I due big match del fine settimana non hanno deluso. Prima UCLA e Villanova hanno dato vita a una gran battaglia finita solo dopo un supplementare, poi Gonzaga ha fatto a fettine Texas con un Drew Timme in versione adulto-in-mezzo-ai-bambini. I temi della prima settimana di gara nelle nostre pagelle.
Drew Timme (Gonzaga). C’era il pieno di scout al McCarthey Center per vedere Chet Holmgren contro Texas. Alla fine però gli inviati delle franchigie NBA si sono ritrovati a dover prendere un sacco di appunti sull’altro lungo di Gonzaga. Protagonista assoluto di una vittoria roboante (86-74 ma all’intervallo era già +20), Timme ha portato a scuola l’intera squadra avversaria: footwork e movenze spalle a canestro da mettere in un museo, tocco e coordinazione in area perfetti, incursioni da rollante e letture dei mismatch puntuali, copertura difensiva impeccabile. Anche un long-two segnato, tanto per gradire. Per lui, alla fine, ben 37 punti a referto (career-high) con 15/19 dal campo e 7/9 ai liberi. Capito perché è lui il favorito principale per il National Player of the Year?
Lo spettacolo di UCLA-Villanova. Un Pauley Pavilion affollato e caldo come non lo si vedeva da tempo, una squadra che gioca con intelligenza, una che non molla mai, un livello tecnico alto e un epilogo all’overtime. Impossibile chiedere di meglio da un match in Top 5. Villanova ha fatto un gran lavoro nel muovere la difesa avversaria e creare soluzioni offensive ideali, però è arrivata al traguardo col fiato corto: una rotazione di soli 6 uomini prima o poi ti si ritorce contro quando giochi una gara così dispendiosa alla prima settimana di stagione. A UCLA va dato tanto di cappello: coach Mick Cronin ha fatto gli aggiustamenti difensivi necessari e trovato risposte estremamente positive dai suoi attori principali quando il pallone scottava di più. Talento e testa non mancano ai losangelini. E questo può portarli molto lontano.
Ochai Agbaji (Kansas). 54 punti e zero palle perse in due partite. Eccolo l’attaccante completo che non si accontenta di tirare e basta, ma attacca il ferro e non perde mai la concentrazione quando è in campo. Dominante contro Michigan State, sarà il punto di riferimento di una squadra che vuole lottare per il titolo e che ha già dimostrato di aver tutto per poterlo fare.
Colin Castleton (Florida). Il tanto agognato successo contro i rivali di Florida State, arrivato dopo ben sette anni di astinenza, porta la firma di tutta la squadra, mordace e concentrata come non mai in una vittoria nata soprattutto dalla gestione della propria metà campo. Il lungo ex Michigan merita però una menzione speciale per l’enorme impatto fornito: pericoloso sotto canestro così come capacissimo di attaccare dal post alto (sia come rollante che palla in mano), la sua presenza difensiva si è estesa a mò di tappeto. In una parola, infaticabile. Per lui, alla fine, 15 punti, 16 rimbalzi, 6 stoppate e un messaggio chiaro mandato agli avversari della SEC.
Oscar Tshiebwe (Kentucky). La brutta notizia per John Calipari è l’infortunio che terrà fuori per la stagione CJ Fredrick. La buona notizia è che un altro transfer su cui aveva puntato è stato una forza della natura finora: 40 rimbalzi e 31 punti in due gare per il congolese, migliore dei suoi nella sconfitta contro Duke e subito assoluto punto di riferimento per i Wildcats.
Alabama. Non siamo al livello del magico trio Mitchell-Butler-Teague che ha portato Baylor al titolo l’anno scorso, ma il backcourt di Alabama è senz’altro uno dei migliori della nazione: Jaden Shackelford (20 punti di media), Jahvon Quinerly (17.5) e Keon Ellis (16.5) sono aggressivi, solidi ed esperti e, dietro a loro, c’è anche “cavallo pazzo” JD Davison che può crescere senza fretta. Squadra assolutamente da tenere d’occhio, soprattutto se l’altro freshman Charles Bediako si conferma affidabile come ha fatto finora.
Emoni Bates (Memphis). Quando mette la testa giù e parte a razzo, pensi che andrà a sbattere contro un muro. Invece è una point forward con assoluto controllo del corpo e del pallone e contro un muro non ci finisce mai, perché sa tirare da tre (6/12 nelle prime due gare) e sa andare al ferro, dove i suoi 206 centimetri si fanno sentire tutti. Facili le due prime avversarie di Memphis, ma assieme a Jalen Duren ha già fatto vedere di poter dare spettacolo.
Chicago State. Piccola, squattrinata, senza mai uno spettatore sugli spalti: una squadra così inguaiata da così tanto tempo (una sola stagione con record positivo negli ultimi 35 anni) da essere diventata la punchline più popolare di tutte fra chi segue il college basketball. Adesso però si è presa una piccola, grande rivincita: iniziare la stagione con due vittorie – contro St. Thomas e SIUE, entrambe formazioni di D1, badate bene – cosa che non le riusciva dall’annata 1984-85. Daje tutta Cougars!
