Tre anni da protagonista a North Dakota, una laurea conseguita in tre anni e adesso il trasferimento ai piani alti del college basketball: quello di Filip Rebrača – sì, figlio di quel Rebrača – era uno dei nomi europei più interessanti nel transfer portal (probabilmente il più interessante di tutti) essendo un 4/5 con tanti punti nelle mani (16.8 punti, 7.6 rimbalzi, 1.2 assist di media da junior) e un repertorio offensivo pieno di soluzioni diverse.
Appena una settimana fa, ha scelto Iowa come sua prossima destinazione, e quindi abbiamo fatto quattro chiacchiere col talento serbo, toccando vari argomenti: la sua decisione, il suo impiego sotto la guida di Fran McCaffery, la telefonata con Luka Garza, il rapporto con papà Željko e, infine, anche un ricordo dei giorni passati in Italia.
Come prevedibile, avevi una lunga lista di università che ti hanno contattato appena sei entrato nel transfer portal. Quali aspetti ti hanno spinto a scegliere Iowa?
Ce ne sono tre. Uno, gli studi, ovviamente: essendo uno studente straniero, devo frequentare lezioni di persona per avere il diritto a rimanere negli Stati Uniti, e Iowa ha un master che mi offre questa possibilità. Per quanto riguarda la pallacanestro, volevo andare in una squadra con una cultura vincente. Iowa negli ultimi tempi ha avuto davvero una cultura vincente, con Luka Garza e tutto ciò che ha realizzato. Volevo far parte di una squadra competitiva e contribuire. Infine, volevo una squadra che potesse sviluppare ulteriormente le mie abilità perimetrali, che mi consentisse di tirare un po’ più di triple e di attaccare il canestro dalla linea. E questa è proprio la visione che ha coach Fran McCaffery.
Durante l’ultima stagione sei apparso in grado di aprire il campo: com’è stata la tua progressione come tiratore nel tempo?
Al primo anno ero stato reclutato come 4/5, quindi volevano che tirassi da fuori. Da sophomore, quando è arrivato il nuovo staff, ho giocato soprattutto da 5 e volevano che avessi una presenza pesante in post. Quindi non avevo avuto molte opportunità di tirare da tre e, quando le avevo, non ero continuo, non avevo confidenza col tiro. Poi quest’ultimo anno, perdendo parecchi senior, ho dovuto fare un passo in avanti e ricoprire un ruolo più grande in attacco. Ho creduto di non poter essere solo una presenza in area ma di dover essere anche costante come tiratore. Ho sempre pensato di saper tirare, è solo che da sophomore non ero nel sistema giusto per farlo.
Come immagini il tuo adattamento, dal punto di vista fisico, a una conference come la Big Ten? C’è già un piano di lavoro che il coaching staff ti ha dato per la offseason?
Giocando in una conference più fisica, dovrò mettere su peso. Adesso peso 225 libbre [102 kg, ndr], ma per essere efficace devo arrivare almeno a 230-235 [104-107 kg]. Non abbiamo ancora parlato di ciò che vogliono che io faccia durante l’estate. Dovrei arrivare lì a giugno, quindi ho tutto maggio per prepararmi mentre sono in Serbia. Però ne ho già parlato con mio padre e abbiamo un programma impostato per me. Quindi farò della preparazione per conto mio, ma poi restando in contatto col fisioterapista di Iowa.
Ti vedremo giocare più da 4 o più da 5?
Beh, non lo so. Coach McCaffery ha detto che, anche giocando da 5, non dovrei fare cose da 5 tradizionale. Vuole che faccia un po’ di tutto ed è per questo che mi hanno reclutato. Gli piace il fatto che possa giocare spalle a canestro, che sappia tirare, penetrare. Non dico che starò sempre fuori come un 4 ma ci saranno sempre momenti in cui giocherò in post basso.
Dopotutto in quel sistema c’era Luka Garza che giocava tanti possessi in pick and pop. E a proposito di Garza, quando hai dato notizia del tuo commitment lui ha immediatamente reagito in modo entusiastico su twitter. Hai avuto occasione di parlare con lui prima della tua scelta finale?
Sì, mi ha telefonato una decina di giorni prima del mio annuncio e abbiamo parlato per un buon quarto d’ora. Mi ha spiegato perché pensa che Iowa sia un grande fit per me e mi ha detto che, con lui che se ne va, la squadra ha bisogno di un giocatore esperto. È stata una bella chiacchierata. Gli ho chiesto del sistema di gioco e cose del genere: me l’ha spiegato molto bene e questo mi ha messo ulteriormente a mio agio nello scegliere Iowa alla fine.
