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Italiani in NCAA, recap di metà stagione

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 28 Dic, 2018

La non-conference season volge al termine per quasi tutti i 12 italiani del college basket: ecco un breve riepilogo della loro prima metà di stagione.

 

Pietro Agostini

Kennesaw State (3-10) – 5.8 minuti, 1.1 punti, 0.8 rimbalzi

Spazi ridottissimi (in una squadra in difficoltà) per il freshman triestino, un lungo la cui arma principale consiste nel tiro da tre ma che, suo malgrado, si ritrova in una delle formazioni che meno di tutte ricorre a questa soluzione (penultima in D1 per tentativi da tre a partita). Dietro le quinte, Al Skinner lo fa lavorare per farne un lungo capace di difendere sulle guardie, nonostante i suoi 2.10 metri d’altezza. Il suo impiego potrà mutare solo se il coach cambierà piani in corsa, il che appare difficile.

 

Micheal Anumba

Winthrop (7-4) – 22.6 minuti, 7.5 punti, 3.9 rimbalzi, 1.5 assist

Discreto inizio di stagione per la matricola reggiana, titolare sin dal primo giorno in una Winthrop small e da corsa. C’è da lavorare sulla pericolosità perimetrale (21.1% da tre) ma la combo guard, nel complesso, sta figurando bene in un contesto che gli chiede di sacrificarsi difendendo spesso su 4 veri e propri. Gli Eagles, intanto, sono reduci da una vittoria esterna tutt’altro che scontata sul campo di Southern Illinois e appaio pronti a competere per un posto al vertice della Big South, Radford permettendo.

 

Francesco Badocchi

Virginia (11-0)

L’ala milanese ha esordito in Division I pochi giorni fa dopo una lunga pausa dall’attività agonistica per motivi di salute. Nulla lascia presagire un impiego che vada al di là del garbage time nella seconda parte della stagione. Frankie è però sano, abile e arruolabile adesso: questa è la cosa conta di più.

 

Guglielmo Caruso

Santa Clara (7-6) – 18.8 minuti, 4.9 punti, 3.7 rimbalzi, 1.0 assist

Il lungo napoletano ha da poco conquistato un posto nello starting five dei Broncos sfoggiando alta efficienza realizzativa (14/18 da due nelle ultime quattro gare), una difesa discreta (pur ancora molto fallosa) e giocando esclusivamente in low post. La striscia aperta di 4 vittorie consecutive (fra cui una a sorpresa con USC) concede un po’ di ottimismo, ma solo un po’: la stagione nella West Coast si preannuncia comunque difficile e sembra improbabile che la squadra possa piazzarsi nella metà alta della classifica.

 

Mattia Da Campo

Seattle (11-3) – 4.0 minuti, 0.9 punti, 0.8 rimbalzi

Spazi pressoché assenti per l’ex Stella Azzurra, impiegato solo una volta con un minutaggio in doppia cifra. Nel frattempo, i Redhawks vanno a gonfie vele e nulla lascia pensare che Jim Hayford possa voler ritoccare le attuali (e ristrettissime) rotazioni della squadra.

 

Giovanni De Nicolao

UTSA (5-7) – 28.5 minuti, 7.1 punti, 4.1 rimbalzi, 3.2 assist, 1.8 recuperi

Il timoniere dei Roadrunners porta sempre il suo mattoncino in difesa e in regia (anche se il suo rapporto assist/perse è leggermente più basso che in passato) ma sta vivendo un periodo difficile dal punto di vista realizzativo: a cronometro fermo è più affidabile (74.2%) ma non segna una tripla addirittura dal 12 novembre (2/21 in totale). La coppia Jackson-Wallace produce oltre 38 punti a partita ma UTSA ha bisogno anche di migliori percentuali da parte di Gio.

 

Ethan Esposito

Sacramento State (6-3) – 17.1 minuti, 10.8 punti, 6.6 rimbalzi

Il giocatore più sorprendente della truppa italiana: al primo anno in Division I, l’ala napoletana è un sesto uomo di lusso (terzo realizzatore della squadra) nel roster degli Hornets e uno dei rimbalzisti più efficaci che si possano trovare sui due lati del campo. La sua Sac State ha cominciato bene la stagione ma ora la attende un inizio di conference season davvero tosto: 4 trasferte nelle prime 6 gare fra cui una visita proibitiva in casa di Montana, la favorita della Big Sky. Le reali possibilità di fare da dark horse della conference passano in gran parte dal numero di colpi che sapranno mettere a segno da qui a metà gennaio.

