David Johnson non corre veloce per il campo, anzi sembra quasi che vada al rallentatore. Eppure con quel suo modo un po’ ciondolante, la point guard di Louisville, spesso in maniera quasi improvvisa, è capace di tirare fuori giocate che smarcano un compagno, risolvono una situazione in difesa o lo portano a mettere punti a referto.
E così oggi Johnson è dato praticamente da tutti al primo giro. Il nostro Super Mock Draft lo segnala alla #19, mentre quello più recente realizzato da Sam Vecenie per The Athletic lo indica addirittura alla #12, davanti a talenti più quotati come Greg Brown di Texas, Brandon Boston Jr. di Kentucky o Jaden Springer di Tennessee.
Lasciando perdere il singolo mock draft, il dato di fatto è che le sue quotazioni stanno salendo, proseguendo la tradizione dei sophomore di Louisville, il cosiddetto two-and-done, strada che hanno seguito sia Terry Rozier sia Donovan Mitchell.
Quasi tutto deriva dal suo tiro da tre. Con Johnson non è questione di guardare troppe voci statistiche, perché ce n’è una che interessa molto più delle altre: quanti tiri prende dall’arco e quanti ne converte. Per il resto, sul fatto che sia da Nba ci sono poche discussioni.
Partiamo dal fisico. Il ragazzo nato proprio a Louisville nel Kentucky è una point guard di 196 cm per 95 kg, con un wingspan di 207 cm. Il fisico si traduce poi – e non è sempre scontato – in buone prestazioni. Letale a rimbalzo (soprattutto in difesa è secondo tra le guardie in ACC per Rb%) ha ottima mobilità laterale per la taglia che gli permette di marcare anche guardie molto più piccole e potenzialmente più veloci.
In fase offensiva appare sempre sotto controllo ed è un abile passatore, anche se, rispetto alla stagione scorsa (nella quale ha dovuto recuperare da un infortunio alla spalla), talvolta quest’anno è capitato che cercasse più la giocata ad effetto che la soluzione più semplice (e più sicura). Il risultato è stato scomparire (per ora) dal radar dei migliori per Assist Rate, mentre l’anno scorso aveva guidato la ACC.
Ok, non siamo del tutto corretti con il ragazzo del Kentucky. C’è un “però” da aggiungere alla voce assist ed è quella del contesto. L’anno scorso Johnson aveva intorno a sé tiratori come Jordan Nwora (che al momento è 7/14 dall’arco anche in Nba) o Ryan McMahon, considerato sostanzialmente un cecchino. Per questo coach Chris Mack ha chiesto al suo sophomore di essere più pericoloso dall’arco e spesso lo schiera come guardia accanto a Carlik Jones che porta palla.
La partita giusta al momento giusto
La giovane carriera di Johnson fin qui ha proceduto a balzi. “Sono stato fra i primi a credere in lui e ho iniziato ad apprezzarlo fin dal secondo anno di high school”, commenta oggi Mack, che aveva messo nel mirino Johnson quando ancora allenava Xavier. David nel suo ultimo anno al liceo ha guidato la Trinity High School a vincere il campionato statale del Kentucky. Poi, come suo cugino Ray Spalding (ex Cardinals che ora fa avanti e indietro fra Nba e G-League) ha scelto Louisville.
Pronti via e infortunio alla spalla, che l’ha tenuto lontano dal campo per la prima parte della scorsa stagione. Inizio in sordina dunque, nonostante la squadra andasse bene: quattro partite saltate e poi pochi minuti in campo nelle prime gare, sempre in panchina ad esempio nel derby di Natale (perso) contro i rivali di Kentucky. Johnson ha poi pian piano trovato il suo spazio in campo, giocando davvero bene una sola partita, quella in casa di Duke del 18 gennaio: 19 punti in 27 minuti con 7/11 da due, 1/1 dall’arco, 4 rimbalzi, 7 assist, 2 stoppate e 3 recuperi. Boom, l’America ha pensato: è nata una stella.
