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Filipowski freshman meraviglia: le pagelle della Week 4

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 5 Dic, 2022

A Duke c’è Kyle Filipowski a far brillare gli occhi. ‘Piccole’ high-major crescono: Maryland, Nebraska, Utah. Le pagelle della Week 4.

 

Settimana di rivincite: Maryland, Nebraska, Utah. Settimana eccellente per tre high-major poco abituate a sorridere. Kevin Willard già si candida a Coach of the Year e sembra aver portato con sé la bacchetta magica a Maryland: record 8-0 e già tre vittorie in tasca contro squadre in Top 40 su KenPom dopo un altro successo convincente (71-66 su Illinois). Sempre nella Big Ten, Nebraska sembra mettersi alle spalle l’etichetta di squadra matersso strappando una vittoria memorabile sui cugini di Creighton: difesa solida (53 punti concessi a quello che dovrebbe essere un attacco top), Sam Griesel perfetto in regia e Derrick Walker immarcabile sotto canestro. Infine c’è Utah che sembra tutt’altra squadra rispetto a quella della prima complicatissima annata targata Craig Smith: vittoria di 15 su Arizona, surclassata sul piano dell’intensità, e poi un successo all’OT in casa di Washington State.

 

Kyle Filipowski (Duke). Nel complicato inizio dei freshmen di Duke, lui risponde presente in ogni santa serata. Non sarà esplosivo, non sarà luccicante, ma la sua doppia dimensione offensiva, in post e dal perimetro, lo rende spesso un mismatch ostico per le squadre che giocano con un solo lungo. Le piccole ali di Ohio State e Boston College hanno fatto la stessa brutta fine: bullizzate spalle a canestro dal lungagnone con il numero 30.

Jesse Edwards (Syracuse). L’unico uomo sempre in piedi degli Orange, che hanno tirato un sospiro di sollievo vincendo di un pelo a Notre Dame. Il centro olandese è stato inarginabile intorno al canestro (22 punti e 14 rimbalzi), mettendo a nudo i limiti del frontcourt Irish col suo mix di taglia e agilità. Era stato l’unico da salvare nelle magre figure dei suoi con Bryant e Illinois e la sua media rimbalzi nelle ultime tre gare è da videogioco: 17.7.

 

Yuri Collins (Saint Louis). Uno che fa sembrare gli altri floor general dei soldati semplici: 34 (TRENTAQUATTRO) assist smazzati in due partite. I Billikens non hanno steccato quasi mai fin qui (7-2 perdendo solo con Auburn e Maryland) proprio grazie alla loro point guard. Doppia doppia punti/assist di media in stagione (11.6 e 11.9), Assist Rate allucinante (52.7) e anche poche perse (3.1) per uno che gestisce tutti quei palloni.

Rutgers. L’ammazza-grandi. Si, sono anni che lo sentite, ma è vero. Hanno smantellato in casa un’euforica Indiana grazie alla loro solita difesa. Con questa fanno 9 vittorie consecutive contro gli Hoosiers, ma soprattutto la 10a in 13 incontri contro squadre della Top 25 dal 2019 ad oggi. Un record praticamente unico con i Scarlet Knights che quando vedono l’hashtag e un numeretto accanto diventano la UCLA di John Wooden.

 

Hunter Dickinson (Michigan). Non gli si poteva chiedere di vincere la sfida a rimbalzo con Oscar Thsiebwe, ma ha fatto una figura ottima (più nel primo che nel secondo tempo) nell’onorevole sconfitta londinese con Kentucky. 23 punti, 9 rimbalzi, 3 stoppate mostrando la qualità e il mestiere di cui è capace, anche dinanzi a marcature serrate. I Wolverines sono ancora un po’ difficili da decifrare, ma possono dire la loro con un Dickinson così.

GG Jackson (South Carolina). I Gamecocks fanno fatica a stare sopra il 50% di vittorie, ma se ne ha vinte così tante il motivo è GG Jackson. Contro Georgetown l’ha vinta da solo: dopo un orrendo primo tempo da 0 punti, nel secondo ha suonato la carica con isolamenti in post e spin move sotto canestro, ma anche con triple, invenzioni per i compagni e rimbalzi. Per essere un 17enne in una squadra in ricostruzione non c’è male.

 

Baylor. Asfaltata impietosamente da Marquette ma poi capace di gettare il cuore oltre l’ostacolo con Gonzaga. Baylor ha fatto di tutto per non chiudere la settimana 0-2 dopo una tranvata al Fiserv Forum che si ricorderanno in molti. Keyonte George e Adam Flager hanno però sistemato una complicata guerra tra disperati coi Bulldogs. Ancora poco per i Bears, messi alle corde dalla difesa fisica di Gonzaga. Ma il talento per risolvere le partite c’è.

