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L’estate in cui Dan Hurley diventò un santone

Dan Hurley
Autore: Paolo Mutarelli
Data: 12 Lug, 2024

Non è stata un offseason semplice per Dan Hurley. Il secondo titolo di UConn gli ha regalato i riflettori cercati da una vita ma le offerte di Kentucky e Los Angeles Lakers sono state rimandate al mittente con la speranza di raggiungere un incredibile three-peat nella prossima stagione. Il coach di UConn ha dovuto superare diversi bivi decisivi in questa offseason per intraprendere la via del santone, anche a costo di diventare il villain del college basketball.

Gli Hurley

Due delle migliori dieci panchine d’America. Kentucky e Lakers. Poco importa se a Lexington si respira un ambiente tossico e i Lakers beh, sono i Lakers di LeBron James. Dopo un biennio epocale chiuso con due titoli NCAA e una UConn di nuovo sulla mappa, tutti si chiedono cos’altro può chiedere Dan Hurley al college basket. D’altronde è una vita che Hurley flirta con il glamour e le grandi opportunità: da bambino a Jersey City ogni mattina guardava lo skyline di New York dall’altra parte dell’Hudson, da adolescente ha visto il padre e il fratello diventare delle leggende. Quale posto migliore di Kentucky e Los Angeles per diventare leggenda?

“Mi sono sempre sentito il terzo Hurley” ha detto Dan in una recente intervista al podcast di JJ Redick. Bob Senior, il papà, è uno dei pochissimi coach High School ad esser entrato nell’Hall of Fame di Springfield: la sua carriera a Saint Anthony ha visto 200 giocatori arrivati in Division I, 26 titoli statali, 4 nazionali, 5 stagioni perfette, un documentario e un libro dedicati. Bob Junior, detto Bobby, è una delle già grand point guard della storia della Division I: leader e capitano della Duke tra il ’90 e il ’92 quando Coach K vinse i primi due titoli in back-to-back. Danny è sempre stato “il figlio di” e “il fratello di” e questa pressione di dover essere alla loro altezza l’ha quasi portato a mollare il basket.

Bobby è stato leader di una Saint Anthony imbattuta, è andato nella prestigiosa Duke ed è finito in Top Ten al Draft Nba. Danny ha perso partite a Saint Anthony, è stato reclutato dall’operaia Seton Hall ed è stato un ostacolo per il repeat e per la storia di Bobby quando nel 1992 i due si incontrarono alla March Madness. Troppo talentuosi, disciplinati, professionali padre e fratello. Troppa pressione su Danny, un casinista perfetto per la vita da college descritta dai film di Hollywood. Feste, alcol, scherzi, orari sregolati, una rabbia e un’aggressività in campo, che sfociano quasi nella follia, che non è molto diversa da quella che talvolta notiamo a bordo campo nelle partite di UConn.

Hurley Bowl

Due giorni prima che Christian Laettner segnò il famoso buzzer contro Kentucky, andò in scena l’Hurley Bowl

Il basket era troppo per lui e per questo dopo due partite della sua stagione da junior ha deciso di prendersi un anno da redshirt. In cuor suo era un addio alla pallacanestro, anche se non ufficiale. Era il 1993 e suo fratello Bobby era stato appena scelto dai Sacramento Kings con la No.7 al Draft. A dicembre però un camion prende in pieno la macchina di Bobby, il quale viene scaravento fuori dalla macchina per l’impatto rischiando la vita e rovinando la sua promettente carriera. Papà Bob dovette prendersi una pausa dalla sua carriera da coach a Saint Anthony e si aprì un posto da assistente lì. Dan, per distrarsi dalla situazione famigliare, decise di aiutare la squadra del papà.

Se Danny era il giocatore perfetto istruito da papà Bob, Danny osservò questo rapporto concentrandosi sul padre, apprendendo le arti magiche di un allenatore. La scintilla col basket si riaccese e, conclusa la stagione, tornò a Seton Hall. Da lì a pochi anni, Dan smise col basket giocato e partì proprio da un High School del New Jersey, come fatto da papà Bob, diventando poi in questi anni quello che il grande Bob Hurley non è mai riuscito ad essere: un coach di Division I.

