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La vita di Sean May, da UNC all’Italia e ritorno

Autore: Isabella Agostinelli
Data: 8 Feb, 2018

Nel 2005, con la maglia di North Carolina ha vinto un Titolo Ncaa e il premio come Mvp del torneo. E’ stato scelto dai Charlotte Bobcats al primo giro del draft Nba, ma una serie di infortuni hanno rallentato la sua carriera professionistica e lo hanno portato a giocare in Europa: in Italia ha vestito la maglia di Montegranaro e da due anni è entrato nello staff di North Carolina. Ve ne abbiamo già parlato nella nostra rassegna degli ex americani passati in Italia e tornati negli Usa a lavorare nel college basket, ma abbiamo voluto farci raccontare direttamente da lui la sua storia: ecco cosa ci ha detto Sean May del suo nuovo ruolo a UNC, delle sue ambizioni e della nuova relazione professionale con il suo mentore, coach Ray Williams.

Partiamo dal tuo ruolo a UNC: sei diventato director of basketball operations, ci puoi spiegare in cosa consiste questa figura praticamente assente nel basket italiano?
Il titolo di “Basketball Operations” significa gestire tutti i bisogni logistici dei viaggi della nostra squadra: aerei, hotel, i pasti etc., tutto quello di cui i nostri atleti hanno bisogno giorno dopo giorno. Inoltre mi occupo del materiale video e degli scouts delle squadre avversarie.

Ho letto che tutto è iniziato con dei messaggi su Twitter durante la tua ultima stagione da giocatore in Francia: di cosa parlavi in quei tweet? Quali erano gli elementi tecnici che mettevi in luce?
Iniziare a “twittare” è stato qualcosa di estremamente naturale: stavo in piedi tutte le notti per guardare le partire di UNC mentre ero all’estero e un giorno ho deciso di dire la mia pensando che le persone avrebbero apprezzato il commento della partita dalla prospettiva di un giocatore. E così è stato: moltissime persone hanno iniziato a seguirmi e hanno apprezzato quello che stavo facendo. Così ho continuato.

Ma com’è arrivata la tua decisione di entrare nello staff di UNC?
Sapevo che volevo intraprendere la strada per diventare allenatore sin dal primo momento che la mia carriera da giocatore ha iniziato a rallentare. Mi sono incontrato quindi con coach Williams alcune volte nel periodo in cui avevo iniziato a giocare all’estero e gli ho parlato del mio piano di ritirarmi non appena nello staff di UNC si fosse liberata una posizione. Così ho continuato a giocare per qualche anno e poi alla fine sono entrato nel suo staff nel 2015.

Sean May (a destra) nello staff di North Carolina

Ormai sono due anni che sei nello staff di UNC e da due anni i Tar Heels giocano la finale: raccontaci come le hai vissute e come si vive dall’interno la vittoria di un titolo Ncaa.
La differenza sostanziale tra vincere un titolo come giocatore e come membro della staff è che, da giocatore, ciò che ti guida è lo spirito di competizione. Come allenatore, invece, vuoi che tutti coloro che ti circondano condividano i tuoi obiettivi e riescano a vedere il quadro più ampio e quindi ciò che ti guida è uno spirito di sacrificio per la squadra. Da parte mia, quello che ho cercato di fare, è far sì che i miei giocatori potessero vivere al meglio ciò che io stesso ho provato come giocatore nel vincere il titolo.

Ecco, tu lo avevi vinto anche da giocatore: quali sono le differenze a livello di sensazioni?
C’è una grande differenza. E penso che vincere come giocatore sia più facile. Come ho detto ciò che ti guida come giocatore è lo spirito di competizione e quindi, se ami competere, scendi in campo e giochi. Invece come allenatore devi avere sempre in mente il quadro più completo e ciò rende il tutto molto più complesso: la parte tecnica diventa essenziale e devi cercare di mettere la tua squadra nelle condizioni migliori per vincere. E’ davvero molto più complicato da coach e ogni volta che scendi in campo è difficile e non ci sono partire semplici.

In un’intervista a Inside Carolina, Brandon Robinson ha ricordato che “May ha giocato anche lui per coach Williams e quindi sa cosa vuole il coach”: cosa vuole Roy Williams?
In quell’articolo penso che Brandon si stava riferendo alla mia relazione con lui e gli altri giocatori, a come riesco a comunicare loro quello che coach Williams vuole. Non si tratta solo del fatto che lavoro per lui ora, ma è cruciale il fatto che abbia giocato per lui. Quindi, quando gli parlo di ciò che è accaduto in campo, i ragazzi sanno che le mie osservazioni e consigli vengono dall’esperienza, dato che il coach mi diceva esattamente le stesse cose.

