Siete pronti a una Kentucky senza John Calipari in panchina? Fa strano, lo sappiamo, ma questa è la nuova realtà del college basketball. Mentre il Calippo si trasferisce ad Arkansas, a Lexington arriva un ex giocatore della squadra del titolo del 1996, Mark Pope. Ma qual è la storia dietro questo terremoto?
Incontri segreti in hotel
È raro vedere un domino di coach partire dal licenziamento su una panchina meno nobile (Rob Lainer a SMU) e finire con una blue blood senza allenatore. La vita di Kentucky è cambiata a causa di un incontro notturno segreto nelle stanze di un hotel a Phoenix. Tre 60enni sedevano nella stanza: John Calipari, il miliardario John H. Tyson e l’athletic director dell’università di Arkansas Hunter Yurachek. I primi due protagonisti erano legati da un profondo legame di amicizia che dura da trent’anni, i secondi due da un legame di lavoro. Infatti Tyson, a capo della multinazionale Tyson Foods, è il principale booster di Arkansas.
In mezz’ora hanno confezionato un movimento sismico in grado di scombussolare la Division I intera: un contratto da 38.5 milioni in 5 anni a Calipari e uno dei pacchetti NIL più competitivi della nazione. Yuracheck aveva passato il pomeriggio a chiedere al Calippo consigli su chi assumere per il dopo Musselman, per poi chiudere con una battuta: “Ma perché non vieni tu?”. Soltanto che Calipari l’ha preso seriamente e ha chiamato Tyson, anche lui a Phoenix, per discuterne. Formulata l’offerta, Calipari non ha dato a Kentucky neanche la possibilità di controbattere, tanto i rapporti con tifoseria e dirigenza erano deteriorati.
A message to #BBN: pic.twitter.com/TG344ipTfZ
— John Calipari (@CoachCalArk) April 9, 2024
Più di dieci anni in un posto stressante come Kentucky non si possono fare. Parola di John Calipari che, infatti, dal 2009 al 2019 ha raccolto una striscia di grandi risultati: un titolo, quattro Final Four in cinque anni, una stagione quasi perfetta, sette Elite Eight, 12 titoli della SEC tra regular season e tornei di conference, tre prime scelte assolute al Draft e 47 giocatori mandati in Nba. Non una blue blood qualunque, ma “the bluest of the blue”, come detto nel messaggio di addio. Semplicemente il programma con più vittorie della storia della Division I. Per questo, quell’estate, UCLA cercò di convincerlo ad andare in California per far riemergere il programma con più titoli nella storia della D1. Calipari rifiutò, firmò un contratto a vita dal valore di 85 milioni di dollari con Kentucky e si sa che dalla vetta la strada è solo in discesa.
Un’amministrazione in confusione
Nel 99% delle università in America, i risultati ottenuti da Calipari negli ultimi quattro anni sarebbero stati sufficienti per rinnovargli il contratto. Buonissime regular season con qualche scalpo d’eccellenza, una manciata di primi giri al Draft, un National Player of the Year e di contro risultati pessimi alla March Madness e una stagione dal record negativo. Ma la Big Blue Nation è particolarmente nota per la pressione che riesce a mettere sul capo allenatore e Saint Peter’s e Oakland non sono due carnefici illustri che lo possano discolpare.
On Thursday night, Mark Pope had just over 12,000 Twitter followers.
About 36 hours later, Pope has already surpassed Dan Hurley, who has won back-to-back national titles, with 48,000 followers.
Thats the #BBN pic.twitter.com/kNkzShuaUw
— Tristan Pharis (@TristanUda) April 13, 2024
Che il rapporto tra Calipari e l’AD Mitch Barnhart non fosse idilliaco era sotto gli occhi di tutti. Oltre ai recenti pessimi risultati, ottenuti tutti dopo il contratto faraonico firmato, ci si sono messi di mezzo anche screzi personali tra i due. L’unica cosa a mantenere Calipari sulla panchina di Kentucky era l’enorme buyout da pagare: 33 milioni in caso di licenziamento. Una cifra folle. Arkansas, di fatto, ha salvato le finanze del Kentucky.