Il nuovo Re

A UConn lo slogan “Championship or bust” è la realtà dei fatti. A Storrs o si vince in grande stile o si fallisce rovinando clamorosamente. Andarsene proprio ora che “l’arroganza dei vincenti è tornata in città” non sembrava proprio il caso. Se per l’offerta di Kentucky si è fatto una risata, i Los Angeles Lakers l’hanno fatto veramente vacillare. Un’offerta che capita “una volta nella vita”, descritta e seguita dall’insider più connesso dell’intera Nba Adrian Wojnarowski, che con la famiglia Hurley ha un legame speciale perché autore di un libro su Saint Anthony. Sembrava cosa fatta.

Gli Huskies sarebbero tornati probabilmente nell’oblio, affidando la panchina all’assistente che non avesse seguito Hurley ad LA. L’entusiasmo si sarebbe disciolto, i soldi dei booster forse avrebbero subito un contraccolpo, i giocatori sarebbero entrati nel portal e ad un’ascesa così rapida avremmo assistito ad un crollo così netto. Ma le decisioni a casa Hurley sono sempre collegiali: papà Bob rifiutò un posto da assistente a Xavier perché Danny e Bobby volevano essere allenati da lui. Stavolta a scegliere insieme a Dan c’era sua moglie Andrea che ha vacillato anche lei di fronte all’offerta dei Lakers. Solo una scena da commedia romantica li ha portati a rimanere in quella che ormai chiamano casa.

Si perché UConn in Big East è casa per un ragazzo del Northeast come Hurley. É il principale motivo per cui è rimasto: ora è lui a sedersi sul trono del miglior coach della Division I e ha costruito un legame profondo, soprattutto fatto di responsabilità, con i giocatori appena reclutati. Andare in NBA, per quanto seducente, sarebbe significato ripartire da capo, proprio ora che, dopo 17 anni, è arrivato in vetta e può guardare a testa alta padre e fratello.

Seppur in un momento di transizione, il mondo collegiale per un coach rimane il posto in cui avere il controllo su tutto: dall’alloggio dei ragazzi al recruitment passando per NIL e questioni di campo. Chi è in grado di mantenere il controllo riesce a resistere alla vorticosa velocità in grado di cambiare gli equilibri nel giro di pochi mesi. In NBA, tra salary cap, capricci delle stelle e capacità dei GM, gli errori non sono ammissibili se si vuole essere competitivi. Una scelta sbagliata potrebbe costare anni di lavoro. Rifiutare prima Kentucky e poi la panchina dei Lakers ha dato la possibilità ad Hurley d’incrementare ulteriormente il già enorme credito di gratitudine da parte di tutto l’ambiente di UConn di cui gode.

Anche Coach K nel 2004 si trovò di fronte allo stesso identico dilemma: allenare i Lakers di Kobe Bryant e Shaquille O’Neal. Era appena arrivata la decima Final Four, il terzo titolo era arrivato pochi anni prima. Ma così come Hurley, il legame non solo a livello cestistico ma con tutto l’ambiente lo portò a rifiutare e a diventare poi il coach più iconico e vincente della storia della Division I. Non a caso quando si parla di coach collegiali si usa la parola “santone”, una guida spirituale, oggetto di venerazione di fedeli. Qualcuno che va oltre la pallacanestro giocata, creando un legame inscindibile con il posto in cui si mettono le radici.

La strada di fronte ad Hurley è questa: andare oltre all’ovvio status di Hall of Fame che un giorno avrà e diventare come Coach K. In un momento storico in cui il pantheon di coach NCAA si sta rifondando, Dan Hurley sa chi vuole essere. A 51 anni ha in mano un programma che respira basket: “UConn It’s a perfect job to me”. Si, il posto perfetto per diventare una leggenda.

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