Ce l’ha fatta, coach Tom Izzo ce l’ha fatta. Con una sola vittoria ha spazzato via le voci di chi lo dava per finito, di chi sosteneva avesse perso il tocco magico. Con una vittoria ha sconfitto sia i fantasmi, visto che Michigan State non arrivava alle Final Four dal 2015 sia la sua nemesi, quel coach K e quella Duke che era riuscito a battere solo una volta su 12 incontri in carriera.
“Questa è la squadra più tosta che io abbia mai allenato“, ha detto Izzo dopo la vittoria contro i Blue Devils. Si potrebbe fargli notare che si tratta di un commento che ha fatto spesso dopo grandi partite, e che tante sue squadre del passato sono state da lui definite “le più toste”, ma in questo caso soprassediamo perché questa Michigan State ha davvero qualcosa di particolare.
Cosa? Giocano di squadra. Non ci sono superstar, ma si passano il pallone, lottano, difendono, si buttano. Per capire come e quanto le responsabilità siano condivise basta vedere l’ultima giocata, in uscita dal timeout, che ha portato alla tripla della vittoria contro Duke. Cassius Winston, primo quintetto Ncaa, mvp della Big Ten e palesemente miglior giocatore in campo fino a quel momento, che fa un blocco verticale per Kenny Goins, che esce sul perimetro, riceve e prende una tripla liberissimo. Goins è un mezzo lungo (2 metri) che in stagione ha il 35% da 3 punti. Non un tiratore scarso, ma nemmeno un cecchino.
Il punto è che quella tripla non è stata presa a caso, è stata disegnata per Goins e non per Winston. Tutta Duke (e tutti gli spettatori) si aspettavano un tiro della star e invece gli Spartans hanno optato per un buon tiro, una tripla aperta, un tiro migliore di quello che avrebbe preso Winston, osservato speciale della difesa avversaria. Ecco qui il dato che crea problemi a chi li affronta: oltre il 67% dei canestri di Michigan State provengono da assist, il che li rende pericolosissimi e difficilissimi da difendere. Non designano un leader che si carica la squadra sulle spalle, ma fanno tirare chi è più libero.
Coach Izzo, che storicamente ha allenato squadre di mastini in difesa, è dagli anni 2000 che non ha tra le mani una formazione così forte su entrambi i lati del campo. Allora però nel roster c’erano giocatori chiaramente da Nba come Mateen Cleaves, Jason Richardson, Charlie Bell, Morris Peterson o Zach Randolph. Oggi il fenomeno è Winston, che sicuramente verrà valutato dalle squadre del piano di sopra, ma che probabilmente non entrerà dalla porta principale con un tappeto rosso srotolato. Anzi.
Michigan State versione 2018-2019 è pura classe operaia. Sono davvero degli spartani, che peraltro lottano dall’inizio dell’anno anche contro la sfortuna. Joshua Langford, la guardia titolare, che aveva iniziato la stagione alla grande, dopo 13 partite ha dovuto lasciare la squadra per una frattura da stress al piede. Kyle Ahrens invece il 17 marzo, nel corso della finale del torneo della Big Ten contro Michigan, si è infortunato alla caviglia. Uno di quegli incidenti che fa stare male quando si riguarda il video, coi compagni di squadra in lacrime. Ma la squadra ha fatto quadrato.
Solo Purdue quest’anno è riuscita a batterli di 10 punti (beccando una serata da 12/28 da 3), per il resto nessuna squadra che li ha sconfitti è riuscita a schienarli. Due partite perse in overtime (Louisville e Indiana) e le altre 3 perse con uno scarto medio di 3 punti. Duke alle Elite Eight nel primo tempo ha messo a segno un parziale di 12-0 che avrebbe ammazzato un toro. Nessun problema, contro-parziale di 11-0 e si riparte da capo. Non li sfianchi, non li abbatti, se vuoi vincere devi sudare fino alla fine.
Tutto ruota intorno al junior Winston, che è pura intelligenza cestistica. Che sa crearsi un tiro sia in sospensione (oltre il 40% da 3) sia in penetrazione, ma lo fa solo se necessario. Per il resto detta i ritmi, distribuisce assist e nel tempo perso difende come un mastino sulle PG avversarie (chiedere a Tre Jones). L’altra guardia titolare è il senior Matt McQuaid, un 3&D versione college, cui vengono affidati gli avversari più tosti sul perimetro e a cui viene chiesto sostanzialmente di colpire dall’arco (42.2% da 3), ma che sa attaccare con decisione i closeout avversari (anche con creatività).
Il freshman Aaron Henry è l’astro nascente, una guardia-ala che sfiora i 2 metri, cui manca solo un tiro da 3 affidabile per entrare nei radar della Nba, ma che resta un atleta pazzesco, capace di cambiare contro chiunque e di segnare inventando. Sotto canestro ruotano invece 3 giocatori. Il senior Goins e il sophomore Xavier Tillman (203 cm) sono uno il 4 e l’altro il 5, il primo con il compito di aprire le difese, il secondo con quello di chiudere su ogni penetrazione e spazzare i tabelloni. Il mix complessivo funziona, visto che Michigan State è la squadra del Torneo che concede la peggior percentuale da 2 agli avversari, facendo meglio anche di una macchina difensiva come Texas Tech. Il cambio di Goins e Tillman è Nick Ward, un lungo di grandissimo talento che a inizio anno partiva titolare ma che ora gioca con un mezzo infortunio alla mano. Le statistiche dicono che con lui in campo gli Spartans perdono qualcosa in efficacia, eppure sotto canestro Ward dà la sensazione di potersi sempre prendere un tiro contro chiunque.
Ruotano in sei, con l’aggiunta di qualche comparsata del freshman Gabe Brown (che comunque ha segnato 15 punti con 4/6 dal campo alle Sweet 16 contro LSU). Sono tosti e compatti, difendono e si passano il pallone e hanno un allenatore già entrato nella Hall of Fame. Per Texas Tech non sarà una passeggiata.