 

Alessandro Lever

GCU (7-5) – 22.8 minuti, 13.9 punti, 4.3 rimbalzi, 1.0 assist

Un andamento un po’ a singhiozzo ma è reduce da due buone prestazioni (17 con Northern Iowa, 26 con Mississippi Valley) e i rimproveri di Dan Majerle non sono nient’altro che proporzionali alla fiducia che ripone nel bolzanino. “Feed the big fella” è la ricetta del coach per far funzionare un attacco che comunque non manca di validi “sidekick” al fianco dell’ex Reggio Emilia. Gli alti e bassi di Lever sono stati anche quelli di una GCU che non ha ancora espresso tutto il suo potenziale. New Mexico State sta sempre un passo avanti a tutte e occorrerà dare una svolta decisa già da adesso per tenerle testa (ed evitare di farsi sorpassare a destra da Seattle).

 

Davide Moretti

Texas Tech (10-1) – 27.2 minuti, 8.7 punti, 1.6 rimbalzi, 2.6 assist

L’urto contro Duke si è fatto sentire ma il Moro – unico italiano titolare in una high-major – ha avuto una stagione positiva fin qui. Molta fiducia da coach Beard (terzo per minutaggio nella squadra) e un unico vero neo: un tiro da tre in cui può e deve fare meglio (33.3% in stagione, 3/12 nelle ultime cinque partite). Texas Tech è agevolmente da “podio” nella Big 12 ma ci sarà bisogno anche delle sue triple per battere la concorrenza – sempre agguerritissima – all’interno della conference.

 

Pierfrancesco Oliva

Saint Joseph’s (6-5) – 23.6 minuti, 5.2 punti, 7.7 rimbalzi, 2.4 assist

L’inizio roboante con Old Dominion (17 punti e 14 rimbalzi) sembrava poter prefigurare un Checco più scorer del solito ma, col passare delle gare, il suo ruolo offensivo è tornato a essere quello per lui più classico di playmaker aggiunto, mentre in difesa garantisce un solidissimo contributo sotto i tabelloni (9° in Division I per Defensive Rebounding Percentage) in una squadra che lascia solo le briciole agli avversari in quanto a seconde opportunità. Gli Hawks hanno avuto i loro alti e bassi ma l’inizio soft nell’Atlantic 10 potrebbe agevolarli nell’arrivare alle partite più toste (Davidson e Saint Louis a metà gennaio) senza pressioni eccessive.

 

Federico Poser

Elon (4-9) – 13.0 minuti, 4.4 punti, 2.7 rimbalzi

Poche cose, ma fatte bene. In quanto a minuti in campo, l’utilizzo del lungo ex Treviso non è stato costante ma si è quasi sempre fatto trovare pronto nella metà campo offensiva. La sua ottima capacità nel farsi innescare in area può tornare utile a Elon ma, complice alcuni infortuni, la squadra sta facendo molta fatica e rischia di rimanere sul fondo della Colonial per il secondo anno consecutivo.

 

Gabriele Stefanini

Columbia (3-8) – 30.3 minuti, 13.9 punti, 4.0 rimbalzi, 4.0 assist, 1.7 recuperi

La sua sfuriata da 33 punti contro FIU è solo la punta dell’iceberg. L’ex BSL e Reggiana sta emergendo negli equilibri interni della squadra anche a causa dell’assenza forzata del go-to-guy Mike Smith (out per il resto della stagione). I Lions, pur perdendo, hanno fatto bella figura sui campi di Boston College e Rutgers, con un Gabe tanto appannato in fase realizzativa (5/24 dal campo) quanto superlativo nelle vesti di direttore d’orchestra (11 assist con gli Eagles, 8 con gli Scarlet Knights) in una squadra che sta dimostrando di poter giocare un buon basket anche senza la sua prima punta (o forse, proprio in ragione della sua assenza). Con un po’ più di equilibrio di rendimento fra i diversi aspetti del gioco d’attacco, Stefanini può davvero imporsi al top del suo ruolo all’interno della Ivy League.

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