L’etichetta di miglior coach mai arrivato alle Final Four è una tra le più brutte e appiccicose fra quelle che si trovano in Ncaa. Era stata creata ad hoc per uno degli allenatori più controversi e meravigliosi che abbiano mai allenato in Division I: coach Bo Ryan, la cui attesa con Wisconsin era durata ben 29 anni ed è finita quando un tiro in fadeaway di Nick Johnson all’Honda Center di Anaheim nel marzo del 2014 si è infranto sul ferro. In quel momento, l’etichetta si è staccata come se fosse troppo bagnata per rimanergli addosso ed è magicamente volata, asciutta, in direzione del coach che si trovava sulla panchina avversaria: Sean Miller, University of Arizona. Ora è lui, insieme ad un altro affezionato abbonato come Mark Few, a essere considerato così.
Il roster di quest’anno sembrava essere atletico e profondo al punto giusto per fare una grande stagione, riprendersi lo scettro della Pac-12 e, magari, arrivare alle Final Four. Ma una discreta serie di sciagure si è abbattuta su Tucson e ora c’è più di un punto di domanda sulla stagione dei Wildcats.
Freshmen da rivedere
L’inizio della stagione ha lasciato pareri contrastanti sulla nuova e ricca di talento cinque stelle recruiting class dei Wildcats. Il più atteso è certamente il sette piedi finlandese Lauri Markannen, che ha fatto vedere sprazzi di talento in attacco e ampi spazi di miglioramento in difesa. “Lauri è uno dei giocatori migliori nel college basketball, è un mostro”, ha detto Sean Miller dopo che il suo freshman europeo ne ha messi 26 nella non semplice vittoria contro CSU Bakersfield. Notevole, per un giocatore della sua stazza, la meccanica di tiro ma anche la facilità con cui riesce a palleggiare nel traffico e attaccare i close-out, rendendolo di fatto in grado di giocare in tre posizioni in attacco. Le sue cifre finora sono ottime: 19.5 punti con 8.3 rimbalzi e 22/23 ai liberi. In difesa però è apparso ancora un po’ troppo spaesato, spesso fuori posizione, impreciso nelle rotazioni e lento nel chiudere le linee di penetrazione. Fatto sta che è ancora lontano da essere un two-way player di impatto perchè, anche se non è il classico grissino, può ancora migliorare dal punto di vista fisico.
Il giudizio su Rawle Alkins è ancora incerto: si è inserito bene nel sistema difensivo di coach Miller, ma non ha fatto nulla che è balzato agli occhi degli spettatori nel big match contro gli Spartans. Però è apparso notevolmente diverso e più incisivo nelle due partite successive. Chi invece, fin da subito, ha già fatto capire di potersi rendere utile è Kobi Simmons, visto che contro MSU il suo ingresso dalla panchina è stato decisivo per rimettere in sesto Arizona. Ottima la sua capacità di prendere falli e ottimo il suo jumper che ha ripetutamente colpito la difesa di coach Tom Izzo. Per entrambi ci sarà parecchio spazio in stagione, visto che il backcourt di Miller continua ad accorciarsi partita dopo partita.
Nucleo solido ma sempre più corto
Vedremo più avanti infortuni e vicissitudini esterne che stanno complicando la vita dei Wildcats. Iniziamo però col dire che Kadeem Allen, dopo aver segnato il canestro decisivo nella partita contro Michigan State (di cui vi abbiamo parlato qui), ha dovuto saltare quella successiva contro i Roadrunners nell’opening casalingo al McKale Center per un problema a un ginocchio. Da rivedere la sua selezione di tiro un po’ a caso, ma il layup decisivo dopo un coast to coast regalatogli dalla difesa addormentata di MSU ha fatto dimenticare tutto.
Parker Jackson Cartwright è il floor general della squadra, un perfetto giocatore per il sistema di coach Miller che si deve augurare rimanga sano almeno lui per tutta la stagione. Potrebbe patire la sua stazza in difesa ad esempio contro guardie come Lonzo Ball, e il tiro da tre può e deve essere migliorato.
Vanno meglio le cose nel reparto lunghi, dove però non è che il talento sia smisurato. Dusan Ristic è il centro titolare della squadra dai movimenti offensivi molto scolastici e nella metà campo avversaria ogni tanto sembra esser di troppo, nel senso che non sa bene cosa fare. In difesa invece è molto più a suo agio, coordinando i movimenti dei compagni e influenzando le penetrazioni avversarie.
Chance Comanche e Keanu Pinder sono i due ricambi dei lunghi. Se Comanche era ed è ancora materiale grezzo, Pinder potrebbe essere una scarica di elettricità nelle vene dell’attacco di Arizona. Junior arrivato dall’Hutchinson Community College, è un lungo di 2.05 non dotato di un tiro affidabile o di movimenti raffinati, ma solo il modo in cui si muove e l’energia che mette in tutte le azioni che fa lo rende un giocatore divertente da vedere e facile da notare grazie anche ai suoi capelli rasta svolazzanti.
ACL, Australia e una dose infinita di sfortuna
Arizona in questa estate è stata sfortunata come Sansa Stark in tutta la sua vita. Ha perso prima Terrance Ferguson volato in Australia al richiamo dei primi soldi della carriera. Poi, in una delle storie più tristi degli ultimi anni, ha perso Ray Smith alla terza rottura del crociato anteriore in tre anni. Ex recruit cinque stelle, insieme a Ferguson doveva occupare quello spot in ala che ora sembra scarno. Inoltre, anche Denny Talbott, graduate transfer da Lipscomb, starà fuori per tutta la stagione anche lui per un infortunio al ginocchio.
E poi c’è Trier
O meglio non c’è, perché è scomparso come Bran Stark nella quinta stagione di Game Of Thrones; però, per Bran si sapeva perché, mentre per Allonzo Trier il motivo non è ancora noto. Dopo zero minuti giocati nelle partite di preseason, il suo futuro continua a essere assolutamente incerto e l’università continua a non rilasciare nessun commento sulla sua situazione.
Al momento quindi il migliore giocatore dei Wildcats non gioca per un motivo che nessuno conosce. C’è chi pensa che sia un problema di eleggibilità, chi un problema personale del giocatore o, semplicemente, chi pensa che coach Miller voglia che il problema rimanga tra le stanze di Tucson. La sostanza è che Arizona perde il suo potenziale go-to-guy e noi un bel prospetto da vedere.
Obiettivi da rivedere?
Per concludere, la stagione di Arizona era iniziata con i migliori auspici ma, nonostante l’attuale 4-0, pian piano coach Miller ha perso molte certezze e parte della rotazione. Da perfezionare un attacco che ristagna (e non è la prima volta) e con poca fantasia e da migliorare l’aspetto dei rimbalzi. Strano ma vero, una squadra che schiera due sette piedi in quintetto, ha sofferto sotto i tabelloni contro una squadra come MSU che ha giocatori sì molto atletici ma che superano a malapena i due metri. Il lavoro di coach Miller sarà quello di ridare sicurezza e certezze a una squadra diversa da come se l’era immaginata, con la speranza che a fine stagione quella maledetta etichetta si stacchi da lui, una volta per sempre.