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Fuori Alabama e Houston, reggono Texas e Creighton

San Diego State Alabama 2023
Autore: Paolo Mutarelli
Data: 25 Mar, 2023

Concluso il secondo turno di Sweet 16 è ufficiale che si tratta di una March Madness davvero speciale. Non era mai accaduto nella storia che nessuna testa di serie numero 1 del tabellone non arrivasse alle Elite Eight. San Diego State ha sfruttato la maggiore grinta per battere Alabama e Miami è stata chirurgica nello smantellare Houston. Texas procede in carrozza mentre Creighton fatica ma alla fine ha la meglio della cinderella Princeton

#5 SAN DIEGO STATE 71
#1 ALABAMA 64

Mai una squadra della Mountain West si era spinta fino alle Elite Eight. Due volte San Diego State aveva provato l’assalto in passato e due volte si era fermata alle Sweet 16. Non stavolta. Gli Aztecs hanno eliminato Alabama grazie alla solita difesa sfiancante che ha fatto impazzire Brandon Miller, autore di una partita pessima da 3/19 dal campo. Darrion Trammell imprendibile per la difesa di Alabama (21 punti per 9/15 dal campo), ma il mattoncino per SDSU è arrivato da tutti.

San Diego State si è imposta fin da subito. Alabama ha spinto sull’acceleratore ogni volta che ha potuto, ma in transizione gli Aztecs non le hanno mai permesso di entrare in area e far prendere ritmo ai tiratori a rimorchio. Ogni potenziale contropiede è diventato un attacco a difesa schierata che a sua volta tendeva a schiantarsi sotto canestro nelle fauci di un Nathan Mensah da 5 stoppate. Tantissimi errori, una lotta feroce a rimbalzo e, a navigare meglio in queste acque piene di braccia sono stati gli Aztecs, più esperti e più pronti. “We knew it was going to be hard. It was a dogfight. Very physical, i just took the opportunities they gave me” ha detto Trammell a fine partita.

Pessima la partita di Miller sin dall’inizio: due falli veloci e tanta fatica a entrare in ritmo, trovando solo due minuti di grazia con un paio di assoli a canestro e un assist al bacio. Per il resto, torna a casa con una collezione di ferri. Mark Sears è stato l’unico a pareggiare l’intensità di San Diego State, lottando come un leone indipendentemente dal gap fisico, ma i Crimson Tide non sono mai riusciti a trovare una continuità al tiro (3/27 da tre, il loro peggiore dato in stagione).

Nonostante questo, a metà secondo tempo Alabama sembrava avere la partita dalla sua (+9 toccato con 11:39 da giocare). Gli Aztecs però hanno risposto subito senza poi guardarsi mai indietro: parziale di 32-16 per spaccare definitivamente la partita trovando in Matt Bradley (zero punti fino a quel momento) la pedina giusta per chiudere la partita con sei punti negli ultimi tre minuti. A nulla è valso il tentativo di rimonta di Bama e così per la seconda volta coach Nate Oats sbatte contro il muro delle Sweet 16, mentre dall’altra parte Brian Dutcher arriva dove il suo mentore Steve Fischer non era mai arrivato con SDSU.

 

#6 CREIGHTON 86
#15 PRINCETON 75

Comunque vada, si farà la storia: questo il tema introduttivo della sfida fra Princeton – ultima vera Cenerentola rimasta in piedi – e Creighton. Sono stati i secondi vincere, ancora una volta con buonissima autorità, e dunque a raggiungere le Elite Eight per la prima volta nella storia del programma (ok, la seconda, ma l’altra fu nel 1941, in un’epoca lontanissima in cui il NIT era più importante del Torneo NCAA) tenendo alto il vessillo della Big East insieme a UConn.

I Tigers non hanno mai mollato, anche quando sono scivolati sul -16 a 12:33 dalla fine. C’è però da dire che, nonostante la gara sia stata per parecchio tempo in equilibrio nel punteggio (47-43 Creighton all’intervallo), hanno solo occasionalmente dato l’impressione di potersela giocare fino in fondo.

