Le pagelle di questa settimana passano dalla Big Ten, reduce dalla scoppola subita dalla Big East nei Gavitt Games. Si comincia con Purdue, nota più che lieta e protagonista di due vittorie contro le numero 5 e 18 della AP Poll, e si finisce con Andre Curbelo, autore di una delle peggiori prestazioni in clutch time che ci sia mai capitato di vedere.
Purdue. L’abbiamo segnalata come una delle possibili sorprese della stagione e sta confermando le aspettative. Le vittorie contro North Carolina e Villanova alla Mohegan Sun ci restituiscono una squadra da Top 3, perché al momento solo Gonzaga e UCLA hanno dato l’impressione di poterle stare davanti – e non di molto, oltretutto. Purdue ha il secondo miglior attacco del college basketball e può contare su un mix perfetto tra centimetri (la staffetta Zach Edey e Trevion Williams è un lusso pazzesco), tiro grazie a Sasha Stefanovic, Brandon Newman e Isaiah Thompson ma anche creatività e atletismo forniti da Jaden Ivey. Brutta gatta da pelare per gli avversari.
Big East. È mancato l’acuto finale domenica con Villanova (per larghi tratti gioca in modo stellare, ma con Purdue è caduta di nuovo a causa di una panchina troppo corta) e Marquette (battuta da St. Bonaventure al Charleston Classic), ma la settimana vissuta dalla conference è stata comunque strepitosa. Il confronto con la Big Ten nei Gavitt Games è finito con un 6 a 2 ricco di upset: Michigan espugnata da Seton Hall (rognosissima e possibilmente più equilibrata che mai), Xavier che batte Ohio State conducendo per tutta la gara e i già citati Golden Eagles che hanno beffato Illinois in volata. La truppa di Shaka Smart non è di certo una squadra spumeggiante, ma gioca con grande aggressività ed è concreta quando serve: tanto è bastato per fare lo scalpo anche a Ole Miss e West Virginia. Mettendo nel conto anche UConn (questa settimana impegnata al Battle 4 Atlantis), sembrano esserci gli ingredienti giusti per rivedere una grande Big East quest’anno.
Justin Bean (Utah State). Alto due metri, spalle strette, faccia da impiegato: il lungo-non-troppo-lungo degli Aggies pare tutto fuorché temibile. Poi però prende un pallone in mano e sono dolori. Anima di una USU small ma che può difendere da gigante, è instancabile sotto i tabelloni, ha mestiere intorno all’area, si muove benissimo off the ball e un repertorio offensivo che si sta espandendo oltre la linea dei tre punti. La sua produzione è incredibile e al Myrtle Beach a fatto vedere i sorci verdi a tutti, trascinando Utah State alla vittoria finale: 33+16 contro Penn, 17+7 contro New Mexico State, 24+19 contro Oklahoma. Niente male per un ex walk-on.
David Roddy (Colorado State). Se Bean è un candidato forte per il POY nella Mountain West, che dire di Roddy? In settimana, 30 punti e 9 rimbalzi contro Bradley, poi 36 contro Creighton. In totale: 16/22 da due, 7/12 da tre e 13/16 ai liberi. Numeri da videogioco per questa forza della natura sotto forma di lungo undersize, un torello instancabile – e più che discretamente versatile – la cui energia si trasmette con perfezione al resto della squadra. Intanto CSU è 5-0 e pare dare ragione a chi la vede come favorita nella conference.
Arizona. Ok, è solo inizio stagione, ma permetteteci di gongolare un po’ visto che siamo stati gli unici a metterla in Top 25 in estate. L’applauso, però, riservatelo a loro: quelli di Michigan avranno avuto gli incubi a un certo punto, perché su quasi ogni passaggio compariva all’improvviso un avversario di Zona a intercettare il pallone. I Wildcats mostrano uno stile di gioco moderno, aggressivo, fatto di difesa forte e contropiede (5° per ritmo in Ncaa), ma poi anche grande circolazione di palla (2° nella classifica assist/FG). Finora chapeau al nuovo coach Tommy Lloyd.
St. Bonaventure. Altra vincitrice di un torneo di prestagione e altra squadra in forma. Non è una schiacciasassi, non ha asfaltato nessuna avversaria. Ma l’esperienza di una squadra con 5 senior in quintetto si è fatta sentire ad ogni partita, con le migliori prestazioni che sono arrivate quasi tutte nelle seconde metà di gara, spesso negli ultimi 10 minuti. Per ora si confermano tra le grandi di questa stagione.
Gabriele Stefanini (San Francisco). La sua settimana era iniziata male, con l’unica prova storta offerta fin qui da lui (3 punti e 1/6 al tiro contro Samford). Poi con Nevada, avversario più tosto incontrato dai Dons finora, Gabe si è rifatto alla grande: 28 punti belli efficienti (10/17 dal campo, 3/4 ai liberi), compresa una manciata di jumper segnati in tutta calma con la mano dell’avversario in faccia. Ora viaggia a quota 13.7 punti e 2.4 assist di media per una USF partita con un incoraggiante 5-0. E il trio di guardie che il bolognese forma con Jamaree Bouyea e Khalil Shabazz fa paura: è da loro che proviene oltre la metà (54.8%) dei punti segnati dalla squadra.