Ma proprio qui arriva il fattaccio: Calipari è stato confermato dopo la figuraccia contro Oakland e, nonostante le dichiarazioni, tutti sapevano che il motivo fosse puramente economico. Licenziare Calipari avrebbe portato sicuramente a prendere un allenatore meno caro, una scommessa, magari un alumni, uno per cui Kentucky rappresentasse l’occasione della vita. Tutti avrebbero capito. Ma il lasciapassare regalato da Arkansas ha aperto altri scenari: con le casse di cui i Wildcats dispongono, ogni nome poteva finire sulla lista.
Un Pope a Kentucky
Peccato che se ne sono consultati pochi, dopodiché è subentrato il panico. In seguito ai rifiuti a priori di Dan Hurley e di Nate Oats, si è passati a Scott Drew che ha declinato in seguito ad un colloquio. Ma i nomi di grido mica erano finiti qua. Mark Few, Tommy Lloyd, Kelvin Sampson, Matt Painter, Greg McDermott, TJ Otzelberger, Jerome Tang, Brad Underwood, Brian Dutcher. Siamo proprio sicuri che nessuno di questi sarebbe stato sedotto dai dollaroni di Kentucky?
Scott Drew has released a statement. pic.twitter.com/wp5nijKHWE
— Jon Rothstein (@JonRothstein) April 11, 2024
Perché di questo si tratta: dopo i rifiuti, Barhnart è andato dall’unico allenatore che non avrebbe mai detto di no a Kentucky. Mark Pope, capitano degli Untouchables di Rick Pitino che nel 1996 portarono il 6° titolo a Lexington. Buoni ma non sfavillanti risultati come capo allenatore a Utah Valley e BYU, un solo giocatore reclutato nella Top 300 di Espn. Eppure diventerà il sesto allenatore più pagato della nazione (30 milioni per 5 anni) con un pacchetto NIL da top della classe. Esattamente quel tipo di profilo che sarebbe venuto a Lexington, per molti meno soldi, in caso di licenziamento di Calipari.
In una Division I che si divide tra chi punta su nomi di richiamo e chi invece assume ex alunni o promuove assistenti, da Kentucky ci si aspettava il primo tipo di mossa (fatta anche da SMU, USC e Arkansas) e invece è arrivata la seconda. Non che sia un male: A North Carolina e Duke è andata bene finora, mentre a Villanova e Louisville sono arrivati altri risultati. Nessuno dei santoni era un santone prima di ottenere la panchina illustre. Tutti si sono conquistati la nomea grazie ai loro successi e noi tifiamo per Pope perché è una di quelle storie che ci piace. Ma da una Kentucky carica di denaro e rivalsa ci si aspettava ben altro.
The year before he was hired at Duke, Coach K went 9-17 at Army.
Roy Williams was the third assistant at UNC when he was hired by Kansas.
Tom Izzo had never been a head coach when he was hired at Mich State.
Jay Wright never won a tourney game at Hofstra.
Carry on BBN.
— Seth Davis (@SethDavisHoops) April 12, 2024
Marke Pope però è un uomo capace di sorprendere: capace di interrompere la laurea in medicina per andare ad allenare, capace di aprire BYU verso giocatori che non fanno parte della chiesa mormona (di cui Pope fa parte) e schierando un quintetto per 4/5 composto da giocatori di colore, più che una rarità in quelle latitudini dell’America. “Forza, tenacia ed energia positiva” sono le tre parole con cui l’AD Barhnart l’ha descritto e non stentiamo a crederci visto che, in pochi anni, si è girato Egitto, Mali e Tanzania solamente per conoscere i familiari di propri giocatori.
5-out, una pioggia di tiri da tre e un centro passatore: questa è la ricetta dell’ottima scorsa stagione dei Cougars in Big 12, in grado di espugnare l’Allen Fieldhouse con un finale eccezionale. Un allenatore capace di fare grandi colpi come Matt Haarms, strappato proprio a John Calipari, o Jaxson Robinson, cruciale in questa stagione. Gioco offensivo e successi nel portal sono due cose mancate alla vecchia gestione di Kentucky, estremamente centrata su classi freshmen.
Anche Rick Pitino, suo coach a Kentucky, si è esposto definendo Pope come “un allenatore destinato alla grandezza“. Addirittura, il coach di St. John’s si è proposto come ipotetico booster di Kentucky, finanziando in parte il NIL per far si che Mark Pope abbia successo. Pensateci bene: un coach di un’università che finanzia il recruiting di un capo allenatore rivale, con cui ha un rapporto stretto, per far sì che non fallisca. Il college basketball sta proprio cambiando.