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Ethan Happ, il re del post old school

Ethan Happ- Wisconsin
Autore: Isabella Agostinelli
Data: 3 Dic, 2019

Con i suoi 1.000 rimbalzi e 2.000 punti, Ethan Happ sarà ricordato come uno dei migliori giocatori di Wisconsin e della Big Ten. Un prospetto arrivato a fari spenti che è emerso stagione dopo stagione, tanto da diventare una colonna portante dei Badgers e da essere nominato per il prestigioso Wooden Award per ben due volte. Happ è un centro old school, grande amante del post sia alto che basso, che usa molto il piede perno per virate e passi di incrocio e non tira mai da fuori area. Ma ha una grande capacità di ball-handling e un’ottima visione di gioco, non proprio caratteristiche comuni tra i lunghi di 2.08.

E non è un caso se dal suo arrivo, la Vanoli Cremona non ha più perso una partita e ha trovato un suo equilibrio. Siamo andati a conoscerlo meglio ed ecco cosa ci ha raccontato della sua ascesa nel college basket e del suo arrivo nel nostro campionato. Il tutto nel mezzo dei festeggiamenti per il Thanksgiving.

Quando ho letto la tua città natale (Milan), ho pensato per un attimo che fossi di origini italiane…e non sono stata l’unica, vero?
Sì, in molti pensano che lo sia: pensa che durante un camp, gli altri ragazzi si sono sorpresi quando hanno saputo che ero americano!

So che sei molto legato a questa città dell’Illinois e che ci tieni a sottolineare che sei di South Milan. Come mai?
Ho un legame speciale con la mia città natale, è vero: sottolineo sempre la giusta pronuncia e allo stesso modo ci tengo a dire che sono di South Milan per rispetto a tutte quelle persone che hanno sempre creduto in me quando ho mosso i primi passi nel basket, persone a cui tengo molto e che voglio ricordare in questa maniera.

E quella storia del “bean-bag boy”?
Ah! (ride) Davvero se ne parla ancora? Sì, è una storia divertente, sempre legata a Milan. Era una delle mie prime partite con Wisconsin e dovevo raggiungere il palazzetto. I miei genitori avevano dato un passaggio a degli amici super tifosi dei Badgers e alla fine non c’era posto per me nel van: mi sono ritrovato così nel retro sopra ad un sacco di fagioli. Immaginate un ragazzone di 2,08 accovacciato su un sacco di fagioli! Da lì questo soprannome che a South Milan, evidentemente, è ancora in voga.

Sei molto legato alla tua squadra di college: cosa hai trovato a Madison e cosa ti ha conquistato di quel programma tanto da farti prendere la decisione in appena 2 settimane?
Innanzitutto lo staff che mi avrebbe allenato. Dopo aver fatto il visiting, non vedevo l’ora di poter far parte di quel gruppo. L’ambiente che coach Ryan aveva creato intorno alla squadra era quello che faceva per me. Poi Wisconsin mi garantiva anche un programma accademico di alto livello e io non avrei potuto chiedere di meglio.

Ethan Happ in baglia Badgers

Ethan Happ in baglia Badgers

Parlando di coach Bo Ryan, vi aspettavate che si ritirasse a campionato già iniziato? 
No, devo dire che è stata una decisione che ci ha colto tutti di sorpresa, ma fortunatamente la transizione non è stata così traumatica tanto che l’anno dopo siamo arrivati fino alle Sweet 16.

E come è stato il passaggio a coach Gard?
Non so se posso parlarne. Naturalmente la visione dei due allenatori era diversa: Ryan è un allenatore, diciamo di “vecchio stampo” che ci faceva ripetere gli schemi fino a quando non erano perfetti e che rivedeva con noi movimento per movimento. Coach Gard invece ci lasciava più libertà.

Nella stagione 2014-2015 i Badgers hanno giocato la finale NCAA (persa contro Duke per 68-63, ad Indianapolis) ma tu eri un redshirt: che ricordi hai di quella partita?
Certo che avrei preferito giocare, ma ho ancora un bellissimo ricordo di quella partita: in fondo non capita tutti i giorni di poter assistere alle Final Four da bordo campo con in più dei ragazzi che sono tuoi amici.

 

L’anno 2017 – 2018 è stato difficile. In varie interviste hai detto che ti sei sentito responsabile nell’aver interrotto la striscia vincente di 19 partecipazioni al Torneo dei Badgers. Come mai ti sei accollato tutta questa responsabilità? In fondo come hai spesso detto, il basket è uno sport di squadra.
Essere un junior vuol dire ormai far parte della “upper class” e da qui derivano molte responsabilità. Devi essere una guida per le matricole e devi essere un punto di riferimento per gli altri in campo. Anche se il basket è un gioco di squadra, non è accettabile che il giocatore più forte del gruppo, come ero io in quel momento, non giochi secondo le sue possibilità. Per questo mi sono sentito responsabile di quel risultato mancato.

