo su entrambi i lati del campo allora non dovresti giocare”.

Il suo atteggiamento in campo, il linguaggio del corpo, l’insofferenza verso i compagni, sono motivo di allarme. Soprattutto perché a questo disastro si aggiunge un contratto da 170 milioni fino alla stagione 2022-23, compresa un trade kicker al 15%. Se Wall venisse ceduto, la sua nuova squadra si troverebbe a pagarlo oltre 51 milioni nel 2023, a 33 anni e limitato già ora dagli infortuni.

Se il problema è proprio l’ex Kentucky – quasi incedibile a quelle cifre – come risolvere il problema? Beal è pronto ad assumersi più responsabilità palla in mano – lo dimostra ogni volta che Wall siede in panchina. In queste prime partite l’attacco è sembrato migliore con Satoransky in campo, un risultato sorprendente se si pensa alla differenza di talento tra il ceco e Wall. Forzare Otto Porter Jr. a prendere più tiri da tre può dare solo esiti positivi. Sta attraversando un momento difficile, ma ne uscirà solo continuando a tirare. Shooters shoot. Cosa accadrà con Howard stabilmente in rotazione, pronto a chiedere il pallone in post per andare spalle a canestro contro il lungo avversario e ammaccare il ferro due tentativi su tre? Migliorerà il rendimento a rimbalzo, con Washington che al momento è quart’ultima nella Lega, ma basterà?

Dare tutte le colpe a Wall sarebbe sbagliato, la situazione è talmente caotica che non può esserne l’unico responsabile. Ma per avere una misura di quanto sia grave, si rifletta un secondo sulla carriera di coach Scott Brooks: mai un grande tattico e senza un sistema di gioco definito (al contrario di, per esempio, Mike Budenholzer), le sue squadre hanno sempre mostrato impegno e coesione difensiva. I Wizards sono l’eccezione. Inoltre: Russell Westbrook e Kevin Durant hanno convissuto nello stesso spogliatoio e avuto successo per diverse stagioni senza rivolgersi la parola per anni grazie anche alla mediazione di coach Brooks. Questa squadra sente il bisogno di puntarsi il dito contro a vicenda a ogni intervista. Le responsabilità andrebbero quindi condivise con un fallimento di Brooks e con l’incapacità – ormai cronica – della dirigenza di agire con tempestività. Del resto, Ernie Grunfeld è stato il successore di Michael Jordan nel ruolo di general manager, e dal 2004 a oggi i risultati sono stati mediocri: 8 partecipazioni ai playoff in 14 anni e mai oltre il secondo turno.

I Wizards potrebbero aver raggiunto il loro picco nella semifinale di conference contro i Boston Celtics di un paio d’anni fa, l’anno in cui Isaiah Thomas divenne l’eroe indiscusso del TD Garden. Un risultato così misero è contro ogni logica, ma questi Wizards hanno sempre avuto il difetto di parlare troppo e di non vivere mai all’altezza delle loro parole. Anche in estate Austin Rivers, arrivato dai Los Angeles Clippers in cambio di Gortat, dimostrava di essersi ambientato perfettamente dicendo che nessuno avrebbe dovuto sottovalutare Washington, che potevano sfidare Boston e Toronto alla pari. Vero. Potevano farlo anche l’anno scorso, e due anni fa. Ma alle parole non sono mai seguiti i fatti, e l’avvio di stagione sembra un film già visto. Ps. Appena finito di scrivere è arrivata l’ennesima sconfitta casalinga di 20 punti contro i Thunder.

Don’t procrastinate, don’t articulate
Girl, it’s getting late, getting upset waiting around
A little less conversation, a little more action please

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