Il vostro rapporto è diverso da come era quando eri un suo giocatore?
In realtà, è cambiato…ma non è cambiato affatto. Non mi urla più come faceva un tempo ma, come in passato, mi rivolgo a lui per ogni tipo di consiglio e cerco di fare attenzione ad ogni cosa che fa.

Coach Roy Williams e Sean May festeggiano il titolo del 2005

Passiamo a un argomento che ha tenuto banco a UNC per tanti anni. La fine dell’inchiesta dell’Ncaa sul dipartimento di studi africani e afro americani (Afam) di UNC sembra aver tolto un grosso peso a coach Williams, è così?
Penso che con la fine dell’inchiesta abbia ritrovato più energia. Ha combattuto questa battaglia per così tanti anni e penso che ora abbia la possibilità di essere di nuovo semplicemente un coach e di vivere appieno il suo ruolo.

North Carolina è come sempre tra le prime dell’ACC, ma quest’anno non sembra in grado di poter arrivare fino in fondo, sia nella conference che al torneo Ncaa (al momento 17 -7 ma 6-5 in conference) . Cosa ti aspetti da questa stagione?
Come molte altre squadre, abbiamo avuto le nostre difficoltà quest’anno. Siamo nella conference più dura dove militano molte ottime squadre. Dobbiamo solo continuare a giocare partita dopo partita e penso che alla fine ne verremo fuori.

La partenza di Meeks, Hicks e Bradley ha lasciato un bel buco nel front court di UNC: quando pensi che Brooks e Manley riusciranno a coprirlo?
È sempre una benedizione avere dei ragazzi che dopo la laurea riescono a diventare pro. Certo, la loro partenza ci ha lasciato sguarniti nel frontcourt, una situazione che non ci aspettavamo in realtà. Tuttavia, i nostri lunghi stanno migliorando e continueranno a farlo, hanno solo bisogno di un po’ di tempo in più.

Pensi che Duke sia la favorita non solo per quest’anno ma anche per il prossimo?
Sì. Duke sarà una squadra forte anche il prossimo anno e rimarrà tra le favorite al titolo. Ma anche noi potremmo dire la nostra e quindi non vedo l’ora di giocarcela.

Alcuni giovani italiani provano la strada della Ncaa. Su cosa devono lavorare maggiormente per essere pronti a questo salto? Cosa chiedete voi ai vostri futuri giocatori?
Sono contento che un numero sempre maggiore di giocatori europei voglia venire a giocare in Ncaa. Penso che possa essere una grande avventura per loro e che possano essere all’altezza del livello del gioco. Quello che devono però tenere in conto è che anche a livello accademico non è semplice e quindi suggerisco loro di concentrarsi soprattutto su questo aspetto.

Veniamo all’Italia. Tuo padre Scott ha lasciato il segno a Torino mentre la tua è stata un’esperienza breve (due mesi nel 2012). Montegranaro riuscì a salvarsi e nel derby contro Pesaro sei stato decisivo: qualche ricordo di quei mesi? Come ti è sembrato il campionato italiano?
Mi è piaciuto moltissimo giocare in Italia. Le persone a Montegranaro sono state fantastiche e ho amato ogni singolo momento passato là. Ho vissuto i miei primi cinque anni di vita in Italia quando mio padre giocava lì, e quindi non vedevo l’ora di poterci tornare come giocatore. Il campionato è di un ottimo livello con grandi giocatori e soprattutto grandi allenatori.

May con la maglia di Montegranaro

Hai scelto UNC invece di Indiana, ma la tua carriera da giocatore è stata simile a quella di tuo padre: star al college con titolo Ncaa, tante difficoltà in Nba e poi Europa, Italia compresa, purtroppo sempre con tanti infortuni. Qualche rimpianto?
No, assolutamente nessun rimpianto. Certo, avrei voluto avere più successi professionalmente, ma grazie alle difficoltà che ho dovuto superare penso di aver avuto la possibilità di conoscermi meglio. Ed è per questo che non ho rimpianti.

Chiudiamo con le tue ambizioni per il futuro: tuo padre non ha mai allenato, è questa invece la carriera che tu vorresti fare? Roy Williams deve iniziare a preoccuparsi?
In futuro? Voglio continuare ad imparare da coach Williams, migliorare le mie competenze, aiutare i miei ragazzi ad avere il successo che io ho avuto e spero un giorno di avere la possibilità di diventare un head coach.

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