George Mason. Kim English ha solo 33 anni ma aveva già diversi estimatori prima di essere assunto quest’estate per il suo primo incarico da head coach. Non a caso. La sua GMU ha infatti stupito a inizio settimana con l’upset su Maryland, comportandosi da grande – non da mid-major – in casa della numero 20 del ranking. Lo scivolone subito poi con James Madison (sconfitta di tre punti in trasferta) segnala che ci sono ancora delle cose sulle quali lavorare. Sta di fatto però che nell’Atlantic 10, al momento, solo i Bonnies hanno fatto una figura migliore.
Wichita State. Hanno perso contro Arizona, ma solo ai tempi supplementari. Di fatto sono stati gli unici a impensierire minimamente i Wildcats. E occhio che Tyson Etienne nelle ultime due gare si è acceso. Per ora non c’è abbastanza materiale per promuoverli con convinzione (anche perché hanno la cattiva abitudine di partire col freno a mano tirato) ma i segnali per una sufficienza piena ci sono tutti.
Michigan. Una vittoria roboante (UNLV) ma anche e soprattutto due sconfitte (Seton Hall e Arizona) che hanno evidenziato quanto lavoro ci sia da fare nei meccanismi difensivi e, quindi, dalle quali bisogna imparare il più in fretta possibile. È un 6 (scarso) dato per i buoni lampi offerti e sulla fiducia (benché coach Juwan Howard non abbia convinto con le contromisure tentate coi Wildcats), visto che talento e tempo a disposizione non mancano.
Ohio State. L’assenza di Justice Sueing non può essere un alibi. Dopo averla scampata contro Akron, è arrivata una sconfitta in casa di Xavier. Certo, i Musketeers non sono una squadra materasso, anzi, ma i Buckeyes non hanno mai dato l’impressione di essere in partita, dovendo sempre rincorrere e aggrappandosi al solito immenso E.J. Liddell (voto 7 per lui).
Patrick Baldwin Jr. (Milwaukee). Voto dato alla situazione in cui si è ficcato, non al ragazzo. La scelta di giocare per papà coach in una mid-major anonima (l’ultimo record positivo risale al 2015-16 e, no, non c’era Baldwin Sr. in panchina) aveva fatto alzare più di qualche sopracciglio. La stagione è appena iniziata ma le premesse non sono delle migliori: contro Florida, il 5-star ha regalato qualche lampo ma in definitiva si è ritrovato da solo contro tutti. È facile immaginare quanto siano in difficoltà gli scout NBA nel valutarlo in un contesto simile.
VCU-Vanderbilt. Al momento premio come “peggiore partita dell’anno” senza se e senza ma. In due hanno messo a segno 43 palle perse tirando una il 33% da due e il 31% da tre e l’altra, quella che ha perso ossia Vanderbilt (che era favorita, sigh) il 35% da due ma uno sconsolante 2/25 dall’arco. È finita 48 a 37 per VCU, ma molti spettatori non sono riusciti a vedere il risultato finale perché li hanno ricoverati prima.
Bob Huggins (West Virginia). Dopo la figuraccia con Marquette, solo in parte riscattata dalla vittoria su Clemson, il coach dovrebbe pensare solo ed esclusivamente ai suoi. Invece si è lasciato andare a commenti pesanti sul suo ex giocatore Oscar Tshiebwe: “We lost an alleged McDonald’s All-American because he didn’t like the fact that we were making him do things that were hard”. Sarà. Intanto però il congolese prende 16.5 rimbalzi di media, quasi la metà di quelli raccolti da tutta Kentucky: non esattamente un dato da scansafatiche.
Kihei Clark (Virginia). La sua stagione nelle prime 3 gare registrava queste statistiche: 3/10 da due punti e 5/16 dall’arco. Certo, non è solo colpa sua se i Cavaliers stanno facendo fatica, ma di sicuro l’attuale roster non è quello che esalta meglio le caratteristiche della PG. Come Sansone, col nuovo taglio di capelli sembra aver perso la forza.
Max Abmas (Oral Roberts). Ci fa un male cane doverlo mettere così in basso, ma fa ancora più male vedere il suo tabellino contro Central Arkansas. Lì ha sbagliato i primi 15 (QUINDICI) tiri della gara. Poi negli ultimi tre minuti si è ridestato dall’incubo mettendo tre canestri in fila che, però, non sono bastati per evitare la sconfitta contro la modestissima numero 336 di KenPom. ORU sta balbettando un po’ e non può permettersi serate così storte dalla sua stella.
Oregon. Ha segnato 49 punti, subendone 81 in una sconfitta da incorniciare contro BYU. Non accadeva dal 1993 infatti che una squadra non-ranked (BYU) riuscisse a battere una squadra del ranking (cioè Oregon) di più di 30 punti. Allora era stata UConn a battere Virginia. Proprio uno di quei record che sei felice di registrare.
Andre Curbelo (Illinois). Shining, Scream, Nightmare, ma anche gli ultimi minuti di Curbelo contro Marquette. Sono tutti film horror degni di nota e incredibilmente la point guard di Illinois irrompe in classifica con un finale di partita di quelli per amanti del genere. Scelte sbagliate, palle perse, nervosismo trasmesso a tutti i compagni di squadra e inevitabile sconfitta. Negli ultimi cinque minuti, con gli Illini incapaci di segnare un solo canestro dal campo, lui ha messo insieme il seguente mini-boxscore: 0/5 al tiro (comprese tre stoppate subite), 1/2 ai liberi, 2 perse. Fare peggio di così è quasi impossibile.