Due i motivi principali: ritmo e Ryan Kalkbrenner. Nel basket collegiale più che in ogni altro contesto, quando imprimi i tuoi ritmi preferiti sei già a metà dell’opera: Creighton, pur capace di ragionare, è andata giù con l’acceleratore sin da subito dando così vita a una gara scoppiettante e a punteggio alto. Princeton si è tenuta in scia, ma non è squadra da reggere un ritmo simile per 40 minuti, specie con avversari che hanno tirato altrettanto bene da tre (9 triple a testa) e con un’arma in più da lanciare vicino a canestro. Quell’arma è stata appunto Kalkbrenner, uno dei due ventellisti dei Bluejays (l’altro un Baylor Scheierman bello pimpante da 21 punti, 9 rimbalzi, 4 assist) con 11 punti per tempo usando un mix di taglia, leve, mobilità e tecnica indigesto per i rivali.

Per gli sconfitti, un’altra serata da applausi a scena aperta per tutti, in particolare Ryan Langborg (26 punti) e Tosan Evbuomwan (24 punti e 9 assist): quest’ultimo entrerà nel portal perché non si può giocare da grad student nella Ivy e, dopo la sua March Madness fenomenale, dovrebbe essere il transfer più ricercato delle prossime settimane.

 

#2 TEXAS 83
#3 XAVIER 71

Quando a metà stagione, il tuo coach viene arrestato i casi sono due: o la squadra reagisce e dà il meglio di sé, o si disunisce e addio sogni di gloria. Barrare la prima casella per Texas che batte Xavier più facilmente di quanto dica il punteggio, anche senza uno dei suoi uomini migliori. Inizia Marcus Carr nel primo tempo, proseguono Dylan Hunter e Sir’Jabari Rice nella ripresa, la difesa c’è sempre ed ecco che alle Elite Eight arriva almeno una delle favorite di inizio torneo per la vittoria finale.

Dylan Disu prova a giocare i primi 2 minuti e poi lascia il campo per l’infortunio al piede rimediato contro Penn State ma la sua assenza non si sente troppo primo perchè Jack Nunge non sfrutta i suoi 7 piedi e sbaglia tutto quello che può sbagliare e secondo perché dalla panchina si alza Christian Bishop che gioca un’ottima gara. Ma non è solo Nunge a non segnare mai, è tutta Xavier che proprio la palla nel canestro non riesce a metterla, un po’ per la buona difesa dei Longhorns e un po’ perché non è davvero serata. A Texas, invece, entrano anche cose impreviste come questa

Ci vogliono quasi 25’ minuti per vedere il primo canestro dal campo di Souley Boum, cioè il miglior giocatore dei Musketeers, segna solo Adam Kunkel che però perde la calma sommerso dal trash talking di Sir’Jabari Rice e cerca di terminarlo con un fallo antisportivo che porta Texas sul +23 a metà secondo tempo. E partita definitivamente finita, con il coach per caso Rodney Terry che riporta i Longhorns alle Elite Eight dopo 15 anni.

#5 MIAMI 89
#1 HOUSTON 75

A un certo punto veniva da chiedersi: ma davvero Houston era una squadra da testa di serie numero 1? In casa Cougars non ha funzionato niente, in particolar modo la difesa. I ragazzi di coach Kelvin Sampson abituati a tenere gli avversari intorno al 36% al tiro si sono trovati bombardati da Miami che ha avuto in Nijel Pack l’eroe della serata: 26 punti con 7/10 da tre e soprattutto una fiammata nel secondo tempo che ha distrutto le velleità di rimonta di Houston.

 

La partita però non si spiega solo con l’ottima percentuale dall’arco degli Hurricanes (44% con 11/25 alla fine) e lo dimostrano le sole 6 palle perse alla fine del match (1 sola all’intervallo) contro una delle difese più toste della nazione. Miami è risultata più energica, più preparata, più concentrata, in tutti gli aspetti del gioco. Fondamentale ancora una volta il lungo-non-lungo Norchad Omier, con 12 punti ma 13 fondamentali rimbalzi contro una squadra che in teoria avrebbe dovuto farlo a fette. Ma tutti i Canes nel complesso, da Isaiah Wong a Jordan Miller, hanno portato il loro contributo con 5 uomini in doppia cifra alla fine.

Houston è stata tutta “in teoria” perché nella pratica non ha stritolato nessuno in difesa e in attacco si è concentrata quasi ossessivamente sul tiro da tre. I Cougars hanno tentato 31 tiri dall’arco contro una media di 22 a gara realizzando conil 29%. Due veterani come Marcus Sasser e Jamal Shead sono sembrati da subito nervosi, Tramon Mark poco incisivo. L’unico a provarci davvero è stato Jarace Walker (i cui 16 punti però sono frutto di un 4/16 complessivo al tiro) che oltre ai punti ha portato anche 11 rimbalzi e 5 assist, zero perse e 4 stoppate.

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