Colpo gobbo di Houston a Kansas per rimanere imbattuta in conference, ma c’è anche la SEC che trova sempre il modo di far parlare di sé. Le pagelle della Week 12.
J’Wan Roberts (Houston). I 24 punti a referto sono la cosa più ininfluente (per modo di dire) della sua partita, visto quanto è stato decisivo nel finale. Roberts è l’emblema di questa Houston: continua, inscalfibile e imbattibile in Big 12. Lo scoglio Kansas e Allen Fieldhouse (dove hanno rimediato l’ultima sconfitta in Big 12 circa dodici mesi fa) è stato superato grazie a una prova perfetta del centro dei Cougars che ha dominato mentalmente e poi tatticamente un Hunter Dickinson sempre più in regressione. Dopo il game-winner di settimana scorsa, un’altra super prova per il pretoriano di coach Kelvin Sampson.
Vanderbilt. Signore e signori, questa è la SEC, una conference dove anche Vanderbilt dice la sua rovinando i piani delle squadre in Top 10. Non paghi dell’upset in trasferta a Tennessee, i Commodores hanno giocato un bruttissimo scherzetto a Kentucky, battuta per la prima volta dal 2016. Un’ottima prova corale nel primo tempo dove l’attacco dei Wildcats (privo di Andrew Carr) è stato ingabbiato mentre dall’altra parte grandinavano triple (12). In più si aggiunge la resistenza nel secondo tempo quando la squadra di coach Mark Pope è tornata sotto, prima della tripla decisiva di Tyler Nickel. Che primo anno per coach Mike Byington.
Auburn. Partire con un 6-0 in questa SEC è roba notevole. I Tigers sanno lottare e sanno soffrire, infatti tre delle vittorie conquistate in conference sono arrivate con un solo possesso di scarto, come accaduto in settimana nel big match tutto sudore e difesa contro Tennessee (53-51 il risultato finale). Bentornato Johni Broome, che archivia l’infortunio alla caviglia guidando tutti i giocatori in campo per punti (16), rimbalzi (13 di cui un paio cruciali nel finale) e stoppate (4). Senza di lui, Auburn aveva sconfitto due ranked team senza di lui ma senza di lui stavolta poteva finire male.
Curtis Jones (Iowa State). Sta diventando un appuntamento fisso dei piani alti delle nostre pagelle ed è infatti un serio candidato ai quintetti All-American. Arizona State ha ricevuto una tempesta perfetta di canestri da parte dell’ex Buffalo: 33 punti (5 triple a segno) e 7 rimbalzi a condire una performance spaventosa per uno che pochi giorni prima ne aveva rifilati 19 a UCF. È il secondo miglior scorer della Big 12, alle spalle di Javon Small, e Iowa State è l’unica squadra insieme a Texas Tech ad avere due scorer nella Top 10 della conference. Alla faccia della squadra difensiva.
Donovan Dent (New Mexico). Gli è mancata un po’ la zampata finale, ma la stella di UNM ha comunque infilato 34 importantissimi punti in una trasferta vittoriosa (e più difficile del previsto) sul parquet di UNLV che permette ai suoi di continuare a guidare la Mountain West con record 9-1. Le sue grandi qualità di scorer al ferro (13/21 dal campo per lui alla fine più 6/6 ai liberi) sono un vero rebus per le avversarie di conference.
Paulius Murauskas (Saint Mary’s). 24 punti con San Francisco e 25 (con 12 rimbalzi) in casa di Washington State: SMC ringrazia sentitamente il lituano e supera i primi veri scogli della West Coast, continuando così a guidare la conference da imbattuta dopo 8 gare. Facile col senno di poi, ma viene da chiedersi come mai l’ala sophomore facesse così tanta panchina ad Arizona: è dall’inizio di questa stagione che si sta dimostrando un’arma inside-out di alto profilo.
Joe Bamisile (VCU). L’usato sicuro che non tradisce. Il super senior è stato il top scorer dei suoi in 4 delle ultime 5 gare (tutte vinte), oltretutto tirando quasi sempre abbondantemente sopra il 50% dal campo. È così che i Rams in settimana hanno vendicato la sconfitta di fine anno con St. Bonaventure e ora guidano l’Atlantic 10 con record 6-1, a pari merito di George Mason. Importante tanto quanto Max Shulga in un reparto esterni che fa invidia a tutta la conference.
Bradley. La morte, le tasse e la squadra di Brian Wardle fra le prime della Missouri Valley. La sconfitta patita con Drake in casa propria un paio di settimane fa rischia di pesare alla lunga, ma i Braves non hanno perso la testa e guidano la conference con record 9-1. La difesa è come sempre l’ingrediente principale nella ricetta di coach Wardle (mai più di 65 punti subiti in 6 delle ultime 7 gare), mentre nel colpaccio esterno su Belmont è riuscita a spuntarla in una pioggia di triple (11 a segno per entrambe le squadre, ma a Bradley sono serviti solo 28 tentativi contro i 37 avversari).