Ma per un ricordo triste, sicuramente ci sono state delle vittorie che ti porterai con te: qual è la partita più bella che hai giocato?
La vittoria contro Villanova – detentrice del titolo NCAA – per 65 a 62 che ci ha permesso di entrare nelle Sweet 16 nella stagione 2016-2017. Vincere quella partita con così poco margine è stata un’emozione unica.

 

Sei un centro un po’ particolare e, in realtà, quando hai iniziato a giocare eri una point guard. Come ha influenzato il tuo gioco il fatto di aver ricoperto questa posizione?
Sì, ho iniziato come point guard. Certo, ero molto più alto rispetto alla media dei giocatori che rivestono questo ruolo, ma avevo un ottimo controllo del pallone e riuscivo quindi a gestire bene il gioco. Non è un caso che anche da centro avevo delle percentuali molto alte negli assist.

 

Quante di queste capacità di “ball handing” sono dovute agli allenamenti di tuo padre?
Sicuramente gli allenamenti di mio padre mi hanno aiutato! Durante l’estate, prima di andare al lavoro, lasciava in garage una lista di esercizi che io e mio fratello dovevamo portare a termine prima che lui tornasse. Mio padre mi ha sempre spronato a fare meglio e mi ha dato le giuste motivazioni per migliorare. Volevo fare bene per essere meglio di lui: se lui riusciva a fare quegli esercizi, ci dovevo riuscire anche io e addirittura meglio. Erano allenamenti duri anche perché in Wisconsin l’estate è molto umida e non è affatto facile allenarsi sotto quel caldo asfissiante.

E quanto invece possono aiutare gli scacchi ad un giocatore di post basso e dalla spiccata intelligenza tattica come te?
Sì, io adoro giocare a scacchi e quando posso sfido sempre tutti. È un gioco che richiede di riflettere su ogni mossa, di prevedere le mosse dell’avversario in modo da non lasciare aperte vie comode. Esattamente quello che avviene in campo sotto canestro.

Nonostante i tuoi record in campo e la doppia nomination al Wooden Award, nella tua carriera hai sempre dovuto affrontare vari detrattori, sia al tempo dell’high school che al college. Come li hai affrontati?
Semplicemente concentrandomi solo su me stesso. Se a fine giornata o a fine partita sapevo di aver dato il mio meglio, poco mi importava delle critiche delle altre persone. Nel basket, l’unica cosa che importa è aver fatto il massimo per aiutare i tuoi compagni in campo e non essersi tirato indietro.

 

Sappiamo però che il tuo tallone d’Achille sono i tiri liberi e quelli da fuori area. Riesci a spiegarti il perché nonostante il duro lavoro e le ore in palestra rimangono ancora dei punti deboli?
Diciamo che stanno migliorando. Ora che ho iniziato la mia vita fuori da Wisconsin e ho iniziato a lavorare in maniera diversa, anche questi aspetti del mio gioco stanno evolvendo e inizio a vedere dei miglioramenti concreti. E questo vuol dire che devo continuare a lavorare su questa strada.

Ora sei in Europa: sei un giocatore dell’Olympiakos in prestito a Cremona. Come mai hai preso la decisione di venire qui nel Vecchio Continente?
Innanzitutto la proposta dell’Olympiakos. Quando un club di questo calibro ti chiama, non accettare sarebbe perdere una grandissima occasione. L’idea poi di poter fare il salto nel professionismo europeo era assai allettante e quindi ho accettato. Ora sono qui in prestito a Cremona e anche qui sono in un club molto ambizioso con il quale penso di poter fare grandi cose.

Happ - Olympiakos

E sembra che tu ti sia inserito bene in squadra: al tuo debutto nel campionato italiano ne hai messi 19 contro la Fortitudo Bologna nella vittoria per 80 a 73. Come è stato l’impatto con la serie A?
Certo è diverso dal basket giocato a livello di college, ma devo dire che mi sono inserito subito bene. Non solo in quella partita, ma anche nelle altre gare sono riuscito a dare un buon contributo in campo. Sono sicuro che potremmo fare qualcosa di buono!

Finiamo con una nota di colore: è vero che ti piace fare gli scherzi e che hai i video dei migliori che hai fatto? Raccontacene uno.
Verissimo! (Ride) Adoro fare gli scherzi! Qui in Italia mi sono ancora trattenuto, dato che sono appena arrivato e prima di iniziare vorrei conoscere meglio i miei compagni prima di passare all’azione. Ma arriverà il momento! Di solito metto loro paura uscendo dai posti più improbabili e riprendo tutto con il mio cellulare: ho decine e decine di video!

Perfetto Ethan, ti lascio festeggiare il tuo primo Thanksgiving italiano
Grazie! In realtà mi era già capitato di non festeggiarlo in USA, dato che per due volte ero impegnato nel ‘Battle 4 Atlantis‘ alle Bahamas. Ma qui a Cremona al momento è davvero bello: ci sono altri due americani in squadra e Saunders mi ha invitato a cena per condividere il tacchino come nella miglior tradizione statunitense. E io non posso che dire grazie per questa bellissima accoglienza.

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