Il campo numero 5 del Cashman Center di Las Vegas conta poco più di 1.500 posti a sedere. Lo scorso mercoledì sera non sono bastati per accogliere i fan accorsi per assistere alla sfida fra Zion Williamson e LaMelo Ball, ovvero due tra i prospetti della pallacanestro liceale più in vista degli Stati Uniti. Secondo gli organizzatori dell’evento griffato Adidas, gli spettatori presenti erano circa 4.000, così tanti da mettere in discussione lo svolgimento della gara stessa, viste le difficoltà a conciliare l’evento con le norme antincendio. La situazione è talmente sfuggita di mano da scoraggiare LeBron James (atleta Nike, particolare non secondario) dai suoi propositi di far capolino in un parterre che comunque contava la presenza di giocatori come Damian Lillard e Andrew Wiggins, oltre ovviamente al celebre fratellone di LaMelo, Lonzo Ball.
Una palestra piena stipata oltre il doppio della sua capienza per ammirare le gesta di due contendenti non ancora maggiorenni. Detta così, sembrerebbe una scena d’altri tempi. E invece no, perché al di là di certe suggestioni da racconto “alla Federico Buffa”, conta il modo nel quale così tanta gente sia stata attratta in una sorta di scatola di sardine. Nessun passaparola, nessuna leggenda orale nata ai bordi dei playground, bensì milioni di click accumulati su internet dai video dei due ragazzini in questione. E tanto, tantissimo hype generato dai social media, ossia l’altra dimensione nella quale l’evento ha messo su numeri notevoli, con gli 80mila contatti registrati su Facebook per la diretta streaming di Ball Is Life.
Ottantamila. A fine luglio. Per una partita di AAU. Non c’è nulla di più contemporaneo.
La sfida a distanza
L’incontro è stato vinto da SC Supreme (la squadra di Williamson) col punteggio di 104-92. Di questo però oggettivamente non frega niente a nessuno. Andiamo al sodo, cominciando a riportare le statistiche dei due sfidanti. Per Zion: 31 punti, 9 rimbalzi, 1 stoppata e 3 recuperi. Per LaMelo: 36 punti, 12 rimbalzi, 5 assist e 2 recuperi. Numeri grossi, da leader delle rispettive formazioni ma frutto di prestazioni che in realtà non hanno avuto nulla di davvero eclatante – specialmente visto il contesto, ma di questo ce ne occuperemo dopo.
Williamson, famoso oltremisura per le sue schiacciate devastanti, è incappato in diverse inchiodate sbagliate ma alla fine è riuscito comunque a dare un saggio della parte più nota del suo repertorio.
Al di là degli errori, è sempre arrivato nel cuore dell’area con estrema facilità, portando a casa diversi “and one” che però ha raramente convertito in una serata per lui orrenda dalla linea della carità (appena 7/20 ai liberi).
In alcune occasioni ha mostrato di cavarsela più che bene in palleggio, anche davanti ad avversari più piccoli e veloci. Non male per uno ancora oggi troppo spesso liquidato solo come energumeno schiacciatore.
Dall’altra parte, Ball ha confermato per l’ennesima volta la sua fama di giocatore dal grilletto facile. Tantissimi i tiri presi dal campo (27), un po’ meno quelli realizzati (10). Anche qui, pochi sussulti derivanti dalla specialità delle casa (nel suo caso, il tiro da tre) in una serata in cui ha messo insieme un 3/12 dall’arco.
È – e sarà sempre – un giocatore profondamente diverso rispetto al fratello maggiore ma il buon LaMelo sembra poter diventare qualcosa di più d’uno sparacchiatore folle, data la discreta “court vision” e la capacità passare bene il pallone quando necessario. Ecco, a dirla tutta, non proprio sempre “bene”, visti anche i sette palloni buttati via spesso in maniera sanguinosa.
Una non-partita
Williamson ha un atletismo fenomenale che ne fa un divoratore di rimbalzi e un potenziale difensore d’élite. Ball può metterti in croce col suo range infinito e, per quanto tenda ad incarnare un concetto a dir poco libero di “selezione di tiro”, ha abilità che potrebbero svilupparsi come ottimo contorno a quelle di realizzatore. Problema: nulla di tutto ciò che è stato visibile mercoledì aggiunge o toglie qualcosa a quel che già si sa di questi due.
Il contesto era tutto tranne che probante: salvo qualche – ma proprio qualche – passaggio nella prima metà del secondo tempo, le difese sono state totalmente assenti e si è visto davvero di tutto fra pressing fatti per scherzo, ginocchia mai piegate e tappeti rossi stesi generosamente per chiunque volesse andare a prendersi un rimbalzo offensivo. Trentadue minuti all’insegna del “non sudiamo sennò mamma ci sgrida”.
Insomma, quella vista a Las Vegas non è nemmeno etichettabile come “brutta partita” ma piuttosto come una libera esibizione di abilità individuali senza reale opposizione. Quando sentirete parlar male dell’AAU nei prossimi tempi, state certi che questo match verrà portato come esempio a piè sospinto – che poi ciò sia giusto o meno, è tutto un altro discorso, troppo lungo e complesso da affrontare qui, ora.
Avanspettacolo in panchina
Dove c’è LaVar, c’è spettacolo. O avanspettacolo, a seconda dei gusti. Papà Big Baller non ha mancato di bisticciare con gli arbitri (ma stavolta tenendo in campo i suoi, mica è scemo) o di spararne di grossissime come antipasto alla partita. Questo il primo siparietto…
… e questo il secondo
Eppure per una volta c’è stato qualcuno che è riuscito a batterlo nel match dell’assurdo. Il suo collega e avversario Lee Anderson si è infatti fatto notare per aver tenuto in braccio il proprio pargolo (addormentato) per larghissimi tratti della partita. Moderno, multitasker e vincente: bravo lui.
Con questa bella immagine famigliare, non ci resta che salutarvi. Dal circo di Las Vegas, è tutto.