Nella sempre sorprendente Atlantic 10, ci sono diverse squadre che quest’anno potrebbero continuare la lunga tradizione di Cinderella Stories fornite dalla conference. Insieme alla Richmond di Jacob Gilyard e compagnia, una delle candidate principali è Saint Louis, formazione che forse avremmo visto spuntare già ora nella Top 25, se non avesse compiuto un passo falso con la Minnesota di Marcus Carr (l’unico finora, la squadra ha record 7-1). Cos’è che rende i Billikens così degni di nota? Più cose, ma prima di tutto una delle coppie d’esterni più particolari che ci siano, quella formata da Javonte Perkins – leading scorer col 54.8% da tre (!) – e Jordan Goodwin, una guardia alta 1.90 che tira giù circa 11 rimbalzi a partita – no, non è un refuso.
Perkins, il canestro nel sangue
Perkins è nativo proprio di Saint Louis, è un senior ma è solo al secondo anno con la maglia dei Billikens. Come mai? Perché, nonostante al liceo stesse a quota 20.8 punti e 15.6 rimbalzi di media, non aveva ricevuto nessuna offerta di Division I. Così aveva ripiegato su un junior college a mezzora d’auto da casa sua, Southwestern Illinois. In due anni ha mantenuto la fama del marcatore prolifico: 26.4 punti di media da sophomore, la terza più alta della Njcaa in quella stagione.
Coach Travis Ford l’ha voluto ai Billikens per alzare il livello dell’attacco. Effettivamente Javonte, un esterno di quasi 2 metri soprannominato Mr. Buckets, non ha alcuna difficoltà a trovare con costanza il fondo della retina. Attaccante completo, quest’anno è il fulcro dell’offensiva di SLU perché sa trovare la via del canestro in qualunque modo: finendo al ferro, in isolamento, sugli scarichi, uscendo dai blocchi, con una precisione chirurgica dalla media e lunga distanza.
Ha un alto QI che gli permette di leggere le difese e muoversi di conseguenza. Ha dimostrato di avere equilibrio nelle decisioni, per questo non meraviglia vedere le sue percentuali al tiro: 53.6% dal campo con 12.1 tentativi a gara e addirittura 54.8% dall’arco con 3.9 tentativi di media. Questo fa sì che viaggi a quota 17.8 punti in 28.1 minuti. Insomma, vederlo forzare è cosa rara. Altresì aspetta che sia la partita ad andare da lui. Non è un caso se contro LSU e NC State ha realizzato rispettivamente 26 dei 32 e 16 dei 20 punti totali nella ripresa. Sa cosa deve fare e cosa ci si aspetta da lui. Ed è in ascesa sul panorama nazionale.
L’anno scorso è stato nominato sesto uomo dell’A-10 con 18.2 punti di media (record dell’università). Si è adattato velocemente alla nuova realtà, anche se in Division I “il gioco è molto più fisico, tutto è più veloce”. È cresciuto tanto sotto la guida di Ford. Giunti a questo punto, vi chiederete perché allora non si parli di lui in ottica Draft. Risposta: perché non è un difensore d’élite. Con molta franchezza, ve lo dirà lui stesso: “non ho dato mai priorità alla difesa”. Nella clip sottostante, possiamo vedere ad esempio due leggerezze off the ball. C’è da dire però che, più in generale, ha imparato in questi anni quanto la difesa sia fondamentale per vincere le partite e per ottenere minuti in campo.
Goodwin, l’anima dei Billikens
Se Perkins si è trasferito da Saint Louis a Belleville per un paio d’anni, Goodwin ha compiuto lo stesso tragitto, all’inverso, nel 2017. Considerato da Espn come il prospetto #55 di quella classe, da giovane faceva parlare molto di sé e si pensava che, sì, sarebbe rimasto vicino casa, ma andando a Northwestern o a Illinois. Con la scelta di Saint Louis, Goodwin è la prima grande recluta di Travis Ford a SLU: “È stata la decisione migliore. Restare vicino casa e giocare per un coach eccezionale che fa crescere i giocatori”, aveva detto all’epoca.
Dietro questa sua decisione, a quanto pare, c’è addirittura un segno premonitore. Un sogno. “Ero inseguito da un Billiken. Correvo e sono arrivato all’arena dove sono stato catturato”. Sembra essere scattata così la scintilla. In realtà, scavando più affondo, c’è un po’ meno di mistero in questa scelta. Insieme a Ford, era arrivato come assistente Corey Tate, il quale aveva avuto Goodwin nel suo team AAU e aveva spinto non poco per continuare ad allenarlo.
Rispetto al prospetto di tre anni fa, oggi Goodwin è un giocatore diverso. Il che non significa meno determinante in campo. Non a caso, lo scorso anno è stato inserito sia nel primo quintetto che nel team difensivo dell’A-10. Avrà forse poche possibilità di arrivare nella Nba, anche se l’estate scorsa ha fatto qualche workout. Ma è un ragazzo che dà sempre il massimo, rende migliori i compagni ed è un duro. Insomma, è l’anima dei Billikens. Coach Ford a Blue Ribbon ha detto che “è un leader vocale e gli altri lo seguono”. Spinge l’intera squadra a fare sempre meglio e di più.
La cosa che più stupisce non sono i suoi 16.9 punti di media, ma il fatto che sia uno dei migliori rimbalzisti del paese nonostante stia sull’1.90 di altezza. La sua capacità di dominare sotto i tabelloni è incredibile e in questa stagione ha già collezionato 7 doppie-doppie in 8 partite giocate. Con i suoi 11.1 rimbalzi di media è l’unico giocatore di quella taglia a ridosso della Top 10 nazionale di questa voce statistica, stando persino di un pelo davanti a un altro rimbalzista undersized, Terry Taylor (196 cm di statura).
Goodwin è la fotografia perfetta di questa Saint Louis che, nonostante abbia un’altezza inferiore alla media, è una squadra molto fisica. Il record di 7-1 con il quale ha iniziato la stagione è il frutto di una difesa dura, che costringe gli avversari a sudare per ogni canestro. Saranno questi Billikens la favola da raccontare a marzo? Forse. Sicuramente però Javonte Perkins e Jordan Goodwin sono una coppia perfetta. Una delle meglio assortite della nazione.