Sempre a proposito di reazioni su twitter dei giocatori degli Hawkeyes, Joe Wieskamp ne ha avuta una molto diversa. C’è stata una polemica divertente…
Prima di tutto, non l’ho fatta io quella immagine. C’era gente su twitter che diceva “Almeno gioca a basket meglio di come usa photoshop”. Però non dico chi è stato perché non voglio fare lo scaricabarile [ride]. C’erano anche altri photoshop buffi fra i commenti. È stato divertente, stavamo solo cazzeggiando.
Ay bro it was on short notice 😂
— Filip Rebraca (@FRebraca) April 22, 2021
Facciamo un passo indietro. In uscita dalla prep school eri stato snobbato e North Dakota era la tua unica offerta di Division I…
L’unica in generale: non avevo offerte di D1, D2 o D3 eccetto quella.
Il che è strano, considerando che poi da freshman hai avuto impatto immediato. Come te lo spieghi?
Credo sia stato così perché avevo studiato in Inghilterra e avevo bisogno di passare alcuni esami: tecnicamente, senza quelli, avrei avuto solo tre anni di eleggibilità. Credo che molti coach si siano tipo detti “Viene da una prep school, è più vecchio di altri, vogliamo davvero un tizio che potenzialmente può giocare solo tre anni?”. Ma ho creduto in me stesso e nel fatto di poter passare quegli esami e, quando ci sono riuscito, ho riacquistato i miei quattro anni di eleggibilità. North Dakota è stata l’unica a darmi fiducia: mi hanno reclutato e qualche mese dopo sono usciti fuori i risultati di quei test.
Dani Mihailović è l’allenatore che ti ha dato quella chance. Com’è giocare al college negli Stati Uniti con un connazionale nel coaching staff?
Era ottimo avere una persona con la quale poter parlare ogni giorno nella propria lingua. Poi ci sono alcune famiglie serbe che vivono a Grand Fork, quindi a volte Dani e io andavamo a trovarli, a cenare con loro, mangiare piatti serbi e cose così. Rende più facile lo stare a migliaia di chilometri lontano da casa. Però sai, non erano gli unici, ho avuto alcuni compagni di squadra europei: Marko Coudreau, che è per metà francese e metà serbo, Davids Atelbauers dalla Lettonia e Gertautas Urbonavicius dalla Lituania. Era davvero ottimo avere questa sorta di connection Est Europea.
Tuo padre Željko ha avuto una grande carriera a suo tempo: com’è il vostro rapporto per quanto riguarda il basket?
È amore severo, diciamo. Fa complimenti solo quando faccio davvero del mio meglio o quando mi succede davvero qualcosa di buono. Ma anche se faccio una buona partita, lui mi dice tipo “Ehi, questo e quello potevi farlo meglio”. È sempre quello che mi riporta coi piedi per terra quando gli altri mi esaltano. Lo apprezzo veramente perché non tutti sono così. Ci sono volte in cui vuoi solo sentirti dire “Bel lavoro” ma penso che mi ha aiutato nello sviluppare gli aspetti mentali della pallacanestro, nel provare a spingermi oltre.
C’è un consiglio in particolare che ti ha dato e che ti è rimasto impresso?
Non direi che ce n’è uno solo. Sai, lui è il tipo tutto dedicato a lavorare duro e passare ore in palestra. Se passo quattro ore in palestra, lui ti dice tipo “Ah! Io oggi ne ho fatte sei”. Se ne passo sei, lui ne fa otto [ride]. Ecco, questa è una cosa che mi è rimasta impressa, che devo stare in palestra continuamente.
Tu sei nato in Italia quando tuo padre giocava a Treviso, ma hai vissuto nel nostro paese per un po’ di tempo alcuni anni dopo, quando aveva chiuso il capitolo NBA della sua carriera.
Sì, quando mio padre giocò per il Pamesa Valencia [nel 2007, ndr] aveva già una casa in Italia e quindi abbiamo passato un anno lì invece di andare in Spagna con lui. Amo l’Italia, vorrei saper parlare italiano: so leggerlo, ma quando qualcuno lo parla è un po’ troppo veloce per me. Lo stavo imparando, ma poi ci siamo trasferiti in Serbia. Ho davvero dei bei ricordi dell’Italia: la scuola, gli amici, il cibo. La mia cosa preferita di Treviso era una piccola gelateria. Il mio gusto preferito era la nocciola [dice proprio in italiano, ndr]. Quindi sì, ho ottimi ricordi dell’Italia.