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Rookie italiani ai raggi X: Peyton Aldridge

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 25 Lug, 2018

Ad oggi contiamo nove rookie che faranno il proprio esordio nei campionati italiani, fra cui tre che giocheranno in Serie A: l’ultimo arrivato in ordine di tempo è Peyton Aldridge, ala americana che ha firmato un contratto annuale con la Vanoli Cremona.

2.03 metri d’altezza per 102 chili, 23 anni da compiere il prossimo 10 novembre, Aldridge è stata la punta di diamante nella Davidson della stagione passata e ha trascinato i suoi al Torneo Ncaa dopo due anni di assenza, grazie a un insperato successo nel torneo di conference. Giocando nell’Atlantic 10, Aldridge era abituato a un livello definibile come medio-alto nel college basket (benché la qualità generale dell’A-10 appaia ormai in graduale discesa): i confronti con le nobili della Division I sono però per lui rimasti relegati perlopiù agli appuntamenti d’inizio stagione (due partecipazioni personali al Torneo Ncaa mai andate oltre il primo turno).

Ciononostante, non si può dire che Aldridge non sia avvezzo a interpretare un basket di qualità: giocare per Davidson significa imparare pallacanestro da uno dei coach più esperti e universalmente rispettati in circolazione, Bob McKillop, fautore di una motion offense tanto frenetica negli incastri continui di movimenti lontani dalla palla quanto organizzata nei suoi dettagli ed efficiente (16/a l’anno scorso nella nazione per AdjOE).

Secondo violino di lusso da sophomore e da junior, nella sua stagione da senior, vista la partenza della stella Jack Gibbs, il numero 23 dei Wildcats si è caricato sulle spalle il peso dell’attacco dei Wildcats come mai prima, rispondendo nella miglior maniera possibile: 21.2 punti, 7.6 rimbalzi e 2.5 assist di media, sempre in doppia cifra realizzativa in 33 match disputati e con cinque gare chiuse con oltre 30 punti segnati (fra cui quella da 45 punti nel triplo OT con St. Bonaventure, nuovo record della sua università).

A dispetto del moltiplicarsi delle attenzioni difensive rivoltegli, Aldridge ha continuato a tener fede alla sua fama da cecchino (38.1% da tre con 6.1 tentativi a partita). Giovando dell’ottima circolazione di palla della squadra, l’ala dell’Ohio ha prodotto le sue triple quasi esclusivamente in catch and shoot (92.2% di tiri assistiti), distinguendosi per rapidità di esecuzione e un punto di rilascio molto alto (quindi difficilmente contestabile).

 

Sfruttando una certa dose di forza fisica e di tecnica, sa essere molto produttivo anche in post basso. I suoi giri sul perno con conclusione in semigancio sono un marchio di fabbrica (ricevendo spalle a canestro a 3-4 metri dal ferro, può optare anche per il jumper in allontanamento, cosa però osservata decisamente più di rado).

 

Non è di certo l’ala più scattante che possiate immaginare ma sa essere pericoloso anche in situazioni di uno-contro-uno. Pur pagando dazio in termini di esplosività e verticalità, le sue alte percentuali al ferro (70.5% l’anno scorso) derivano anche dall’abilità nel riconoscere le occasioni migliori per attaccare l’uomo frontalmente dal palleggio.

Quanto mostrato nella finale dell’A-10 con Rhode Island ne è un buon esempio. Stan Robinson aveva fatto un ottimo lavoro su di lui nel tagliargli i rifornimenti durante il finale punto a punto (cosa non semplice, vista l’abilità di Aldridge nel muoversi lontano dal pallone nei modi e tempi giusti) ma nel corso del match, pur essendo un difensore eccellente e versatile, aveva dovuto mostrare il fianco alla maggior stazza e forza fisica dell’avversario. Questi tipi di mismatch non sono però gli unici che Aldridge sa riconoscere e sfruttare. Sempre nella clip sottostante, lo si può vedere mentre punisce un cattivo riposizionamento della difesa dei Rams dopo un rimbalzo offensivo: sul perimetro finisce Andre Berry, un centrone che è tutto fuorché mobile, e l’ala di Davidson ha vita facile nell’involarsi a canestro.

 

Il suo alto QI cestistico è riscontrabile anche nel poco margine lasciato agli errori (12/o TO% più basso della nazione, l’anno scorso) e nel modo in cui sa servire i compagni. Secondo coach McKillop, la sua visione di gioco ha molto a che fare col suo passato da quarterback al liceo: “His quarterback experience is invaluable. He sees the whole field. He sees secondary options, not just primary options. He knows how to go on to the next play”. Dotato di timing eccellente nell’imbeccare i tagli in backdoor, se raddoppiato riesce in genere a premiare le buone spaziature dei compagni riaprendo il gioco in modo preciso e tempestivo.

 

La sua condotta nella metà campo difensiva non è quella più celebrata quando si parla di lui. Gli scivolamenti sono buoni per un giocatore della sua taglia e si posiziona in modo corretto quando difende sul perimetro ma la mancanza di verticalità gli si ritorce spesso contro quando viene portato a contestare le conclusioni al ferro, specie contro lunghi più atletici. Sotto i propri tabelloni riesce a farsi valere in qualche misura grazie all’intensità con la quale lotta a rimbalzo ma, d’altro canto, i suoi tagliafuori lasciano spesso e volentieri a desiderare.

Cremona avrà dunque fra le mani un rookie che si prospetta molto funzionale al tipo di basket preferito da coach Meo Sacchetti, capace di mettersi al servizio della squadra in maniera molto variegata e anche indipendente da minutaggi e numero di possessi lui destinati. Al contempo, dovrà compiere passi in avanti nella propria metà campo (difensore “accettabile”, nel complesso, a livello di college ma con molto lavoro da fare ora in ambito professionistico) e dimostrare di saper tradurre le proprie qualità in un contesto nuovo e a dispetto del gap d’esperienza e di atletismo che gli si presenterà dinanzi.

 

Per approfondire: Peyton Aldridge chose Davidson for basketball, David Scott, The Charlotte Observer, 8 marzo 2018

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