Nelle ultime 48 ore, il rincorrersi di notizie legate al mondo del college basket – ma non al campo – è stato semplicemente folle: il possibile (ma forse non così probabile) ritorno in campo di Michael Porter Jr., l’ineleggibilità di Allonzo Trier dopo un controllo anti-doping (si tratta forse del residuo di una sostanza assunta inconsapevolmente oltre un anno fa) e, infine, gli avvocati della Ncaa che, in una causa aperta dall’ex atleta Poppy Livers, pretendono di rifarsi a un brano del 13/o Emendamento – quello che abolì la schiavitù – per giustificare il diritto delle università di non pagare gli studenti-atleti: peccato, però, che tale passaggio si riferisca esplicitamente al lavoro dei detenuti.
Abbiamo detto “infine”? Scusate, quasi dimenticavamo: poco dopo questa sequenza impressionante, sono spuntati fuori Pat Forde e Pete Thamel a deviare di netto il vento delle discussioni. I due giornalisti di Yahoo! Sports, infatti, hanno passato in rassegna centinaia di documenti prodotti dalle ormai note indagini FBI (diventate di dominio pubblico lo scorso settembre, ma portate avanti da anni) e divulgato una gran quantità di nomi e cognomi di giocatori che avrebbero ricevuto pagamenti illeciti da Christian Dawkins dell’agenzia ASM Sports. Parliamo d’oltre 20 università toccate dall’inchiesta e almeno 25 giocatori.
Tanti nomi noti
Alcune delle cifre più grandi si trovano fra quelle riportate in un estratto conto datato 31 dicembre 2015 e che riporta la dicitura “Prestiti ai giocatori”. Affiancando questo ad altri documenti vagliati dai due giornalisti, abbiamo una lista dei destinatari beneficiati in maniera più generosa:
- Dennis Smith Jr., ex NC State: 73.500 $
- Isaiah Whitehead, ex Seton Hall: 37.657 $
- Bam Adebayo, ex Kentucky: 36.500 $
- Tim Quarterman, ex LSU: 16.000 $
- Diamond Stone, ex Maryland: 14.303 $
- Markelle Fultz, ex Washington: 10.000 $
- Kyle Kuzma, ex Utah: 9.500 $
Ci sono però anche altri nomi eccellenti che risultano fra le spese di Dawkins, fra giocatori tutt’ora al college e altri passati al professionismo: Eric Davis (Texas), Bennie Boatright e Chimezie Metu (USC), P.J. Dozier (ex South Carolina), Edmond Sumner (ex Xavier), Fred VanVleet (ex Wichita State), Jaron Blossomgame (ex Clemson).
A volte, sono i genitori dei giocatori a essere destinatari delle somme, come nei casi delle madri di Josh Jackson (ex Kansas) e Miles Bridges (Michigan State).
Fra le spese, figurano alcune cene tenute da Dawkins con dei giocatori. Si parla di somme piccole, ma pur sempre al di fuori delle regole Ncaa. Fra i nomi più noti, troviamo Collin Sexton (Alabama), Wendell Carter (Duke), Kevin Knox (Kentucky), Justin Patton (ex Creighton), Malcolm Brogdon (ex Virginia), Monte Morris (ex Iowa State). A questo capitolo, sono menzionati anche Tom Izzo e, in via generica, “dei coach di Villanova”.
La bomba Sean Miller
Alcune ore dopo l’articolo di Forde e Thamel, è sopraggiunta la rivelazione-bomba di Mark Schlabach, cronista di ESPN: gli investigatori FBI sarebbero in possesso di alcune intercettazioni telefoniche in cui Christian Dawkins discuteva d’un pagamento ingente (100.000 $) con Sean Miller, coach di Arizona. Oggetto della trattativa: assicurarsi l’arrivo di DeAndre Ayton in quel di Tucson.
Ciò proverebbe in maniera inconfutabile il coinvolgimento attivo di Miller negli affari del suo assistente Book Richardson, già accusato di sei diversi reati e che rischia fino a 60 anni di carcere.
Ingredienti per il caos
Sul fronte dei diretti interessati, cioè le università, per ora tutto tace, o quasi. Chris Mack, coach di Xavier, è finora l’unico ad aver risposto alle domande poste da Yahoo!, negando di avere alcun rapporto con l’agenzia ASM.
Toccando una gran quantità di giocatori e college, che va al di là di quella riassunta qui, possiamo cominciare a intravedere la portata di questo scandalo: potenzialmente, è enorme. Sul fronte della giustizia sportiva, potremmo tranquillamente assistere a una serie di mannaie calate, come nel caso di Louisville. Una cosa è certa: siamo solo all’inizio.
The NCAA has no one to blame but themselves. Their greed created this underground economy.
— Jemele Hill (@jemelehill) 24 febbraio 2018
Mark Emmert, presidente della Ncaa, subito dopo la pubblicazione del pezzo di Forde e Thamel, ha dichiarato: “Queste accuse, se vere, indicano delle mancanze sistematiche che vanno riparate, e che vanno riparate adesso se vogliamo che continui a esistere lo sport al college in America. Detto semplicemente, la gente che ha questo tipo di comportamenti non ha spazio nello sport universitario. Sono un affronto verso tutti quelli che giocano secondo le regole”.
Già, le regole. C’è da chiedersi quale sia il senso del continuare a parlare di mele marce, quando è il cesto stesso a produrre l’infezione. Il dilettantismo voluto dalla Ncaa è tanto ipocrita quanto dannoso per lo sport di cui vorrebbe farsi promotrice. I coach più in vista guadagnano milioni e gli accordi televisivi creano profitti enormi – parliamo di 13.5 miliardi di dollari per i prossimi 14 anni – che finiscono in tasche disparate, tranne quelle dei protagonisti sul parquet, i quali invece devono tremare per dettagli, come il farsi pagare una cena al ristorante o partecipare al torneo della parrocchia.
Non sono tanto e non solo gli strumenti d’indagine e prevenzione della Ncaa a dover cambiare. Piuttosto, sono le fondamenta dello sport universitario a doversi evolvere, cioè includere e codificare il business che ruota attorno al college basket e permettere ai giocatori di poter trarre un qualche profitto dal giro di affari di cui sono il motore.