C’è un giocatore, Luka Garza (lo conoscete per caso?), che viaggia a quota 26.9 punti in soli 29.5 minuti da fulcro di quello che è uno dei migliori attacchi dell’intera D-I (per KenPom, è proprio il migliore col suo 125.1 di Adj. Efficiency). Ha all’attivo 6 doppie doppie, altrettante partite con almeno 30 punti segnati e tira da tre col 47.9% pur essendo un lungo. Insomma, ha l’impatto di un tornado e, quando si parla di Player of the Year, si pensa a lui. Che facciamo, glielo diamo già adesso ‘sto benedetto premio? Calma. Mancano due mesi alla March Madness e, strano ma vero, ci sono altri pretendenti credibili. Jared Butler, ad esempio, two-way guard d’élite in una squadra d’élite, ovvero Baylor, l’unica con Gonzaga ad avere le sembianze della superpotenza, almeno per il momento.
I segni della stella
Cos’è che fa di un POY un POY? Molte cose, ma sempre e comunque la capacità di risolvere le partite. Jared Butler ha in questo senso fornito due grandi esempi, molto diversi fra loro, proprio negli ultimi giorni.
Lui è un po’ come un toro, ma anziché vedere rosso, vede blu. Infatti quando Kansas gli si para davanti, è facile assistere a qualcosa di speciale: un trentello da freshman, un ventello decisivo da sophomore e quest’anno un’altra prova memorabile.
Contro i Jayhawks, 30 punti a segno con 10/14 dal campo e 3/3 ai liberi, più 8 assist. In una parola, perfetto. Una serie impressionante di triple dal palleggio, con condimenti di vario tipo: un close out infilato in scioltezza, valzer in palleggio per andare al ferro e un paio di giocate di puro, freddo, incrollabile killer instinct.
Due volte KU si era portata sul -5 e per due volte lui ha spento sul nascere ogni velleità di rimonta: prima con un bellissimo lob per Mark Vital, poi con l’ultimo dei suoi sette canestri da tre messi a segno nella serata.
Qualche giorno prima con Texas Tech, squadra difensivamente speculare a Baylor per cardini ed efficacia, le triple invece non entravano e in area non aveva un millimetro di spazio per coordinarsi: 0/8 al tiro nei primi 35 minuti di partita.
Roba da farti impazzire. Butler però non ha fatto una piega e, per tutto il tempo, ha giocato come uno che stava facendo il proprio dovere come al solito. Morale della favola: due triple pesantissime negli ultimi decisivi minuti. Come se nulla fosse.
Insomma, in un modo o nell’altro, riesce a far sì che sia sempre la sua giornata. Che sia tanto o che sia poco, prende sempre quello che la partita gli da e lo sfrutta davvero al 100%. Una solidità incredibile che si riflette anche nelle sue statistiche.
Numeri da campione
Jared Butler guida Baylor per punti di media (16.7) e recuperi (2.4), mentre alla voce assist (5.4) sta di poco dietro a Davion Mitchell (5.7), point guard titolare della squadra. Sarebbe anche il miglior tiratore da tre (45.9%) di una formazione che abbonda di cecchini (sono in cinque a stare sopra il 40%) se non fosse per quello 0.3% in più che vanta Matthew Mayer.
Il suo tiro da tre era già ottimo ed è impressionante che riesca a mantenersi su certi livelli con quella varietà di soluzioni, quel volume discreto (5.7 tentativi di media), quella capacità di trovare spazio e di mettersi in ritmo da solo.
I punti di forza di Jared Butler si sviluppano tutti su un rapporto di dare-avere assolutamente armonico col contesto che lo circonda. Le sue percentuali dall’arco sono infatti salite anche perché adesso deve forzare di meno in una squadra così ben oliata offensivamente e con così tanta pericolosità perimetrale.
È sempre lui l’uomo a cui è meglio dare il pallone quando scorrono gli ultimi secondi sul cronometro: è solo che questa è un’eventualità un po’ meno frequente e comunque avviene in circostanze meno proibitive che in passato.
A testimoniare la crescita dei ragazzi di Scott Drew ci sono anche i numeri di ShotQuality: l’anno scorso, l’attacco di Baylor era alla #31 mentre ora è alla #5 (con Tennessee e Creighton è nel trio di squadre che compaiono in Top 10 sia per qualità di tiri presi che per tipo di tiri concessi in difesa).
Tanti modi per fare male
Il tiro dalla distanza rappresenta addirittura il 46.8% delle conclusioni che prende, ma Jared Butler ha anche altro da offrire come realizzatore. È indubbiamente un three-level scorer: può colpire col tiro in sospensione dalla media (anche sfruttando secondi blocchi dei lunghi) e sta mantenendo percentuali al ferro abbastanza folli (per Hoop-Math, 71.4% di realizzazione col 36% di conclusioni assistite).