Purdue. Addio striscia vincente, ma almeno la truppa di Matt Painter sa reagire, eccome. Incapace di fermare il bombardamento di Micah Parrish e compagni, è incappata in un upset con Ohio State sul proprio campo, ma nel weekend i Boilermakers si sono rifatti frantumando Michigan in una gara praticamente già vinta dopo 10 minuti scarsi: avversari costretti a un misero 37% dal campo e che in difesa hanno alzato bandiera bianca dinanzi alla coppia Braden Smith-Fletcher Loyer: 24 punti e 10 assist per il primo (più 7 rimbalzi, 4 recuperi e 1 sola persa), 18 con 5 triple a segno per il secondo.
Tre Johnson (Texas). Nella settimana in cui Texas prova a rimettere in sesto la sua stagione con due upset ai danni di squadre del ranking, Johnson dimostra che può essere un game changer sia nel bene che nel male. Tra Missouri e Texas A&M i tiri presi sono più o meno gli stessi: tante triple forzate dal palleggio senza ritmo, tanti 1vs1 contro per andare al ferro in cerca più del fallo che della conclusione. Il risultato è un 3/15 contro i Tigers e un primo tempo da 6 punti contro Texas A&M. A salvarlo la raffica di punti nella seconda frazione contro gli Aggies: 24 punti per rimontare dal -22 alla vittoria firmata Tramon Mark.
UConn. Da quando si è fatto male Liam McNeeley, gli Huskies regolarmente incappano in una sconfitta per ogni vittoria strappata. Battuta una debole Butler per il rotto della cuffia, con Xavier invece non c’è stato modo di raddrizzare la partita nel finale. La pericolosità perimetrale proprio non è la stessa ultimamente (solo 20/65 da oltre l’arco in totale nelle ultime tre uscite) e il contributo della panchina è in genere molto magro. Niente di irreparabile, ma Marquette e St. John’s cominciano ad allontanarsi verso il vertice della classifica in Big East.
Nate Bittle (Oregon). Difficile sfangarla se il tuo leading scorer all’improvviso sparisce. Il centrone aveva iniziato il 2025 benissimo ma in settimana è stato un fattore in negativo: fra la vittoria col fanalino di coda Washington e la sconfitta con Minnesota, ha messo insieme più falli commessi (8) che punti segnati (7). I Ducks intanto corrono il rischio di arenarsi a metà classifica nella Big Ten e, in ottica at-large bid, perdere parecchio del credito accumulato durante la non-conference season.
Ole Miss. Tre sconfitte di fila sono pesanti. Certo, sono arrivate tutte contro squadre del ranking e in una conference “mortale” come la Sec. Però, proprio per questo, la partita casalinga persa contro Texas A&M fa ancora più male. La squadra di Chris Beard era in vantaggio di 8 punti a meno di 2 minuti dalla fine. Era già vinta. Il canestro rocambolesco del 63-62 finale ha dato il primo e unico vantaggio agli Aggies in tutta la gara. Una beffa in un finale superato pochi giorni dopo solo da quello allucinogeno di Houston-Kansas.
Danny Wolf (Michigan). Il naufragio con Purdue è stato immediato e generale, ma sta di fatto che il gioiello dei Wolverines è ora reduce da due gare consecutive con boxscore personali orrendi, per un totale di 1/14 dal campo e tanti assist quante palle perse. Con Northwestern era finita bene, ma Michigan perde davvero troppo del proprio smalto offensivo senza la creatività della sua point forward.
North Carolina. Ha ancora tanta strada davanti a sé ma, ora come ora, non è una squadra da Torneo. Dopo la beffa casalinga subita da Stanford, ecco che la settimana viene inaugurata perdendo un “derby minore” con Wake Forest. E la vittoria all’overtime con una debolissima Boston College non è stata esattamente colma di segnali positivi.
Zeke Mayo (Kansas). Sembra che il fattore-campo a Kansas sia scomparso negli ultimi anni. Il finale tra Kansas e Houston è stato folle: i Jayhawks erano a +4 a 30 secondi dalla fine del tempo regolamentare e a +6 a 10 secondi dalla fine del primo supplementare. Ovviamente ha vinto Houston approfittando prima dell’infrazione di cinque secondi di Mayo nel regolamentare e poi la scellerata rimessa nei dieci tragici secondi finali del primo overtime. Kansas sembra in balia delle onde e coach Bill Self non riesce ad avere una presa salda.
Kentucky. Sono divertenti da veder giocare, molto contemporanei. Difesa, corsa, pick and roll e tiro da tre. L’ingrediente che manca ancora a Kentucky è la concretezza. In Ncaa non si vince (quasi) mai puntando solo sull’attacco. Contro Alabama, i Wildcats non hanno sfruttato un buon primo tempo finendo per incassare 102 punti in casa. Una settimana dopo sono invece stati puniti da Vanderbilt che è squadra più solida delle attese (sta Sec è infernale) ma che ha sostanzialmente sfruttato il calo progressivo nel secondo tempo della squadra allenata da coach Mark Pope.
Indiana. Trenta triple in due partite, di cui una decisiva per la sconfitta in casa contro un’altra squadra che gravità nella bubble come Maryland. Gli Hoosiers sono la discontinuità fatta a squadra: 4-1 nelle prime cinque partite di Big Ten, 1-4 nelle successive cinque. Le ultime due contro Northwestern e Maryland fanno male perché potevano lanciare la stagione di Indiana che ora affronterà Purdue (due volte), Wisconsin, Michigan e Michigan State nelle prossime sei. La stagione, e la panchina di Mike Woodson, è a rischio.