Tyree Appleby (Wake Forest). Sulle montagne russe con WF, dall’esaltante vittoria con Wisconsin alla disfatta con Clemson. I Deacons hanno un collettivo che promette bene (menzione speciale per Cam Hildreth che ruba cuori) ma non è un caso che le due giornate su poli opposti del vecchio Appleby siano coincise con risultati del genere: immarcabile coi Badgers (32 punti, 11/16 dal campo), coniglio bagnato coi Tigers (8 punti, 3/13 al tiro).

 

Arizona. Dal sole di Maui al deserto dello Utah, il cambio di scenario in campo e fuori è stato alquanto brutale per i Wildcats. Scialbi e passivi nella prima gara di Pac-12, quasi irriconoscibili. Tommy Lloyd l’ha presa con filosofia, sapendo che una sconfitta del genere a inizio stagione può insegnare cose utili. E un po’ lo si è già visto con Cal, anche se non è stata una vittoria scintillante. Piccola battuta d’arresto, ma nulla di preoccupante.

JJ Starling (Notre Dame). A South Bend, l’esperienza e la spina dorsale ci sono. Chi alza la qualità invece va e viene. Parliamo del freshmen JJ Starling: mai una palla buttata o una decisione affrettata nella vittoria contro Michigan State, ma anche tutti i limiti ben esposti dalla zona di Syracuse, che ha intasato l’area e l’ha lasciato tirare da tre (1/13 in queste due partite). Se gli Irish vogliono un altro viaggio al Torneo, il salto di qualità passa da lui.

 

Creighton. Perdere in casa di Texas – specie questa Texas stellare – ci sta, eccome. Perdere invece in casa contro Nebraska, rivale sostanzialmente dominata per anni, mica tanto. Va dato credito ai Cornhuskers, l’abbiamo detto, ma i Bluejays oggettivamente sono apparsi troppo superficiali e passivi in attacco, specie nella prima metà della ripresa. È mancata la mentalità da squadra in Top 10, problema già visto in altre versioni quotate di Creighton.

Jared Bynum (Providence). Doveva essere il trait d’union di due vincenti ma diverse versioni di Providence, invece sembra il cugino scarso di quello visto lo scorso anno. Inesistente contro TCU con Mike Miles che l’ha azzannato al collo in entrambe le metà campo (solo due punti per lui), poi contro l’orrida Rhode Island lascia il palco a Bryce Hopkins e Noah Locke. Per spuntarla in una Big East molto equilibrata, serve un altro Bynum.

 

North Carolina. L’avevamo detto in tempi non sospetti, cioè alla prima settimana, che non fosse la vera #1. Ora non è nemmeno da Top 25. Le sconfitte accumulate fin qui sono tutte arrivate lontano da casa contro delle Top 40 di KenPom, ma sono pur sempre quattro L consecutive sul groppone. Ha l’occasione di raccogliere i pezzi con Georgia Tech e The Citadel adesso. Poi da metà dicembre il calendario torna a farsi impegnativo.

Stanford. Il talento c’è, il manico no. Siamo a dicembre e la panchina di Jerod Haase è già pericolante dopo due sconfitte nella prima settimana di Pac-12 che si sommano ad un pessimo inizio di stagione. Un talento Nba come Harrison Ingram non valorizzato, un’insensata panchina punitiva per Isa Silva contro Arizona State e soprattutto la mancata esplosione del sophomore Maxime Raynaud. I Cardinals fanalino di coda non ce li aspettavamo proprio.

 

Un Big 5 parecchio small. Le rivalità sono il sale del college basketball e quella di lunga durata che coinvolge le università di Philadelphia – Villanova, Saint Joseph’s, Temple, Penn, La Salle – è quella dal fascino più unico. Roba del passato, purtroppo. In settimana si è visto lo spettacolo più triste: un doubleheader a The Palestra, cattedrale dello sport, disertato dal pubblico. Chi ha organizzato la cosa probabilmente è rimasto indietro d’un decennio o due, perché è sconvolgente sopravvalutare l’appeal di un doppio scontro senza Nova di mercoledì fra pomeriggio e sera, a prezzi poco accessibili. Non aiuta il fatto che le quattro squadre in questione siano mid-major nel limbo quest’anno: per nulla scarse, ma nemmeno ambiziose. La dura verità però è che la disaffezione odierna verso le sfide del Big 5 appare più come il risultato di una tendenza che dura da alcuni anni.

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