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James Madison, a tutto gas verso la storia

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 22 Dic, 2023

Lo stato della Virginia è casa di 14 formazioni di Division I e due di queste si trovano nella AP Top 25 mentre scriviamo. Una è UVA – quasi scontato – ma ce n’è un’altra posizionata anche più in alto degli Hoos: non è V-Tech, non è VCU e non è nemmeno Liberty. È James Madison, non proprio uno dei programmi cestistici più blasonati dello stato.

Non è una piccola università (oltre 20mila studenti) e il suo palazzo dello sport (8.500 posti) non sfigura per nulla fra quelli del panorama mid-major, ma la squadra conta giusto cinque partecipazioni al Torneo Ncaa e, dopo l’ultima avvenuta nel 2013, è riuscita solo due volte a toccare quota 20 vittorie stagionali. Niente di trascendentale, insomma. L’anno scorso però ha ingranato una marcia diversa e in questo la musica è apparsa persino migliore fin dalla prima partita: si respira aria d’annata storica e, abbastanza ironicamente, l’uomo da ringraziare è un coach, Mark Byington, arrivato a Harrisonburg tre anni fa senza una March Madness nel curriculum, proprio come i suoi Dukes nell’ultima decade.

 

Road Killer

JMU non è una squadra per cuori deboli e questo lo si era capito già dalle prime due gare, con due trasferte vinte in barba ai pronostici e ai calcoli delle probabilità: prima ha ammutolito i 15mila del Breslin Center con una vittoria all’OT su Michigan State, che era #4 nella Preseason Top 25, e poi ha sbancato il campo di Kent State, che non perdeva in casa propria dal gennaio 2022, dopo due supplementari in un match che sembrava perso a pochi secondi dalla fine dei tempi regolamentari. Sembrava, appunto.

Due successi roboanti ed eccoci già alla fine della prima settimana di gare con ESPN che dice “James Madison potrebbe essere la Florida Atlantic di quest’anno”. Una bella gufata che però non ha avuto effetto visto che adesso, a ridosso di Natale, i Dukes sono una delle tre formazioni ancora imbattute quest’anno insieme a Houston e Ole Miss. Undici successi di cui quattro in trasferta e due su campo neutro, con giusto un paio di squadre materasso buttate lì nel mix. E a dirla tutta, il paragone con FAU non è poi così campato in aria. Lo stile differisce un po’ fra le due ma, proprio come gli Owls, JMU riesce in ciò che tanti inseguono e pochi riescono a creare: un gruppo di giocatori versatili, intercambiabili e devoti al collettivo, tra l’altro con una rotazione piuttosto profonda.

 

Nessuno li ferma

La JMU dell’anno scorso brillava innanzitutto nella propria metà campo con una difesa aggressiva che forzava tante palle perse: quel elemento c’è ancora, ma il gruppo di quest’anno domina prima di tutto in attacco con un mix raro di ritmi frenetici e decision making d’alto livello (#26 in D1 per Adjusted Tempo, #42 per Turnover%). Perché per coach Byington correre va bene, ma farlo cercando tiri facili come priorità è ancora meglio. Un’Arizona delle mid-major, se volete. Anzi per certi versi James Madison, pur non toccando acuti travolgenti come la banda di Tommy Lloyd, fa un lavoro persino migliore dei Wildcats: in tutta la D1 infatti ci sono solo due altre squadre in Top 30 per Adj. Tempo e in Top 50 per TO%, ossia Iowa e New Mexico (tra l’altro occhio a quest’ultima, sta andando alla grande ed è 11-1 in stagione). “You try to take some of their 3s away, but they pass it so well and it’s hard to keep up with their pace”, ha detto un coach a inizio stagione. Insomma, affrontarli è un grattacapo non da poco perché ogni giocatore va tenuto d’occhio, anche se fra i Dukes alcuni si distinguono più di altri.

Michael Green si è completamente trasformato a James Madison

I tre tenori

Fra i vari talenti di coach Byington (e del suo staff) c’è l’abilità nell’individuare i pezzi giusti da inserire nel roster al di là dei numeri crudi e dell’hype, cosa mai tanto importante quanto oggi nell’era del portal. E infatti due dei tre protagonisti di James Madison sono transfer arrivati quest’anno.

Michael Green è una point guard che non faceva onde nella debole Robert Morris, ma la sua attitudine all’alzare il ritmo e la sua bravura nel leggere il gioco dai blocchi sulla palla non sono mai state tanto impattanti quanto ora: infatti guida i Dukes con un assist/turnover ratio d’élite (3/1, solo 1.42/1 in carriera prima di quest’anno) e tira da tre come mai fatto prima (45.2% su 5.6 tentativi per lui che nei quattro anni precedenti aveva appena il 31.7% su 3.6 conclusioni).

T.J. Bickerstaff era un onesto lungo di riserva e nulla più a Boston College, ma ora guida JMU sia per punti (16.3) che rimbalzi (8.3) colpendo dal pick and roll in maniera sistematica.

Difficile dire chi sia il giocatore più importante, ammesso che ce ne sia uno, in una squadra così compatta e piena di opzioni, ma Terrence Edwards è di certo quello che suscita più interesse. Ha sempre e solo indossato la maglia di JMU in una progressione personale che si potrebbe definire classica nella tradizione del college basketball: sempre più importante fino a diventare protagonista assoluto da senior coi suoi 16.1 punti, 4.8 rimbalzi e 3.2 assist di media. Guardia/ala appena sotto i 2 metri, ottima arma offensiva sia col pallone in mano che off the ball, possiede un elegante ed efficace mix di movenze attaccando il canestro a cui abbina anche un range rispettabile (37.5% da tre al momento, ma non stupitevi se finirà per galleggiare sul 40% a fine anno).

Al momento sembra che non ci sia nulla che possa fermare James Madison, ma la lunga marcia verso una stagione storica non è mai priva di ostacoli. Nella Sun Belt c’è anche Appalachian State, squadra dallo stile diverso ma anch’essa sa giocare sul serio e ha fatto uno scalpo importante, quello di Auburn. Mantenere un curriculum da at-large bid giocando in una mid-major conference è sempre molto complicato e quindi le sfide fra queste due avranno un sapore davvero speciale. Primo round in programma per il 13 gennaio: preparate i popcorn.

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