Non è particolarmente esplosivo, rapido o forte fisicamente. In un ambito come quello della Big 12 – forse il più duro che ci sia nella Ncaa sul piano fisico – è un atleta abbastanza nella media. Le sue armi sono altre e sono molte: equilibrio, pazienza, coordinazione, proprietà di palleggio, cambi di direzione e tocco. Contro TCU, ha sostanzialmente messo in mostra un bignami di tutte queste qualità.
Il vero salto di qualità che sta compiendo risiede altrove. Quando era andato a fare quattro chiacchiere con gli scout NBA in estate, nessuno ovviamente aveva avuto da ridire sulle doti da scorer e a tutti è piaciuta la sua capacità di giocare on e off the ball. Piuttosto, quel che gli avevano detto è che fosse il caso di cominciare a limitare le perse.
Detto, fatto: se da underclassman aveva un rapporto assist-perse di 1.33/1, in questa stagione ha un più che onesto 1.84/1, dato che assume valore indubbio quando, al contempo, sei anche il giocatore con Assist Rate e %Poss più alti della Big 12.
Oltre a sfruttare i blocchi per trovare soluzioni personali, Butler sa puntare l’area per poi scaricare sul lato, però lì brilla più per tempi e letture che per precisione nell’esecuzione o modalità di passaggio (sono rari gli assist direttamente dal palleggio).
È soprattutto nei giochi a due coi lunghi che sa fare malissimo agli avversari. Lì l’intesa con Flo Thamba è perfetta e quella con Jonathan Tchamwa Tchatchoua, giocatore in netta ascesa, sta crescendo di partita in partita.
I numeri di Jared Butler dicono in sostanza che sia meglio averlo in campo (+9.0 di Adjusted Efficiency in 6 gare di Big 12 quando era sul parquet rispetto a quando era in panchina), ma più per il suo impatto offensivo (+13.9) che difensivo (-4.9). Cosa strana a leggersi, visto che parliamo del secondo giocatore della conference per Stl%. Il dato molto probabilmente dice di più su quanto ottimi siano i vari interpreti difensivi di Baylor che non di lacune reali o presunte di Butler.
Sta di fatto che lui non è un Mitchell, non è il mastino da sguinzagliare sul ball handler avversario. Nonostante sia una delle guardie più complete fra quelle di un certo rango, ha effettivamente dei punti deboli. Anche quest’anno lo si vede molto più spesso sul lato debole che non sul portatore di palla, negli uno-contro-uno riesce a contenere gran parte dei pari ruolo che trova, ma può faticare (anche molto) contro quelli più dinamici e dal ball handling più sviluppato. Inoltre, sembra ancora alterno per capacità di passare sui blocchi, benché sia capace di riguadagnare terreno (anche con l’aiuto dei compagni, va detto).
In compenso sa essere puntuale nei raddoppi e, da bravo esterno addestrato da coach Drew, ha mani lestissime che mette ovunque e non si fa problemi nel buttarsi sui palloni vaganti. Il tutto senza nemmeno risultare particolarmente falloso. È anche da qui che nascono i tanti recuperi che effettua e che spesso portano a ghiotte occasioni di contropiede.
POY, perché no?
Per essere eletto POY, non è necessario andare lontano al Torneo Ncaa. Però aiuta parecchio: mettendo Obi Toppin l’anno scorso fra parentesi, gli ultimi cinque vincitori del Naismith College Player of the Year sono tutti arrivati almeno alle Elite Eight. E al momento non ci sono squadre come Gonzaga e Baylor che danno un’impressione così netta di poter andare fino in fondo. Ben più della Iowa del già citato Luka Garza, che è tanto bella in attacco ma che continua anche a lasciare perplessi per rendimento nella propria metà campo (#69 in D-I e #7 nella Big Ten per Adj. Defense).
Se in casa Zags potete mettere tranquillamente i nomi di Corey Kispert e di Jalen Suggs nel lotto dei candidati al POY, per i Bears c’è appunto Jared Butler. Perché c’è davvero poco da ragionarci su quando si è dinanzi al migliore di un pacchetto di quattro guardie dove ognuno viaggia in doppia cifra di media in quello che, sempre per i numeri di KenPom, è il quarto attacco della Ncaa e il primo di una conference tremenda come la Big 12. Squadra che è anche e soprattutto un incubo da affrontare per come difende (#1 per Adj. Defense) e in cui Butler, come già detto, fa la propria parte.
Secondo noi, basta e avanza per inseguire quel trofeo.
Copertina: Photo by Raymond Carlin/USA Today Sports