Maryland. I transfer Fatts Russell e Qudus Wahab non hanno ancora affrontato avversari di livello, ma si sono decisamente inseriti. Dopo tre partite, la point guard da Rhode Island viaggia a quota 16.3 punti; il lungo ex Georgetown, dal canto suo, sfiora la doppia doppia di media (13.7 punti e 9.7 rimbalzi). I tre successi in altrettanti buy game casalinghi valgono, per ora, una sufficienza piena. La sensazione comunque è che i Terrapins quest’anno potrebbero lottare per un posto al sole nella Big Ten.
Houston. E meno male che doveva essere una squadra esperta. Alla prima uscita, contro Hofstra, i Cougars si sono salvati per il rotto della cuffia (83-75 dopo un tempo supplementare). Merito di un Marcus Sasser che sembra essere nell’anno giusto: 25 punti fondamentali in quella gara, seguiti poi da 26 (in soli 28 minuti) in un agevole successo su Rice. È più che altro grazie a lui se raggiungono la sufficienza qui.
Ohio State. Due vittorie in due partite, ma con tanta – troppa – fatica. Contro Akron è servito il buzzer beater di Zed Key per evitare una delusione casalinga. Con Niagara, numero 223 di KenPom, è arrivata una vittoria di dieci punti ma solo dopo aver sofferto molto più del previsto nel primo tempo. Priorità assoluta per una stagione all’altezza delle aspettative: aumentare la produttività offensiva del reparto guardie.
Florida State. “They clearly wanted the game more than us and had more pride than us”. Malik Osborne fotografa così la sconfitta dei suoi con Florida. Un’immagine abbastanza fedele della grossa disparità in termini d’intensità messa in campo dalle due squadre. FSU ha inoltre più di qualcosa da rivedere sul piano del gioco: il 71-55 finale è in gran parte derivato da un’orrenda performance contro la difesa schierata (0.61 punti per possesso contro gli 1.41 racimolati in transizione). Forse meriterebbe un voto più basso, ma non è il caso di dare troppo addosso già ora a una squadra così rinnovata.
Marcus Carr (Texas). Il voto è di incoraggiamento, giusto perché ha appena iniziato in una squadra nuova e l’avversario era il meglio che potesse avere davanti. Ma la sua partita contro Gonzaga è stata da pianto. È il miglior transfer e una delle migliori guardie della Division I: non può accontentarsi di finire in palleggio in mezzo all’area, spaventarsi e scaricare fuori a caso. E da tre siamo a 2/8, ancora peggio del 31.7% dell’anno scorso.
North Carolina. Brown è una squadra di medio-bassa classifica di una conference non certo eccitante come l’Ivy League, che peraltro l’anno scorso è stata cancellata causa Covid. Ha 10 giocatori 10 nuovi e la maggior parte di loro è all’esordio nel college basket. A costoro i Tar Heels hanno concesso 50 punti con il 60% al tiro sul campo di casa in un primo tempo che è stato un concentrato di tutte le nefandezze difensive che si possono fare. Poi sono riusciti a vincere 94-87 ma ecco, diciamo che Hubert Davis ha parecchio da lavorare ancora.
Atlantic 10. Una bella tirata d’orecchie un po’ per tutta la conference, che in teoria dovrebbe essere una delle più competitive al di fuori delle Power 6. Troppe sconfitte casalinghe in partite che andavano dall’abbordabile al fattibile: Dayton contro UMass Lowell, VCU contro Wagner, Duquesne contro Hofstra, La Salle contro Sacred Heart, oltre al -11 di Richmond sul neutro contro una Utah State in rebuilding e il -20 patito da UMass in casa di Yale. Non l’inizio che ci si aspetta da una conference che vorrebbe mandare due o addirittura tre squadre al Torneo.
Virginia. I dieci minuti finali contro Navy sono stati un film dell’orrore. Non segnavano mai e in un momento decisivo c’è stato anche uno 0/2 dalla lunetta letale. È vero che coach Tony Bennett di solito nel corso dell’anno riesce sempre a sistemare le cose, ma se gli Hoos giocano così hanno poche chance di arrivare al Torneo.
Georgetown. Si sapeva che il gran finale della scorsa stagione non avrebbe trovato un qualche tipo di prosecuzione quest’anno e che l’obiettivo più realistico è quello di non finire ultima nella Big East. La squadra di Pat Ewing però ha cominciato anche peggio del previsto, facendosi umiliare in casa da Dartmouth (69-60 alla fine, con gli ospiti anche sul +22 nel primo tempo). Difesa perimetrale assente (16 triple subite), nessuna idea in attacco e nemmeno uno scatto d’orgoglio, se non quando ormai la frittata era fatta. La stagione degli Hoyas si preannuncia lunghissima.
Louisville. Va bene l’assenza di coach Chris Mack, ma ha giocato una partita inguardabile e quindi rimediato una sconfitta casalinga contro una mid-major. Furman era in serata al tiro (12 su 28 dall’arco), ma dietro quelle percentuali c’è lo zampino dei Cardinals. Distratti a rimbalzo, troppe palle perse, scelte di tiro affrettate, una serie di errori uno peggio dell’altro. Se il buon giorno si vede dal mattino…