Come si fa a passare dall’arrivo in sordina al campus senza nemmeno mai incontrare il tuo futuro head coach a vincere il Bob Cousy Award, essere il miglior assistman della storia del college e togliere a Bobby Hurley il record di sempre della NCAA? Beh, dovreste chiederlo a Braden Smith.
Nato a Westfield, Indiana, da mamma e papà allenatori di basket, Braden ha praticamente avuto la palla in mano da sempre. In prima elementare si allenava con la squadra femminile della sua città e con il minibasket dove già giocava da playmaker. Nel frattempo, prima di andare a scuola e prima di andare a dormire, guardava su YouTube i video dei suoi due idoli: Steve Nash e Jason Williams.
In loro Braden Smith non può che rivedersi, sia per questioni di stazza, sia per il ruolo in campo, ma non si è limitato a studiare solo la tecnica di passaggio, è andato oltre. Ha voluto approfondire e capire il modo in cui erano diventati i leader delle proprie squadre, di come avevano guadagnato la fiducia dei loro compagni e di come hanno utilizzato la loro creatività. Questo lo si rivede oggi nel suo gioco, dove non si considera l’attore principale ma un play al servizio degli altri.
Il successo degli altri
Se avete mai osservato Smith giocare, in particolar modo quando supera la metà campo, avrete sicuramente notato che la prima cosa che fa è alzare la testa e guardare dove sono posizionati i compagni. Per lui è un gesto naturale perché il suo primo pensiero è: “come posso far segnare la squadra?”, anche se questo significa spesso fare un extra pass e rinunciare a prendersi un tiro. Il play di Purdue non è un giocatore egoista, tutt’altro, per essere un play tiene pochissimo tempo la palla in mano e, come racconta papà Dustin, “Braden loves seeing everybody else succeed“. Lui vuole muovere la palla e stare sempre in movimento sul campo, in modo da creare spazi vuoti dove gli altri possono infilarsi per fare male.
Per esempio, raramente porta a termine il pick-and-roll al ferro, anzi. Quasi sempre, superato il difensore, va a trovare il compagno smarcato, anche con assist spettacolari. Ecco, la creatività è un altro aspetto chiave del suo gioco offensivo ed è parte del suo credo cestistico perché far ricredere le persone è uno dei suoi passatempi preferiti da quando è nato. E se sei alto 183 centimetri in un mondo di gente attorno ai due metri e oltre, per far sì che tutti ti considerino all’altezza della situazione devi crearti strade alternative, pensare in modo differente.
Un altro aspetto in cui eccelle nel gioco è il tiro da tre punti. Sin da quando è tra le fila dei Boilermakers, Smith si è distinto come un ottimo tiratore da tre. La meccanica rapida e il rilascio alto lo rendono difficilmente contrastabile e il 40.2% dall’arco nel corso di questi quattro anni è lì a dimostrarlo. Quest’anno viaggia al 42% spaccato con 4.2 tentativi per partita e contro Minnesota ha chiuso con 3/4 dall’arco in una delle sue migliori performance stagionali chiusa con 15 punti, 12 assist, 6 rimbalzi, 5 rubate e 2 stoppate. Una prestazione da all-around.
Un problema in difesa
Se con la fantasia, l’intelligenza cestistica e il tiro da tre, Smith è riuscito a costruirsi un gioco solidissimo in attacco, ancora da migliorare è la fase difensiva dove, inevitabilmente, la stazza lo penalizza. Come difensore non è in grado di reggere il confronto diretto con le point guard più stazzate, anche per la sua scarsa esplosività, e quindi spesso viene usato come marcatore lontano dalla palla. In questo ruolo riesce a sfruttare bene il movimento di piedi che gli permette di scivolare e seguire l’attaccante senza troppi patemi. Così come riesce a leggere ottimamente le linee di passaggio per deflections e rubate (1.8 i suoi recuperi a partita).
E’ un playmaker formidabile, ma se vorrà provare a fare il grande salto in NBA, quest’anno dovrà lavorare tanto sulla propria difesa, perché a lungo andare non é sostenibile un giocatore che viene messo dove fa meno danni e questo è ciò che fa al momento coach Matt Painter.
Nonostante questo difetto, è soprattutto grazie a Braden Smith se Purdue è anche quest’anno una delle candidate al titolo, attualmente alla #5 dopo essere stata a lungo la #1 del ranking AP.. Non tutti però pensano che i Boilermakers siano sufficientemente attrezzati per l titolo e quindi l’obiettivo di Smith è sempre lo stesso: dimostrare ancora una volta che si stanno sbagliando.


