La Pac12 è il regno incontrastato di Washington che, a 5 partite dalla fine della regular season, con un record di 12-1 è ormai certa del titolo di conference e di un invito al gran ballo di Marzo. E dietro gli Huskies? L’unica squadra (tranne sorprese al torneo della Pac12) con speranze di un invito da parte del committee è l’imprevedibile Arizona State, seconda dopo le vittorie settimanali contro Utah e Stanford. I Sun Devils sono un vero è proprio ottovolante, con vittorie di prestigio (vs Kansas, Washington e Mississippi State) e sconfitte inaspettate (vs Princeton e Washington St).
Tale coach, tale squadra
ASU è una squadra tanto esaltante quanto isterica: capace nell’arco della stessa partita di offrire la migliore e la peggiore versione di se stessa, con un attacco spumeggiante fatto di transizione, tiri da tre e un gioco fisico nei pressi dell’area (tra le squadre con più tiri liberi a partita in Division I e prima per rimbalzi offensivi nella Pac12), uno stile di gioco che coach Bobby Hurley ha sintetizzato così: “Fun, free and flowing”.
Peccato che difesa (234esimi in Ncaa per punti concessi di media con 73.6) e i tanti, e preoccupanti, black-out mentali siano il principale motivo per il quale ASU viva in equilibrio sempre precario. Squadra imprevedibile, fedele al proprio coach: Bobby Hurley, personaggio eclettico capace di punire i suoi con una sessione di allenamenti senza toccare palla (post sconfitta contro WSU) o indossare un completo “total black” per ispirare nei suoi una mentalità “gangsta” come nell’ultima W contro i Cardinals.
L’ex leggendario play di Duke guida una squadra con un attacco ben bilanciato con quattro uomini in doppia cifra di media e altri due che viaggiano a oltre 9 punti, capace di esaltarsi soprattutto nei secondi tempi delle partite come dimostra il parziale di 20-0 con il quale hanno chiuso il match contro Utah o i parziali di 41-29 e 39-25 determinanti negli upset ai danni di UCLA e Oregon, tanto da guadagnarsi il titolo di Arizona State Warriors.
Un mostro a tre teste
Tutto parte dal backcourt con il trio di guardie: Remy Martin-Rob Edwards-Luguentz Dort, vero e proprio motore dell’attacco dei Sun Devils. Il primo è il leader di ASU con coach Hurley che gli ha consegnato le chiavi del gioco rivedendo nel suo sophomore la sua estensione sul parquet. Top scorer o assist-man a seconda delle necessità della squadra: è capace di alternare giocate clutch (come quelle determinanti nell’upset contro Kansas) a assist degni dei tempi del showtime come questo
O questo
Edwards è un senior transfer da Cleveland State che, dopo aver saltato la prima parte di stagione a causa di un infortunio alla schiena, sta iniziando a mostrare il talento che lo ha reso uno dei migliori giocatori del panorama mid-major (career-high da 28 punti vs Utah), grazie a un ottimo tiro da tre (40/101 in stagione). Dort è, invece, un freshman con un corpo di un pro che, dopo un inizio di stagione a dir poco esaltante (che lo aveva lanciato in zona lottery dei vari Nba Mock Draft), è tornato sul pianeta terra mettendo in mostra vari difetti: scarsa efficienza, gestione del pallone (3.2 perse a fronte di 2.5 assist), meccanica e scelte di tiro. Fisico e capacità di vedere il canestro (top scorer dei suoi a 16.2 di media) non si discutono: meglio rimanere un altro anno al college.
Chetham il coltellino svizzero
È, però, Zylan Cheatham il giocatore determinante per le sorti di questi Sun Devils: lungo tuttofare, sottodimensionato per il ruolo (203cm x 100kg) ma che ha dalla sua un intrigante mix di atletismo e IQ cestistico, perfetto per i quintetti small-ball di ASU. Il transfer da San Diego State è l’unico giocatore della Pac12 a viaggiare in doppia-doppia di media (11.8+10.7reb) e in stagione ha fatto registrare la seconda tripla doppia della storia dell’università (14+13+10 vs Texas Southern), a dimostrazione della sua versatilità. Può colpire da oltre il perimetro, è capace di guidare la transizione grazie a un’ottima visione di gioco (3.5 assist) ed è capace di giocate del genere…what else?
Gli altri tre diavoli
Un freshman, un sophomore e un junior: o semplicemente Taeshon Cherry, Romello White e Kimani Lawrence. Il primo, nonostante l’età, si è rivelato sin dal primo giorno uno stretch-four in grado di dare il suo apporto; White, dopo una promettente annata da matricola, alterna ottime prestazioni a partite anonime ma rimane una sicurezza sotto i tabelloni. Lawrence, infine, è il sesto uomo ideale capace di accendersi in un attimo. Per centrare l’obiettivo Torneo Ncaa c’è solo bisogno di scendere dall’ottovolante e giocare ogni partita in stile “gangsta”.