Visti gli highlights? Fenomeno vero? Non ancora. Dopo quella gara, Johnson è andato in doppia cifra solo quattro volte in 13 partite, e peraltro 3 volte su 4 la squadra ha perso. Pessimo l’ultimo match della stagione: 2 punti in 20 minuti nella sconfitta contro Virginia e, soprattutto, dopo la partita contro Duke il ragazzo ha tirato con un 1/14 dall’arco. Non esattamente un cecchino. Giocare bene contro i Blue Devils però garantisce una visibilità maggiore di quanto non facciano prestazioni meno brillanti contro Clemson, Boston College o Wake Forest e così le aspettative su Johnson per la stagione 2020-21 erano altissime.
La partenza, va detto, è stata lenta, il che sembra essere una costante della carriera di Johnson. Non è uno sprinter, questo è chiaro. Sembra più un diesel. Prime due gare e vittorie contro Evansville e Seton Hall, ma con prestazioni a dir poco opache per la PG dei Cardinals che, oltre ad apparire contratto, ha tirato con 1/6 dall’arco. Poi si è sbloccato e d’improvviso è riapparso su tutti i radar degli scout che lo tenevano d’occhio. Perché per l’appunto, se il tiro funziona, il resto del repertorio è già da top player.
Nelle successive 8 gare Johnson è esploso: quasi sempre in doppia cifra (15.5 di media) con 16/31 da tre, è stato nominato miglior giocatore ACC della settimana lo scorso 28 dicembre e ha mostrato quasi tutto quello che ci si aspettava da lui: leadership, presenza in difesa e a rimbalzo, passaggi e ovviamente punti a referto. Se le percentuali dalla distanza restano quelle attuali, la completezza e soprattutto il fisico di Johnson ne fanno materiale interessantissimo per i pro. Ecco il perché della sua presenza stabile nei primi 20 posti di quasi tutti i mock.
Un atleta che non ti aspetti
Nessuna fiammata, nessun momento da supereroe, pochi canestri spettacolari. David Johnson è uno di quei giocatori che incide sulle gare mattoncino dopo mattoncino.
Di recente, in un’intervista rilasciata a The Field of 68, l’ex compagno Ryan McMahon l’ha definito un athletic freak. I mezzi, insomma, ci sono. Ma li usa col contagocce.
Altezza ed elevazione si notano più a rimbalzo che in conclusioni acrobatiche. Quello seguente è il classico canestro “in scioltezza” di Johnson che sfrutta il fisico contro gli avversari. In questo caso è marcato da un signor difensore come Tyrece Radford di Virginia Tech, che però è “solo” 188 cm. Di canestri così, assolutamente poco da highlights, Johnson ne piazza almeno un paio a partita, alcuni anche in momenti clutch.
Il suo fisico e la sua visione di gioco lo rendono perfetto da schierare in post alto contro la zona, e non a caso la sua presenza tattica in campo ha garantito una vittoria comoda a Louisville in casa di Boston College.
Nel tiro da tre è migliorato sia nel catch-and-shoot che dal palleggio (e le due tipologie di conclusioni sono quasi equamente distribuite secondo Hoop-Math).
È in difesa però che la presenza di Johnson si fa sentire maggiormente, che sia sulle linee di passaggio, oppure a rimbalzo, o infine più semplicemente sulla palla.
Descritto da allenatori e compagni come “una mente del basket”, sempre concentrato e buon lavoratore, Johnson brilla per la sua capacità d’incidere in maniera silenziosa. Manca di picchi, motivo per cui a volte fa fatica a rimanere impresso, ma in compenso ha una solidità che altre presunte stelle non hanno.
Peraltro, la sensazione è che sia in costante crescita e che i margini di miglioramento, non solo al tiro, siano ancora ampi. Nonostante i mock lo indichino al primo giro, a meno di una corsa pazza nella March Madness (difficile da immaginare per una formazione giovane come Louisville), non è così certo che lascerà la squadra a fine anno per la Nba. C’è tempo, ai suoi ritmi, piano piano, per mettere in mostra altre qualità.